Omelia nel «precetto pasquale» del Fatebenefratelli Isola Tiberina – Gemelli Isola

 

Testimoni di una Chiesa che cura

Omelia nel «precetto pasquale» del Fatebenefratelli Isola Tiberina – Gemelli Isola

 

Abbiate il mio saluto, anzitutto. È un saluto che s’inserisce in quello liturgico iniziale per il quale ci siamo reciprocamente riconosciuti come assemblea del Signore. È pure un saluto che si fa augurio per la vostra opera la quale, pur antica, si è di recente rinnovata con l’avvio della «Gemelli Isola Spa», sicché la celebrazione della ormai prossima Santa Pasqua si mostra per essa anche come benedizione del Signore, che è passato dalla morte alla vita.

È una benedizione che si effonde su tutti come interiore energia di pensiero e di azione: sui dirigenti del nuovo Consiglio di Amministrazione, sui Medici e Operatori sanitari nei differenti compiti e responsabilità e soprattutto sugli Ospiti. Per loro, in particolare, l’augurio pasquale può essere ripetuto con le parole conclusive del Salmo responsoriale da poco recitato: «voi che cercate Dio, fatevi coraggio, perché il Signore ascolta i miseri» (Sl 69,33-34).

Il Signore ascolta, potrebbe intendersi come appellativo di Dio, un po’ come lo è divenuta nella storia della santità l’esortazione ripetuta da un «folle di Dio»: «Fate bene fratelli a voi stessi per amore di Dio»! Fatebenefratelli è titolo rimasto, pure nella sua trasformazione, a questa antica istituzione. Ve lo confesso: per me si tratta di una bella provocazione! Il comando dell’amore del prossimo, infatti, è ripetuto nel cristianesimo e lo sarà ancora domani, ricordando nella Messa «nella Cena del Signore» il mandatum di Gesù.

Cosa vuol dire, però, l’amare l’altro come se stesso? Ho francamente l’impressione che nei commenti questo parallelo sia abitualmente aggirato, evitato. Tanto è strano! La storia di San Giovanni «di Dio» può aiutarci a comprenderlo. Forse proprio per questo egli fu ritenuto pazzo e, per essere capito, ebbe bisogno di un santo, San Giovanni di Avila. «Fate bene, fratelli, a voi stessi».

L’amare se stessi non è narcisismo, ma riconoscere nel povero, nel malato e nel bisognoso il volto di quel Cristo, che «mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 1,20). Il cristiano ama se stesso, come Cristo lo ha amato: ossia donando se stesso al prossimo, soprattutto se è nel bisogno! Torno allora al Salmo responsoriale, dove è stato pure ripetuto un lamento, un pianto: «Mi sento venir meno. Mi aspettavo compassione, ma invano, consolatori, ma non ne ho trovati» (Sl 69,21).

Nella prospettiva cristiana è una profezia del Calvario. Sant’Ilario lo chiamava sacramentum passionis Domini, «sacramento della passione del Signore» (Tract. in LXVIII psalmum, 1: PL 9, 471); è anche, però, la figura di una situazione umana purtroppo tanto diffusa. Ci hanno commosso, oltre che interrogato le parole del Papa nell’Omelia di domenica scorsa sui «cristi abbandonati» e fra questi anche quelli «invisibili, nascosti, che vengono scartati coi guanti bianchi: bambini non nati, anziani lasciati soli – può essere tuo papà, tua mamma forse, il nonno, la nonna, abbandonati negli istituti geriatrici –, ammalati non visitati … Gli abbandonati di oggi. I cristi di oggi».

È in questa compassione cristiana, che si esprime, si mostra anche pubblicamente il volto di una Chiesa «ospedale da campo», di cui Francesco parla sin dal principio del suo ministero petrino. È, questo, un tema che personalmente mi è molto caro e che ho immaginato e cercato d’incarnare specialmente negli ultimi anni del mio ministero episcopale in una Chiesa particolare. La «cura» è uno stile pastorale.

È in questa compassione cristiana che s’inserisce pure la vostra attività, carissimi amici. Penso, così, alla scelta di Francesco di istituire, col chirografo del 29 settembre 2021, una «Fondazione per la Sanità Cattolica» quale ente collegato alla Santa Sede. Per i suoi contenuti, però, penso più ancora alle riflessioni del Papa nel suo Messaggio per la XXVI Giornata Mondiale del Malato (2018) il cui tema – riletto oggi – ci introduce senz’altro nel Triduo Pasquale. Francesco, infatti, spiegava il servizio della Chiesa ai malati e a coloro che se ne prendono cura alla luce dalle parole che Gesù, innalzato sulla croce, rivolse a sua madre Maria e a Giovanni: «“Ecco tuo figlio ... Ecco tua madre”. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé» (Gv 19,26-27). Sono parole – scriveva Francesco – che non soltanto illuminano profondamente il mistero della Croce, ma che pure «diventano regole costitutive della comunità cristiana e della vita di ogni discepolo».

In tale prospettiva, egli ricordava le origini di tante strutture nate nella Chiesa per la cura degli infermi; le metteva in guardia da alcuni gravi rischi (come quello  «dell’aziendalismo, che in tutto il mondo cerca di far entrare la cura della salute nell’ambito del mercato, finendo per scartare i poveri») e richiamando la necessità la persona del malato «venga rispettata nella sua dignità e mantenuta sempre al centro del processo di cura».

Queste parole del Papa sono, lo so bene, il vostro programma. In esse, carissimi, inserisco pure il mio augurio pasquale per tutti voi e le vostre famiglie.

 

Roma, 5 aprile 2023, mercoledì santo

 

Marcello Card. Semeraro