Omelia nella beatificazione dei martiri de La Commune de Paris- 1871

 

Una storia di dolore, che è storia di speranza

Omelia nella beatificazione dei martiri de La Commune de Paris- 1871

 

Celebriamo questo rito all’incirca negli stessi giorni in cui, centocinquantadue anni or sono, avvenne il martirio dei nostri Beati e, come accadde allora, anche nel contesto delle feste pasquali, quando furono arrestati: il giovedì santo, 6 aprile 1871, il p. Mathieu Henri Planchat, dell’Istituto di San Vincenzo de’ Paoli; il successivo 12 aprile, mercoledì di Pasqua, i padri Ladislas Radigue, Polycarpe Tuffier, Marcellin Rouchouze e Frézal Tardieu della Congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e Maria e della Perpetua Adorazione del Sacratissimo Sacramento. Il loro martirio, poi, avvenne il 26 maggio e fu di venerdì, giorno in cui la pietà cristiana ricorda settimanalmente la morte del Salvatore!

Nel contesto di tali coincidenze ho riascoltato insieme con voi il bellissimo racconto dei due discepoli che, nel loro cammino sulla strada per Emmaus, furono accostati da Gesù risorto e, da ultimo, dopo averlo riconosciuto nello spezzare il pane, esclamarono gioiosi: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Il racconto è tra i più belli e suggestivi del Vangelo. Nel suo Gesù, Jean Guitton scriveva che se fosse necessario rinunciare a tutto il vangelo per una sola scena in cui esso sia interamente riassunto, non esiterebbe certo a indicare quella dei discepoli di Emmaus. E tuttavia, mentre ascoltavo con voi la proclamazione di questo bellissimo incontro pasquale, quasi in controcanto mi tornavano alla memoria queste altre parole evangeliche: «Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo. Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce» (Mt 27,31-32 e parr). Come il cireneo, anche i nostri martiri hanno portato la croce di Gesù, ma poi, come Gesù, sono stati «crocifissi» sicché hanno vissuto in prima persona le sue parole: «bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria!». Via Crucis, via di Emmaus.

Le testimonianze raccolte in occasione del processo per la Beatificazione e Canonizzazione ci dicono come i nostri martiri hanno affrontato la morte. Solo brevi citazioni, per rinvigorirci nell’amore per Cristo. Nella lettera indirizzata al fratello Eugène il 23 maggio, il beato Planchat scrive: «Nous avons pu confesser. Notre sacrifice est fait […]. Je ne suis pas triste, je t’assure: je prie pour tous; priez pour moi et pour tous les habitants de la prisons» (Summ. Docum., p. 666). Nei primi giorni dello stesso mese il beato Ladislas Radigue scrive al suo Superiore: «J’ai éprouvé combien le Seigneur est bon et quelle assistance il donne à ceux qu’il éprouve pour la gloire de son nom. J’ai même un peu compris, après l’avois goûté, le superabundo gaudio in tribulatione de St. Paul» (Ibid, p. 670-671). Simili espressioni si potrebbero citare degli altri beati. Comprendiamo così come pure a loro si possano adattare, nel senso più vero e reale, le parole dell’Apostolo: «se siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione» (Rm 6,5).

Nella lettera apostolica Salvifici doloris (1984) San Giovanni Paolo II dedicò un capitolo al «vangelo della sofferenza»: vangelo perché scritto dallo stesso Gesù «con la propria sofferenza assunta per amore, affinché l’uomo “non muoia, ma abbia la vita eterna”» (n. 25). Primo capitolo di questo vangelo – proseguiva – è quello «scritto, lungo le generazioni, da coloro che soffrono persecuzioni per Cristo» e lì ci sono pure le righe scritte dai nostri beati. C’è, quindi – aggiungeva quel Papa –, l’altro grande capitolo di questo vangelo ed è quello scritto da «tutti coloro che soffrono insieme con Cristo, unendo le proprie sofferenze umane alla sua sofferenza salvifica» (n. 26). Ed è qui che i nostri beati martiri diventano per noi un esempio, un modello.

Le vicende nelle quali furono coinvolti e divennero vittime (ed evidentemente non loro soltanto, ma tante altre decine di persone, massacrate dalla violenta follia dei rivoluzionari) formano una storia intricata e complessa dove si rimescolano istanze di vario genere, si sovrappongono condizioni antiche e nuove, ideologie sociali e sentimenti irreligiosi, appelli di verità ma anche fiumi di menzogna al punto da formare una miscela che avvelena l’uomo.

La storia di questi martiri diventa così un monito anche per l’oggi; nella prospettiva cristiana, tuttavia, rimane una storia di speranza, poiché (e qui cito Benedetto XVI, la cui memoria è ancora viva tra noi) «il bene vince e, se a volte può apparire sconfitto dalla sopraffazione e dalla furbizia, in realtà continua a operare nel silenzio e nella discrezione portando frutti nel lungo periodo. Questo è il rinnovamento sociale cristiano, basato sulla trasformazione delle coscienze, sulla formazione morale, sulla preghiera; sì, perché la preghiera dà la forza di credere e lottare per il bene anche quando umanamente si sarebbe tentati di scoraggiarsi e di tirarsi indietro» (Omelia del 14 giugno 2008).

In questo «corpo», che è la Chiesa, anche le storie dimissionarie, come quelle dei due che se ne erano partiti via da Gerusalemme, possono trasformarsi in storie missionarie, come conclude il racconto: «narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane». E questo non vale soltanto per loro. Nel racconto evangelico, difatti, rimangono alcune interessanti incognite. Una riguarda il luogo dell’incontro col Signore, sicché c’è pure chi intende Emmaus come un luogo dello spirito. C’è poi l’anonimato del discepolo, che cammina insieme con Cleopa e questo è un vuoto che si potrebbe colmare col nome di ciascuno di noi. Ognuno, infatti, quasi un lector in fabula, può immettersi nella storia evangelica. In qualunque luogo e in qualsivoglia situazione ci troviamo, possiamo entrare nel racconto e affiancarci a Cleopa; dubitare, lamentarci e da ultimo, insieme con lui, riconoscere il Signore e rallegrarci della sua presenza.

Guardando all’esempio dei beati martiri e fiduciosi nella loro intercessione presso il trono dell’Agnello, ciascuno di noi può pregare, magari avendo in prestito le parole dei due di Emmaus secondo la parafrasi che ne fece J. S. Bach in una sua famosa cantata: «Resta con noi, Signore, Gesù Cristo, perché è scesa la sera. La tua Parola divina, luce splendente, non smetta mai di illuminarci. Fa’ che la luce della tua Parola risplenda su di noi e ci conservi a te fedeli». Amen.

 

Église Saint-Sulpice – Paris, 22 aprile 2023

 

Marcello Card. Semeraro

 

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Une histoire de douleur, qui est une histoire d’esperance

Homélie de la Béatification des martyrs de la Commune de Paris – 1871

 

Nous célébrons ce rite à peu près au même moment où, il y a cinquante deux ans, eut lieu le martyr de nos Bienheureux et, aussi dans le contexte des fêtes pascales, comme ce fut le cas quand ils furent arrêtés : le Jeudi Saint, 6 avril 1871, le Père Mathieu Henri Planchat, de l’Institut de Saint Vincent de Paul ; le 12 avril suivant, mercredi de Pâques, les Pères Ladislas Radigue, Polycarpe Tuffier, Marcellin Rouchouze et Frézal Tardieu, de la Congrégation des Sacrés-Cœurs de Jésus et de Marie et de l’Adoration Perpétuelle du Saint-Sacrement. Leur martyre advint ensuite le 26 mai, qui fut un vendredi, jour où la piété chrétienne rappelle chaque semaine la mort du Sauveur !

Dans le contexte de telles coïncidences j’ai réécouté avec vous le magnifique récit des deux disciples qui, dans leur cheminement sur la route d’Emmaüs, furent accostés par Jésus ressuscité et finalement, après l’avoir reconnu à la fraction du pain, s’écrièrent tout joyeux : « notre cœur n’était-il pas brûlant en nous, tandis qu’il nous parlait sur la route et nous ouvrait les Ecritures ? » Ce récit fait partie des plus beaux et des plus suggestifs de l’Evangile. Dans son Jésus, Jean Guitton dit que s’il était nécessaire de renoncer à tout l’Evangile pour une seule scène dans lequel il soit entièrement résumé, il retiendrait sans hésiter celle des disciples d’Emmaüs. En même temps, alors que j’écoutais avec vous la proclamation de cette magnifique rencontre pascale, me revenaient en mémoire ces autres paroles évangéliques : « Quand ils se furent bien moqués de lui, ils lui enlevèrent le manteau, lui remirent ses vêtements et l’emmenèrent pour le crucifier. En sortant, ils trouvèrent un nommé Simon, originaire de Cyrène, et ils le requisitionnèrent pour porter la croix » (Mt 27, 31-32). Comme le Cyrénéen, nos martyrs aussi ont porté la croix de Jésus, mais ils ont ensuite été « crucifiés » de telle sorte qu’ils ont vécu personnellement ses paroles : « il fallait que le Christ souffrît cela pour entrer dans sa gloire ! »

Les témoignages rassemblés à l’occasion du procès de Béatification et de Canonisation nous disent comment nos martyrs ont affronté la mort. Seulement quelques brèves citations pour nous renforcer dans l’amour du Christ. Dans la lettre adressée à son frère Eugène le vingt-trois mai, le Bienheureux Planchat écrit : « Nous avons pu nous confesser. Notre sacrifice est fait (…) Je ne suis pas triste, je t’assure : je prie pour tous ; priez pour moi et pour tous les habitants de la prison » (Summ. Docum., p.666). Dans les premiers jours du même mois le Bienheureux Ladislas Radigue écrit à son Supérieur : « J’ai éprouvé combien le Seigneur est bon et quelle assistance il donne à ceux qu’il éprouve pour la gloire de son nom. J’ai même un peu compris, après l’avoir goûté, le superabundo gaudio in tribulatione de St Paul » (Ibid., p.670-671). On pourrait citer des expressions semblables des autres Bienheureux. Nous comprenons ainsi combien nous pouvons leur appliquer, au sens le plus vrai et le plus réel, les paroles de l’Apôtre : « Si nous avons été unis à lui par une mort qui ressemble à la sienne, nous le serons aussi par une résurrection qui ressemblera à la sienne » (Rm 6, 5).

Dans sa lettre apostolique Salvifici doloris (1984) Saint Jean Paul II a consacré un chapitre à « l’Évangile de la souffrance » : Évangile parce qu’il est écrit par Jésus lui-même « par sa propre souffrance assumée par amour, afin que l'homme « ne périsse pas mais ait la vie éternelle » » (n.25). Le premier chapitre de cet Évangile – poursuivait-il – est celui qui « est écrit au cours des générations par ceux qui souffrent des persécutions pour le Christ » et ici nous trouvons également les lignes écrites par nos Bienheureux. Il y a donc – ajoutait le Pape – l’autre grand chapitre de cet Évangile, qui est celui qui est écrit par « tous ceux qui souffrent avec le Christ, en unissant leurs souffrances humaines à sa souffrance salvifique ». Et c’est là que nos bienheureux martyrs deviennent pour nous un exemple, un modèle.

Les cisconstances dans lesquelles ils furent impliqués et ont été victimes (et évidemment pas eux seulement, mais plusieurs dizaines d’autres personnes massacrées par la folie violente des révolutionaires) constituent une histoire embrouillée et complexe où se mêlent des instances de toutes sortes, se superposent conditions anciennes et nouvelles, idéologies sociales et sentiment antireligieux, appels à la vérité mais aussi fleuves de mensonges au point de former un mélange qui empoisonne l’homme.

C’est ainsi que l’histoire de ces martyrs devient aussi un avertissement pour aujourd’hui ; dans la perspective chrétienne, elle demeure cependant une histoire d’espérance, parce que (et je cite Benoît XVI, dont la mémoire est encore vive parmi nous) « le bien l'emporte et, si parfois il peut sembler mis en échec par l'abus et la ruse, il continue en réalité d'œuvrer dans le silence et dans la discrétion en portant des fruits à long terme. Tel est le renouveau social chrétien, fondé sur la transformation des consciences, sur la formation morale, sur la prière; oui, parce que la prière donne la force de croire et de lutter pour le bien même lorsqu'on serait humainement tenté de se décourager et de reculer » (Homélie du 14 juin 2008). 

Dans ce « corps » qu’est l’Église, même les histoires de démission, comme celle des deux hommes qui avaient quitté Jérusalem, peuvent se transformer en histoire de mission, ainsi que se conclut notre récit : « ils racontaient ce qui s’était passé sur la route, et comment le Seigneur s’était fait reconnaître par eux à la fraction du pain ». Et cela ne vaut pas seulement pour eux. Dans le récit évangélique, en effet, demeurent quelques facteurs inconnus interessants. Le premier regarde le lieu de la rencontre avec le Seigneur, de sorte certains entendent même Emmaüs comme un lieu de l’esprit. Il y a ensuite l’anonymat du disciple qui chemine avec Cléophas, un vide que l’on pourrait combler avec le nom de chacun d’entre nous. Chacun, en effet, comme un lector in fabula, peut se retrouver dans l’histoire évangélique. Dans quelque lieu ou situation que ce soit où nous nous trouvons, nous pouvons entrer dans le récit et accompagner Cléophas ; douter, nous lamenter et enfin, avec lui, reconnaître le Seigneur et nous réjouir de sa présence.

En considérant l’exemple des bienheureux martyrs et confiants dans leur intercession près du trône de l’Agneau, chacun de nous peut prier, en empruntant peut-être les paroles que Jean Sébastien Bach dans une de ses fameuses cantates met dans la bouche des compagnons d’Emmaüs : « Reste avec nous Seigneur Jésus Christ, car le jour baisse. Que ta Parole divine, lumière resplendissante, ne cesse jamais de nous illuminer. Fais que la lumière de ta Parole brille sur nous et nous garde fidèles à toi ». Amen.