Omelia nella beatificazione dei Servi Dio Simeone Cardon e 5 Compagni

L’amore che vince la paura

Omelia nella beatificazione dei Servi Dio Simeone Cardon e 5 Compagni

Religiosi professi della Congregazione dei Cistercensi di Casamari, martiri.

 

1. «Non abbiate paura». È l’incoraggiamento, che un giorno Gesù rivolse ai suoi discepoli ed a noi, oggi. Stamane nella proclamazione del Vangelo lo abbiamo udito per ben due volte. È un incoraggiamento, che il Signore ci dona non solo con le parole, ma più ancora col suo esempio. Così, infatti, predicava sant’Agostino: «Il Signore interveniva a togliere ogni timore dal loro cuore con la parola, dicendo: Non temete quelli che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima. Lo faceva, però, anche con l’esempio, mettendo in pratica egli stesso per primo ciò che ordinava con la parola. Egli, di fatto, non volle evitare la mano di quelli che lo frustavano, né gli schiaffi di quelli che lo colpivano, né la saliva di quanti lo coprivano di sputi, né la corona di coloro che gli ponevano sulla testa le spine e neppure la croce di quelli che lo uccidevano. Non volle evitare niente di tutto ciò per amore di coloro ai quali, invece, tutto questo era necessario, ossia i martiri, che hanno sofferto e corso gravi pericoli tra le grandi tempeste dell’odio di questo mondo. Non lo dico tanto delle sofferenze del corpo, che prima o poi avrebbero dovuto abbandonare, quanto dei pericoli per la stessa fede. Se, infatti, fossero venuti meno, o avessero ceduto di fronte ai gravissimi dolori delle persecuzioni, oppure si fossero lasciati sedurre dall’amore per questa vita, avrebbero perduto ciò che Dio aveva loro promesso. Il Signore, però, interveniva togliendo ogni timore dal loro cuore e facendo di se stesso la medicina per la loro debolezza. I martiri, infatti, hanno sofferto e certamente sarebbero venuti meno, se non li avesse soccorsi di continuo colui che diceva: Ecco, io sono con voi sino alla consumazione del mondo» (cf. Enarrat. in Psalmos 69,1: PL 36, 865).

La gioia dell’interiore certezza che il Padre del cielo ci ama. In questa medesima gioia rivolgo il mio fraterno saluto al carissimo vescovo Ambrogio Spreafico e gli altri fratelli Vescovi concelebranti; al Reverendissimo padre Abate di questa Comunità monastica e agli altri Abati presenti; ai sacerdoti e a tutti voi, fratelli e sorelle. Un deferente saluto lo riservo alle Autorità presenti. Viviamo, dunque, nella gioia e nella cristiana fraternità questo evento a lungo atteso.

 

2. Sotto il profilo storico il martirio subito dai nostri Beati è lontano nel tempo, ma questo non lo rende meno attuale. Erano uomini fragili e timorosi: vulnerabili, come lo siamo un po’ tutti noi e come si mostra soprattutto questa fase di pandemia, che ha avuto vittime anche qui nella persona dell’abate Eugenio Romagnuolo e che ancora tanto ci preoccupa. «L’anno scorso eravamo più scioccati», ha ammesso il Papa, la scorsa Domenica delle Palme ed ha aggiunto che «quest’anno siamo più provati». Anche i nostri Beati martiri umanamente non erano dei «guerrieri». Erano persone deboli e paurose. Dalla loro storia sappiamo che, nella previsione di quanto sarebbe accaduto e nel timore per la propria vita, l’abate della Comunità se n’era fuggito a Palermo presso la Corte dei Borboni e poi, quando, una vola accolti, i militari francesi fuggitivi da Napoli cominciarono ad essere sempre più violenti, anche altri monaci si diedero alla fuga, o si nascosero negli orti. Lo stesso priore Dom Simeone Cardon cercò, in un primo momento, di nascondersi nell’orto dell’abbazia, ma poi, riflettendo su ciò che stavano subendo i confratelli, si rianimò e decise di rientrare nel monastero.

Umanamente, questi martiri, non erano degli eroi «da fumetto», ma delle persone normali. Erano uomini paurosi, come tutti noi lo siamo; lo siamo ancora di più in una società che è quasi ossessionata dalla ricerca della sicurezza. Paradossalmente, però, questa ricerca piuttosto che eliminare la paura, quasi incentiva. Come ha scritto un notissimo autore, «siamo “oggettivamente” le persone più al sicuro nella storia dell’umanità» eppure la paura aumenta (Z. Bauman). Anche sotto il profilo cristiano, la nostra vita di credenti non è mai senza combattimento. Non esiste. Infatti, un cristianesimo facile.

Commentando la pagina di Vangelo oggi proclamato, Papa Francesco mette in guardia da una concezione «turistica» della vita cristiana e ci ricorda anch’egli che «non esiste la missione cristiana all’insegna della tranquillità! Le difficoltà e le tribolazioni fanno parte dell’opera di evangelizzazione, e noi siamo chiamati a trovare in esse l’occasione per verificare l’autenticità della nostra fede e del nostro rapporto con Gesù. Dobbiamo considerare queste difficoltà come la possibilità per essere ancora più missionari e per crescere in quella fiducia verso Dio, nostro Padre, che non abbandona i suoi figli nell’ora della tempesta. Nelle difficoltà della testimonianza cristiana nel mondo, non siamo mai dimenticati, ma sempre assistiti dalla sollecitudine premurosa del Padre. Per questo, […] Gesù rassicura i discepoli dicendo: “Non abbiate paura!”» (Angelus del 25 giugno 2017).

La storia di questo martirio c’insegna proprio questa verità. Nell’ascolto del brano dell’Apocalisse, poco fa abbiamo udito: «”Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?”. Gli risposi: “Signore mio, tu lo sai”. E lui: “Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello”».

 

3. Nessuno di noi potrà perseverare nella sequela di Cristo senza tribolazione, senza conflittualità, senza «combattimento spirituale». Già nelle lettere di san Paolo sono innumerevoli i testi in cui la vota cristiana è paragonata ad una lotta. Oltre un secolo prima dell’evento martiriale che oggi rievochiamo, un grande autore spirituale aveva scritto che «la vera e perfetta vita spirituale» non consiste nella macerazione della carne e nelle molte penitenze e neppure nella moltiplicazione delle preghiere vocali e delle pratiche esteriori e neppure nello starsene nella pace di un chiostro, nel silenzio del coro, nella solitudine regolata da una disciplina … Indubbiamente questi sono dei mezzi importanti, ma la perfetta vita spirituale consiste nel conoscere l’amore infinito di Dio e anche la propria debolezza e, convinti di ciò, nell’ingaggiare la lotta spirituale per dare morte ai proprio disordinati desideri e affetti per compiere sempre ed in tutto la volontà di Dio (cf. L. Scupoli, Combattimento spirituale cap. 1).

È, dunque, da questa prospettiva che oggi la Parola del Signore ci chiede di guardare alla testimonianza dei nuovi Beati: la fiducia nella sua premura paterna. Egli si prende cura di noi. È la confortante certezza, che deve invadere il nostro cuore davanti a questo annuncio. «Voi valete più di molti passeri»! Lo abbiamo ascoltato. Due passeri valgono appena «un soldo», spiega Gesù, ma il Padre nostro non è un mercante e non ci guarda con l’occhio dell’economia, del calcolo, del valore commerciale… Commentando con una buona dose d’ironia il testo paolino, che domanda: «Forse Dio si prende cura dei buoi?» (1Cor 9,9), sant’Ambrogio diceva: «Un bue ha certo valore più di un passerotto ma altra cosa è darsi pensiero, altro aver conoscenza. Peraltro anche il numero dei capelli è da interpretarsi non nel senso del calcolo, ma nella volontà che non vadano perduti» (cf. Exp. Ev. sec. Lucam, VII, 112: PL 15, 1727). Gesù stesso ci ha detto che la volontà del Padre è di non perdere nulla di quanto gli ha dato… (cf. Gv 6,39).

Dobbiamo sapere vigilare. Come sapientemente avvertiva sant’Ignazio di Loyola nei suoi Esercizi spirituali, al fine di paralizzare la nostra libertà e distoglierci da Dio il nemico della natura ingigantisce sempre le nostre paure sicché è proprio presentando con fiducia a Dio la propria fragilità, impariamo a non farci sopraffare dalla paura, ma a lasciarci amare da Lui (cf. ES n. 315. 325).

È da qui che comincia la fede. Desidero, allora, concludere con le parole usate da Benedetto XVI a conclusione di una sua catechesi: «questa è la fede: essere amato da Dio e lasciarsi amare da Dio in Cristo Gesù. Questo lasciarsi amare è la luce che ci aiuta a portare il fardello di ogni giorno. E la santità non è un’opera nostra, molto difficile, ma è proprio questa “apertura”: aprire le finestre della nostra anima perché la luce di Dio possa entrare, non dimenticare Dio perché proprio nell’apertura alla sua luce si trova forza, si trova la gioia dei redenti. Preghiamo il Signore perché ci aiuti a trovare questa santità, lasciarsi amare da Dio, che è la vocazione di noi tutti e la vera redenzione» (Udienza del 16 febbraio 2011). A lui sia la gloria, nei secoli dei secoli. Amen.

Abbazia di Casamari, 17 aprile 2021

Marcello Card. Semeraro

Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi