Omelia nel centenario della morte del Servo di Dio Eustachio Montemurro

 

Dal costato di Cristo è nata la Chiesa

Omelia nel centenario della morte del Servo di Dio Eustachio Montemurro

 

1. Sono riconoscente per l’invito a lodare il Signore insieme con tutti voi, in questo giorno – la domenica – che non è soltanto il giorno del Signore, ma pure – come si legge in un sermone del V secolo – «il signore dei giorni» (cf. Ps. Eusebio di Alessandria, Sermone XVI, 1: PG 86, 416). Lo sono pure per la possibilità di ricordare qui a Gravina in Puglia il centenario del transito del Servo di Dio don Eustachio Montemurro da questa terra alla casa del Padre. La sua morte avvenne il 2 gennaio 1923. Lo onorano soprattutto le due famiglie religiose che a lui si riconducono: le Missionarie del Sacro Costato e delle Missionarie Catechiste del Sacro Cuore.

Sono, al tempo stesso, grato al carissimo vescovo di questa Chiesa – l’arcivescovo Giovanni Ricchiuti – per la sua fraterna accoglienza. A lui sono legato da antica e fraterna amicizia e da indimenticabili legami di servizio al Pontificio Seminario Regionale di Molfetta. Insieme con lui saluto gli altri Arcivescovi e Vescovi che concelebrano e i presbiteri, tra cui rivedo tanti volti amici. Desidero, da ultimo, ripetere il mio grazie alle Autorità civili di questa bella città di Gravina per l’inatteso onore datomi con l’aggregarmi a voi quale cittadino onorario. Con loro saluto le altre autorità militari e di polizia.

Permettetemi, però, di esternare anche altre ragioni più personali, che m’inducono ad ripetere il mio «grazie». Mentre, infatti, scorrevo le pagine del processo diocesano per la beatificazione e canonizzazione del nostro Servo di Dio, trovavo menzionato il nome di alcune care persone. Il p. Alfredo Marranzini S.I., ad esempio, che dal 1987 fu postulatore della Causa; e poi anche il p. Alessandro Galuzzi O. M., che nel suo giudizio di Consultore della Congregazione scrisse che don Eustachio Montemurro era stato «personaggio ecclesiale di prima grandezza» e in altra circostanza aggiunse che si trattava di una «figura che giganteggia per ricchezza spirituale» e che il suo Epistolario rivela un’anima tutta di Dio che apre «ad intuizioni e riflessioni nel senso sacerdotale oggi» (cf. Positio super virtutibus, vol. I, p. 29).

 

2. Noi, però, che siamo riuniti attorno all’unica mensa della Parola di Dio e del Pane eucaristico, dobbiamo ora meditare su quanto abbiamo appena ascoltato. Vi propongo, allora, di riflettere su quanto abbiamo udito dall’apostolo San Paolo: «Coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro » (1Cor 1,2).

Impariamo anzitutto che la santità non è frutto di un nostro sforzo, o della nostra bravura. I santi non sono i più bravi, ma quelli che, come Maria, sanno dire ogni giorno: Dio «ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,48). È Dio che «fa» i santi, anche se poi diciamo che «dobbiamo farci santi»! L’importante, però, è capirsi, essere disponibili e umili.

La seconda cosa che San Paolo ha inteso dirci è che santi lo siamo «insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore». Non si è mai santi da soli. Si è santi tutti insieme. Anche per questo il Concilio Vaticano II ha insegnato che la chiamata alla santità è universale: «Tutti i fedeli di ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una santità la cui perfezione è quella stessa del Padre celeste» (Lumen gentium, n. 11).

Papa Francesco commenta così quell’ognuno per la sua via: «Dunque, non è il caso di scoraggiarsi quando si contemplano modelli di santità che appaiono irraggiungibili. Ci sono testimonianze che sono utili per stimolarci e motivarci, ma non perché cerchiamo di copiarle, in quanto ciò potrebbe perfino allontanarci dalla via unica e specifica che il Signore ha in serbo per noi. Quello che conta è che ciascun credente discerna la propria strada e faccia emergere il meglio di sé, quanto di così personale Dio ha posto in lui e non che si esaurisca cercando di imitare qualcosa che non è stato pensato per lui (Gaudete et exsultate, n. 11).

Per questa ragione accade tanto spesso che i santi si incontrino e vedano intrecciarsi le loro strade. È accaduto anche nella vita terrena del nostro Servo di Dio. Penso al Venerabile Servo di Dio Antonio M. Losito, sacerdote redentorista originario di Canosa, con il quale don Eustachio s’incontrò nel luglio 1906 per un corso di esercizi spirituali. Da allora il P. Losito divenne il suo padre spirituale e lo accompagnò fino alla morte. Fu lo stesso venerabile Losito a presentare don Eustachio al Beato Bartolo Longo, che ne divenne amico e custode a Pompei, dove Montemurro esercitò per lungo tempo il ministero della confessione. Un grande aiuto in momenti di grave difficoltà il nostro Servo di Dio lo ebbe anche da Sant’Annibale M. Di Francia.

 

3. L’altra Parola che desidero ricordare è l’invocazione responsoriale: «Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà». La totale adesione alla volontà di Dio, infatti, attraversò interamente la vita di Don Eustachio Montemurro, specialmente nelle tante ore difficili che ebbe da vivere. In una di queste, scrisse: «Vadano pure, mio Signore, a monte le Opere, ma che io esegua la tua volontà Santissima, che mi sarà sempre espressa dalla Santa Sede […]. La tua verga e il tuo bastone mi consolino e mi allietino; fa’ di me, Signore, quello che ti piace» (Diario spir. 1908—1912, pp. 321-322).

C’è, infine, la dichiarazione cristologica del Battista. Egli indica Gesù e dice: «È lui che battezza nello Spirito Santo» (Gv 1,33). Il quarto evangelista attesta che Gesù ci ha «battezzati» nello Spirito Santo quando il suo costato fu aperto dalla lancia e «subito ne uscì sangue e acqua» (cf. Gv 19,34).

Come dalla roccia colpita da Mosé scaturì nel deserto una sorgente d’acqua (cf. Nm 20, 8-11), così dal costato di Cristo, ferito dalla lancia, sgorga un torrente d’acqua che disseta il nuovo Popolo di Dio. È il dono dello Spirito, che alimenta in noi la vita divina. Tutto ciò, i Padri della Chiesa poi lo vedranno confluire nei sacramenti del Battesimo dell’Eucaristia, coi quali è edificata la Chiesa. Sant’Agostino dirà che «nel costato di Cristo fu come aperta la porta della vita, donde fluirono i sacramenti della Chiesa, senza dei quali non si entra a quella vita che è la vera vita» (In ev. Ioann. Tract., CXX, 2: PL 35, 1953).

Questa sorgente che sgorga dal costato aperto di Cristo Don Eustachio cominciò a contemplarla dal 19 aprile 1905 – giovedì santo – lasciandola, quindi, irrorare sempre più abbondantemente il suo ardore apostolico. Dalla contemplazione dei misteri che quel costato aperto lasciava vedere, il Servo di Dio trasse pure la norma fondamentale della propria vita e di quanti lo avrebbero seguito.

Proponiamoci di farlo anche noi quando, tra poco, sentiremo ripetere le parole del Battista: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!».

 

Concattedrale di Gravina in Puglia, 15 gennaio 2023

 

Marcello Card. Semeraro