Omelia nella beatificazione dei martiri Luigj Paliq e Gjon Gazulli

 

Mentendo, diranno male di voi

Omelia nella beatificazione dei martiri Luigj Paliq e Gjon Gazulli

Il panorama che la proclamazione delle Beatitudini evangeliche (cf. Mt 5,1-12) apre ai nostri occhi è splendido e spazioso, un po’ somigliante a quello che il pellegrino nella Terra Santa ammira, quando si affaccia a quella meravigliosa «finestra» sul Mare di Galilea che è la «Montagna delle Beatitudini». C’è questa parola: Beati che ricorre come le note di una sinfonia e ogni volta apre scenari di bellezza interiore: la consolazione nel pianto, la pace e la giustizia, la non violenza, la forza del perdono… E, ogni volta, questa parola Beati è come se ci ripresentasse un aspetto del volto di Gesù, il nostro Salvatore; ogni volta che la risentiamo dalle sue labbra, è come se Gesù si mostrasse a ciascuno di noi per quello che intimamente è e, ogni volta, ci dicesse: «imparate da me che sono mite e umile di cuore» (Mt 2,29). Le Beatitudini sono il disegno, il ricamo del volto di Gesù.

All’improvviso, però, questo scenario, così colmo di promesse che aprono alla speranza, è come offuscato, come quando una nube nera sopraggiunge a nasconderci il sole e, allora, sentiamo dire: «Beati i perseguitati per causa della giustizia… Beati quando vi insulteranno. vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia…». Accade, allora, che queste parole, arrivate al termine della proclamazione delle Beatitudini, ci riportino alle storie di dolore sofferte da tanti cristiani, dall’inizio sino ancora ad oggi, forse anche a tante nostre storia personali.

Ci riportano pure alla storia di sofferenza e di morte vissuta dai due martiri, che oggi la Chiesa ha proclamato Beati, aggregandoli ai trentotto martiri beatificati otto anni or sono ancora qui a Scutari, il 5 novembre di otto anni or sono.  Il primo, Luigi Paliq, è un sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori, nato a Janievo, in Kossovo, una terra che San Giovanni Paolo II una volta ricordò come «ricca di storia gloriosa... » (Udienza del 15 novembre 1989); l’altro, Gjon Gazulli, è sacerdote diocesano di questa santa Chiesa di Scutari. Per ambedue si è verificata la parola di Gesù: «vi insulteranno. vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia…»!

Nel testo evangelico c’è questa parola tremenda, che appesantisce tutto e fa venire i brividi: mentendo! È la precisazione che fa l’evangelista Matteo rispetto a quanto affermato pure nella versione secondo Luca: lì i cristiani sono perseguitati proprio perché tali, qui si precisa che è pure riguardo alla loro condotta che sono accusati. Questo, però, con la falsità, con la menzogna. San Girolamo, un santo dottore della Chiesa originario di questa sponda del Mediterraneo, commentava che proprio qui è la ragione della Beatitudine evangelica: perché sono molti quelli che sono perseguitati e messi a morte, ma non sono Beati; lo sono invece quelli che sono «maledetti», ossia calunniati, oppressi e messi a morte per causa di Gesù. Conclude: là dove c’è di mezzo Cristo, allora essere maledetti vuol dire diventare beati (cf. Comment. in Matthaeum I, 24: PL 26, 35).

Papa Francesco, il quale proprio nel contesto della chiamata universale alla santità ci ha lasciato un commento alle Beatitudini del Vangelo, ha con poche, ma efficaci parole attualizzato questa presenza della menzogna nella persecuzione di un cristiano. Ha scritto che a volte si tratta pure «di scherni che tentano di sfigurare la nostra fede e di farci passare per persone ridicole». Intende dirci che la parola della beatitudine evangelica è attuale anche laddove non c’è persecuzione, ma c’è indifferenza, o derisione. Ha perciò concluso che «accettare ogni giorno la via del Vangelo nonostante ci procuri problemi, questo è santità» (Gaudete et exsultate, n. 94).

I nostri due Beati facevano del bene e furono calunniati e con la menzogna furono condannati. Così avvenne per il p. Paliq, la cui vicenda è da collocarsi durante la Prima Guerra Balcanica, quando la parrocchia di Pejë, dove svolgeva il suo ministero, gli occupatori del Montenegro, alleato della Serbia, esercitavano una politica repressiva contro la popolazione di etnia albanese, commettendo pretestuosamente violenze e omicidi. Egli, camminando verso il luogo del martirio, diceva: «O Gesù, sia per il tuo amore». Anche l’uccisione del beato Gazulli fu falsamente motivata e all’origine della sua uccisione ci fu un processo-farsa: fu condannato con false accuse e quindi impiccato nella periferia di Scutari, nella zona chiamata «Fushë druve». Egli, come Gesù, il «martire» per eccellenza e il «testimone fedele» (Ap 1,5), morì perdonando i suoi uccisori.

Quanto importante è divenuto, nella nostra epoca specialmente, questo tema della menzogna, della falsità, dell’inganno! Certo, questi tristi comportamenti umani ci sono sempre stati, si direbbe; oggi, però, in quella che è chiamata l’epoca della post-verità (post-truth) la questione si è ulteriormente complicata. Basti pensare a quanta disinformazione e a quante bugie che rovinano la vita del prossimo e di un popolo passano sul web, al punto da rendere estremamente problematico separare il vero dal falso. Oggi, ci interessa ancora la «verità»? Non è una questione da trattare in una omelia, durante una celebrazione eucaristica, oltretutto bella e consolante come questa. Almeno, però, una affermazione dovrebbe rimanerci nel cuore e nella mente circa la splendore e la santità della verità. La riprendo da san Tommaso d’Aquino, il quale abitualmente ripeteva che «la Verità, chiunque la dica, viene dallo Spirito Santo». Per questo l’apostolo san Paolo poteva scrivere: «chi ci separerà dall’amore di Cristo?» (Rm 8,35). La menzogna divide: allontana non soltanto da Cristo, ma pure dai fratelli, dagli altri perché la falsità è divisiva, crea inimicizie, lotte, morte. La verità, invece, unisce: non soltanto ci unisce fra di noi, ma ci unisce al Signore Gesù, che è Verità e Vita (cf. Gv 14,6).

Dalla beatificazione dei nostri due Martiri portiamo con noi questa parola di guida e di conforto. Abbiamo, cioè, come san Paolo, la persuasione che nulla «potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore». Il suo, infatti, è un amore che riesce a trasformare le sconfitte in vittorie sicché in tutte queste cose «noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati» (cf. Rm 5,37-39). Amen.

 

Cattedrale di Santo Stefano, Scutari (Albania), 16 novembre 2024

 

Marcello card. Semeraro