Omelia nella beatificazione della Venerabile Serva di Dio Elisa Martinez

 

Chi si abbassa sarà innalzato

Omelia nella beatificazione della Venerabile Serva di Dio Elisa Martinez

 

«Siate sempre lieti nel Signore», abbiamo ascoltato in principio della seconda lettura, e Sant’Agostino spiega: «rallegratevi nella speranza dell’eternità; per tutto il tempo che sarete quaggiù rallegratevi così e dovunque» (cf. Sermo 171,5: PL 38, 935). È con questa gioia che ci ritroviamo insieme, sotto lo sguardo della Vergine Maria, per lodare con Lei e come Lei il Signore per il dono che questa nostra terra del Salento oggi riceve: la beatificazione della Venerabile Serva di Dio Elisa Martinez, fondatrice della Congregazione delle Figlie di Santa Maria di Leuca. Ci rallegriamo come figli e figlie della Santa Madre Chiesa, ma pure come uomini e donne di questa nostra bella terra del Salento. In uno recente discorso, infatti, il Santo Padre Francesco ha avuto modo di ricordare che Dio non fa i santi in laboratorio, ma «li costruisce in grandi cantieri, in cui il lavoro di tutti, sotto la guida dello Spirito Santo, contribuisce a scavare profondo, a porre solide fondamenta e a realizzare la costruzione, ponendo ogni cura perché cresca ordinata e perfetta, con Cristo come pietra angolare» (Discorso del 3 giugno 2023).

Con queste parole il Papa intendeva mettere in evidenza che la santità, se pure ha dall’Alto la sua chiamata, tuttavia ha normalmente le sue radici in habitat umani; in storie «di terra e di Chiesa» sicché, rivolto ai pellegrini ai Pellegrini giunti da Concesio e da Sotto il Monte, in occasione del 60° della morte di Giovanni XXIII e dell’elezione di Paolo VI, proseguiva: «Dalle vostre radici viene la linfa per andare avanti, per crescere, e anche per dare una storia e un senso della vita ai vostri figli e ai vostri nipoti. Amate le vostre radici, non staccate l’albero dalle radici: non darà frutto. Cercate di progredire sempre in armonia con le vostre radici, in sintonia con le vostre radici». Concludeva esortando: «Amare le vostre radici sia per voi amare il Vangelo di Gesù e amare come Gesù ha amato nel Vangelo».

Il medesimo invito lo faccio a voi, giunto qui a Santa Maria di Leuca per adempiere al mandato del Papa di proclamare, in suo nome, la beatificazione di Madre Elisa Martinez. È la prima volta che una simile Liturgia è celebrata nella nostra terra e questo può diventare per tutti noi un segnale, un richiamo, un invito pressante a essere santi: «Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri», c’incoraggia l’apostolo San Paolo. È un «breviario» di agire cristiano (cf. Cipriano [?], De singularitate clericorum, PL 4, 870).

«Quello che è virtù e merita lode». Proprio questo ha esaminato la Chiesa considerando la vita della nostra Beata. Le virtù. Quelle che le sono state riconosciute sono le virtù teologali (fede, speranza e carità), quelle cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza), i consigli evangelici della castità, povertà e obbedienza, più quelle virtù che chiamiamo «annesse», tra le quali un posto di primaria importanza è occupato dall’umiltà.

Di questa virtù il Santo Curato d’Ars diceva che «è simile alla bilancia; chi più s’abbassa da una parte, più viene innalzato dall’altra» ed è ciò che è avvenuto anche per la nostra Beata. Alcune testimonianze nel processo per la beatificazione dicono che proprio l’umiltà è stata la sua caratteristica. Diremo che questa virtù è stata come il cemento col quale Madre Elisa ha costruito il suo edificio spirituale, di modo che ogni cosa la faceva con gioia senza aspettarsi compensi e apprezzamenti umani; accettando, anzi, quelle umiliazioni che lo stesso servizio del prossimo comporta. «L’umiltà può radicarsi nel cuore solamente attraverso le umiliazioni. Senza di esse non c’è umiltà né santità», scrive papa Francesco (Gaudete et exsultate, n. 118).

È stata peraltro proprio l’umiltà a spingere Madre Elisa preferenzialmente verso gli umili, i poveri,  i malati e i sofferenti. «Vorrei dilatare il mio cuore per abbracciare tutte le creature sparse in ogni angolo della terra – diceva – specialmente le più bisognose ed emarginate». Questo mi fa ricordare un detto medievale, che dice: «Sono tre i gradini per i quali l’uomo sale al cielo: la povertà, l’umiltà e la carità: Hi sunt tres gradus, per quos homo ascendit in coelum: paupertas, humilitas, charitas» (Alano di Lilla, Lib. Sent: De Sancta Maria, 32: PL 210, 248).

Questo fu detto per la Vergine Maria, ma vale pure per la nostra Beata. Amava i poveri, ma perché? Perché in essi scopriva più limpido il volto di Cristo. San Paolo VI, del quale in questi giorni abbiamo ricordato il LX della elezione alla Cattedra di Pietro, nell’omelia della messa celebrata il 23 agosto 1968 per i campesinos colombiani disse loro: «Voi siete un segno, voi un’immagine, voi un mistero della presenza di Cristo. Il sacramento dell’Eucaristia ci offre la sua nascosta presenza viva e reale; mai voi pure siete un sacramento, cioè un’immagine sacra del Signore fra noi, come un riflesso rappresentativo, ma non nascosto, della sua faccia umana e divina».

Durante la proclamazione della pagina del vangelo abbiamo ascoltato questa promessa: «Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!».  Gesù non lo disse perché il buon Dio stia lì a contarci i capelli, commentava il Crisostomo, ma perché – spiegava – «non crediate che soffrite quello che soffrite perché siete abbandonati» (In Matth. Hom. 34,2: PG 57, 401). Madre Elisa si è sentita proprio così: sempre custodita dalle mani di Dio, anche nei momenti dell’incomprensione, del sospetto e del rifiuto. Ella era ben consapevole che Dio ci accoglie in tutto quello che noi siamo e in tutto quanto ci accade.

Di questo tutti noi dobbiamo essere ben certi. Vi ripeto alcune parole pronunciate da Benedetto XVI, di cara e santa memoria, durante l’Omelia della Santa Messa celebrata nel giorno dell’Assunzione, nella parrocchia di Castel Gandolfo il 15 agosto 2010. Come Vescovo di Albano io ero seduto accanto a lui e avevo possibilità di osservarlo bene. Lo guardavo, dunque, in quel suo parlare a braccio, assorto e con lo sguardo fisso verso un orizzonte misterioso, quasi leggesse un testo manoscritto. Disse che noi esistiamo perché Dio ci ama e in Lui esistiamo non solo nella nostra «ombra», ma in tutta la nostra realtà. «La nostra serenità, la nostra speranza, la nostra pace si fondano proprio su questo: in Dio, nel Suo pensiero e nel Suo amore, non sopravvive soltanto un’ombra di noi stessi, ma in Lui, nel suo amore creatore, noi siamo custoditi e introdotti con tutta la nostra vita, con tutto il nostro essere nell’eternità […]. Dio accoglie nella Sua eternità ciò che ora, nella nostra vita, fatta di sofferenze e di amore, di speranza, di gioia e di tristezza, cresce e diviene […]. Il Cristianesimo non annuncia solo una qualche salvezza dell’anima in un impreciso al di là, nel quale tutto ciò che in questo mondo ci è stato prezioso e caro verrebbe cancellato, ma promette la vita eterna, “la vita del mondo che verrà”: niente di ciò che ci è prezioso e caro andrà in rovina, ma troverà pienezza in Dio. Tutti i capelli del nostro capo sono contati, disse un giorno Gesù». È quello che la Santa Chiesa vuole dirci quando ci presenta la figura di un santo, di una beata.

«Sulla base di tale solidità interiore – ci ricorda papa Francesco –, la testimonianza di santità, nel nostro mondo accelerato, volubile e aggressivo, è fatta di pazienza e costanza nel bene. È la fedeltà dell’amore, perché chi si appoggia su Dio (pistis) può anche essere fedele davanti ai fratelli (pistós), non li abbandona nei momenti difficili, non si lascia trascinare dall’ansietà e rimane accanto agli altri anche quando questo non gli procura soddisfazioni immediate» (Gaudete et exsultate, n. 112).

Il dono di questa «interiore solidità» domandiamola anche per noi, oggi, mentre siamo qui a Leuca davanti al Santuario dedicato a Colei che, «umile e alta» (Dante Alighieri, Paradiso, 33,2), primeggia tra gli umili e i poveri del Signore (cf. Lumen gentium, n. 55); domandiamo per l’intercessione di Lei, che di cuore invochiamo Santa Madre di Dio, Madre della Chiesa. Intanto le diciamo: Madre nostra, prega per noi, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.

 

Santuario di Santa Maria di Leuca, 25 giugno 2023

 

Marcello card. Semeraro