Omelia nella beatificazione di don Giuseppe Bernardi e don Mario Ghibaudo, martiri

 

Due braccia per intercedere

Omelia nella beatificazione di don Giuseppe Bernardi e don Mario Ghibaudo, martiri

 

Che la Chiesa di oggi sia «Chiesa di martiri» è affermazione che troviamo ripetuta sulle labbra del Papa, sin dai primi giorni del suo servizio sulla Cattedra di Pietro. Una volta, anzi, disse: «possiamo dire, in verità, che la Chiesa ha più martiri che nel tempo dei primi secoli» (Omelia in Santa Marta, 15 aprile 2013). Alla schiera dei martiri che, rivestiti di candida veste, gridano al Signore: «Fino a quando, Sovrano, non farai giustizia?» (cf. Ap 6,9-11), si uniscono oggi i due sacerdoti di questa Chiesa di Cuneo: don Giuseppe Bernardi, che all’epoca dei tragici episodi conosciuti come «la strage di Boves» era il parroco della comunità cristiana, e don Mario Ghibaudo, il vicario parrocchiale, giovane che solo poche settimane prima aveva ricevuto l’ordinazione presbiterale.

La loro vicenda martiriale è ben nota a voi tutti. Alla luce della parola del Signore proclamata in questa Messa domenicale, però, noi vogliamo comprenderla meglio e soprattutto assorbirla nella nostra vita. La prima lettura, difatti, ci ha rimesso sotto gli occhi l’immagine di Mosé che, come scrive san Gregorio di Nissa, «vinse gli Amaleciti col semplice gesto di stendere le mani» (De vita Moysis: PG 44, 313). Il suo era un gesto di intercessione a favore di Israele sofferente nella lotta. Il Catechismo della Chiesa Cattolica lo ricorda come profezia dell’intercessione di Gesù sulla croce. «La preghiera di Mosè – ricorda – è la toccante figura della preghiera di intercessione, che raggiungerà il pieno compimento nell’unico “mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù” (1Tm 2,5)» (n. 2574).  

Oggi, allora, a me pare di potere assimilare i nostri due beati alle due braccia di Mosè, innalzate per intercedere in favore della Santa Chiesa di Cuneo. In fin dei conti, però, non è questo un compito proprio di ogni sacerdote? L’Autore della Lettera agli Ebrei ne fa un compito specifico del Sommo Sacerdote (cf. 5,1-3). La missione sacerdotale, infatti, «è essenzialmente una mediazione intercessoria», come è stato autorevolmente scritto. «Il sacerdote intercede, non perché è santo, o perché è più meritevole degli altri, ma perché crede alla forza redentrice del suo Signore a favore della moltitudine» (P. Bovati, La porta della Parola. Per vivere la misericordia, Vita e Pensiero, Milano 2017, p. 186). Per questo, nell’attuale Rito per l’ordinazione dei presbiteri, tra le domande che il vescovo rivolge ai candidati una dice così: «Volete insieme con noi implorare la divina misericordia per il popolo a voi affidato, dedicandovi assiduamente alla preghiera, come ha comandato il Signore?». I candidati rispondono: Sì, lo voglio! All’epoca di don Bernardi e di don Ghibaudo queste domande non erano presenti nel Rito di ordinazione; il Sì, lo voglio, però, loro lo dissero con la propria vita e col proprio martirio.

Potremo, dunque, considerare in questa prospettiva intercessoria il ministero sacerdotale e il martirio dei nostri due beati. Di don Giuseppe Bernardi una testimone ha dichiarato: «Non è fuggito per amore del suo gregge, per difendere la popolazione. Don Giuseppe era buono e generoso; è stato il buon pastore che dà la vita per le pecore…» (Ibid. Test. XIV, § 428). Così pure, di don Mario Ghibaudo che fu ucciso proprio mentre esercitava il proprio ministero sacerdotale amministrando l’assoluzione a una persona morente, una teste ha affermato: «Era il sacerdote che svolgeva il suo ministero; stava aiutando la gente a mettersi in salvo e nel frattempo assolveva e benediceva» (Ibid. Test. XXIX, § 722). È così che i nostri due beati hanno innalzato, come Mosè, le loro mani verso il cielo, intercedendo presso Dio.

La loro figura, che li assimila a Cristo crocifisso, è eloquente anzitutto per noi sacerdoti. Pone, difatti, in primo piano la figura del ministero sacerdotale come intercessione. Vi accennò Papa Francesco nella Messa Crismale del 2018, quando, quasi colloquiando con ogni sacerdote, disse: «Se tu ti senti lontano dalla gente, avvicinati al Signore, alla sua Parola: nel Vangelo Gesù ti insegnerà il suo modo di guardare la gente, quanto vale ai suoi occhi ognuno di coloro per i quali ha versato il suo sangue sulla croce. Nella vicinanza con Dio, la Parola si farà carne in te e diventerai un prete vicino ad ogni carne. Nella vicinanza con il popolo di Dio, la sua carne dolorosa diventerà parola nel tuo cuore e avrai di che parlare con Dio, diventerai un prete intercessore».

L’intercessione, però, è compito di ogni cristiano. L’apostolo San Paolo lo afferma chiaramente: «Raccomando prima di tutto che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini» (1Tm 2,1). La preghiera cristiana è sempre e anzitutto intercessione per tutti gli uomini; non è mai preghiera parziale, ma sempre preghiera cattolica, inclusiva. «L’orante – ci ricorda Papa Francesco – prega per il mondo intero, portando sulle sue spalle dolori e peccati. Prega per tutti e per ciascuno: è come se fosse un’“antenna” di Dio in questo mondo» (Catechesi del 16 dicembre 2020).

L’intercessione, vorrei aggiungere, è la forma ultima della responsabilità cristiana verso il mondo. Quando, infatti, null’altro possiamo fare per aiutare il prossimo, ci rimane sempre la possibilità d’innalzare le braccia verso Dio e intercedere. «E Dio – lo abbiamo ascoltato durante la proclamazione del vangelo – non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente» (Lc 18,7-8).

Non solo ogni cristiano, ma tutta la Chiesa ha la missione di praticare la preghiera di intercessione, di intercedere per gli altri. In particolare – ci ricorda ancora il Papa – «ne ha il dovere chiunque sia posto in un ruolo di responsabilità: genitori, educatori, ministri ordinati, superiori di comunità… Come Abramo e Mosè, a volte devono “difendere” davanti a Dio le persone loro affidate. In realtà, si tratta di guardarle con gli occhi e il cuore di Dio, con la sua stessa invincibile compassione e tenerezza» (Catechesi cit.).

Con questo animo, dunque, ripeto per voi, carissimi, un’antica preghiera di benedizione: «Vi sia propizia l’intercessione gloriosa dei vostri martiri, la cui morte è preziosa agli occhi di Dio» (cf. Sacramentario Gregoriano: PL 78, 166). Amen.

 

Santuario Madonna dei Boschi di Boves, 16 ottobre 2022

 

Marcello Card. Semeraro