Omelia nel 50mo della morte della beata Maria Crocifissa del Divino Amore (Maria Gargani)

 

Tutto posso in colui che mi conforta

Omelia nel 50mo della morte della beata Maria Crocifissa del Divino Amore (Maria Gargani)

 

Il mistero dell’Ascensione, che celebriamo in questa Domenica, noi possiamo considerarlo sotto due aspetti: anzitutto per ciò che esso significa per il Signore Gesù e, quindi, per ciò che di conseguenza vale per noi. Sant’Agostino diceva che «la Chiesa conosce due vite: una appartiene al tempo della peregrinazione, l’altra all’eterna dimora; una è nella fatica, l’altra nel riposo; una lungo la via, l’altra in patria; una nel lavoro dell’azione, l’altra nel premio della contemplazione; una che si tiene lontana dal male e compie il bene, l’altra che non ha alcun male da evitare ma soltanto un grande bene da godere […]; una chiede aiuto nelle tentazioni, l’altra, libera da ogni tentazione, trova il riposo in colui che è stato il suo aiuto; una soccorre l’indigente, l’altra vive dove non esiste alcun indigente; una perdona le offese per essere a sua volta perdonata, l’altra non subisce offese da perdonare, né ha da farsi perdonare alcuna offesa […]; una è buona, ma ancora infelice, l’altra è migliore e beata» (In Joannis evangelium tractatus. Tract. 124, 5: PL 35, 1974).

Anche i testi biblici che abbiamo appena ascoltato ci hanno dischiuso due spazi. Per un verso, difatti, c’è il cielo, verso cui ascende Gesù. «Mentre lo guardavano – abbiamo ascoltato durante la prima Lettura – fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo…». Il linguaggio è figurato, lo sappiamo bene, perché nella Bibbia la parola cielo rimanda a Dio e questo ci riempie di speranza e di gioia. La sua ascensione al cielo, intendiamo, per Gesù non è un allontanarsi da noi, ma un farsi più vicino, più intimo. Per questo, «ognuno di noi può dargli del tu; ognuno può chiamarlo. Il Signore si trova sempre a portata di voce. Possiamo allontanarci da lui interiormente. Possiamo vivere voltandogli le spalle. Ma egli ci aspetta sempre, ed è sempre vicino a noi» (Benedetto XVI, Omelia del 7 maggio 2005 – Insediamento sulla Cathedra Romana).

L’altro spazio su cui la Scrittura oggi apre per noi come una finestra è la terra, il mondo. «Andate e fate discepoli tutti i popoli», abbiamo ascoltato. Insieme con la promessa per la nostra umanità «di raggiungere Cristo, nostro capo, nella gloria», è affidata a noi una missione. Anche in questo, però, ci accompagna la parola di Gesù: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

In queste due dimensioni noi possiamo considerare anche la nostra Beata, di cui ricordiamo i cinquant’anni della sua morte: un momento di svolta radicale perché nel momento della morte noi vediamo il passaggio alla casa del Padre. Per questo, per i beati e i santi il linguaggio ecclesiastico parla di nascita al cielo. Il padre Emanuele Lombardi che celebrò i riti esequiali disse: «il momento più importante in cui la pasqua del cristiano con Cristo si consuma è la morte: il passaggio dalla passione di una vita che si conclude con la morte accettata, alla risurrezione. Orbene Madre Maria Gargani ha consumato la sua pasqua: la sua morte è stata l’immolazione suprema della sua vita. Quest’oggi il suo sacrificio è concluso» (Positio, p. 464).

Nella luce del mistero della ascensione del Signore io penso che nella vita virtuosa della nostra beata possiamo considerare in modo la virtù della speranza, racchiusa nell’esortazione liturgica: sursum corda, in alto i cuori! E in questa prospettiva la nostra Beata ci è senz’altro di ammaestramento e di esempio. Specialmente nelle diverse prove della vita una  delle sue caratteristiche espressioni era questa: «Non temere, se Dio è con noi chi è contro di noi?». Soprattutto ella faceva proprio il motto paolino: «Tutto posso in colui che mi conforta» (Fil 4,13). E qui siamo portati a considerare un dono particolare dello Spirito che è il dono della fortezza. In una sua Catechesi papa Francesco lo richiamò con queste parole: «Non bisogna pensare che il dono della fortezza sia necessario soltanto in alcune occasioni o situazioni particolari. Questo dono deve costituire la nota di fondo del nostro essere cristiani, nell’ordinarietà della nostra vita quotidiana. […] in tutti i giorni della vita quotidiana dobbiamo essere forti, abbiamo bisogno di questa fortezza, per portare avanti la nostra vita, la nostra famiglia, la nostra fede. L’apostolo Paolo ha detto una frase che ci farà bene sentire: “Tutto posso in colui che mi dà la forza”. Quando affrontiamo la vita ordinaria, quando vengono le difficoltà, ricordiamo questo: “Tutto posso in colui che mi dà la forza”. Il Signore dà la forza, sempre, non ce la fa mancare. Il Signore non ci prova più di quello che noi possiamo tollerare. Lui è sempre con noi. “Tutto posso in colui che mi dà la forza”» (Catechesi del 14 maggio 2014.

Il luogo in cui oggi stiamo celebrando la Santa Messa ci ricorda anche la figura mistica di San Pio da Pietrelcina, del quale la nostra la Madre Gargani fu figlia spirituale e del quale conservò come reliquie le lettere: «Ebbi relazione con Padre stimmatizzato per diverso tempo – ha lasciato scritto nella sua Autobiografia – e ricevevo quelle sue lettere, scritte con la destra piagata e, forse, non senza dolore, che mi producevano un benessere sensibile e mi facevano versare lacrime di gioia. Le lettere erano sempre da me custodite come reliquie» (Positio, p. 399).

Padre Pio può a buon titolo essere descritto come L’uomo della speranza (così è intitolato un libro che parla di lui) perché non soltanto era l’uomo della speranza e della fiducia totale in Dio, ma pure perché infondeva queste virtù in tutti quelli che lo avvicinavano, con le parole e con l’esempio. Ed è pure modello di fortezza perché- come fu scritto nel Decreto delle virtù – «egli comprese ben presto che il suo cammino sarebbe stato quello della croce e l’accettò subito con coraggio e per amore. Sperimentò per molti anni le sofferenze dell’anima. Per anni sopportò i dolori delle sue piaghe con ammirabile fortezza. Accettò in silenzio e preghiera i numerosi interventi dell’autorità ecclesiastica e del suo Ordine. Di fronte alle calunnie tacque sempre». La nostra Beata imitò anche nell’esercizio della virtù della fortezza il suo padre spirituale.

Un’ultima riflessione sul mistero dell’Ascensione che oggi celebriamo. La prendo in prestito dal papa San Leone Magno il quale diceva che Christi ascensio, nostra provectio est (Sermo 73, 4: PL 54, 396). Traduco e spiego questa breve frase. La parola latina: provectio vuole dire «spinta in avanti», quasi una promozione! Nel nostro uso comune quest’ultima parola è significativa: la diciamo, ad esempio, quando un figlio è promosso a scuola, quando una figlia ha superato un concorso, quando sul posto di lavoro c’è un avanzamento … Ecco: in Cristo asceso al cielo noi siamo tutti «promossi»! Siamo spinti tra le braccia del Padre del cielo. Chiediamo, allora, a Gesù, il pastore buono delle pecore: «Proteggi, o Signore, queste tue pecorelle e veglia su di noi affinché nessuno si perda e manchi all’incontro definitivo con te. E voi, nostri cari beati e santi, che già siete nel Paradiso, intercedete per noi presso il trono dell’Altissimo perché, fortificati dal dono dello Spirito, non ci stanchiamo di camminare verso il cielo per potere un giorno, insieme con voi, con gli angeli e la Santa Vergine, cantare in eterno le sue lodi. Amen».

 

Chiesa di San Pio in San Giovanni Rotondo, 21 maggio 2023

 

Marcello Card. Semeraro