Infanzia e paternità spirituali
Omelia nella beatificazione del Venerabile Moisés Lira Serafín
«Chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli» (Mt 18,4), abbiamo udito dalle parole del vangelo e ci chiediamo: chi è in ultima analisi il «piccolo» di cui sta parlando Gesù? Dove trovarlo? Un santo, san Bernardo, ch’è pure un grande innamorato di Maria, rispondeva: il piccolo al quale noi dobbiamo guardare e che dobbiamo volere imitare è Gesù, che fu mite e umile di cuore (cf. In capite jejunii II, 1: PL 183, 171). Una delle caratteristiche del nuovo beato Moisés Lira Serafín è stata proprio questa: riprodurre in sé l’immagine di Cristo Figlio, mite e umile, e proporre questo volto di Gesù anche all’imitazione delle sue figlie spirituali, le «Misionarias de la Caridad de María Inmaculada», guidandole nel cammino della infanzia spirituale.
Cosa vuol dire questa espressione? Intende l’avere piena consapevolezza che in Gesù anche noi siamo figli del Padre. Dio è l’Abbà, il Padre (cf. Rm 8,15; Gal 4,6), che «rivela ai piccoli ciò che ha nascosto ai sapienti e agli intelligenti» (Mt 11,25). Il nostro Beato è gradualmente entrato in questo mistero di grazia sicché, come ha detto un testimone nel processo per la beatificazione, quando si trattava di Dio egli parlava come un vero figlio e parlava di Dio come un vero padre facendolo con una tenerezza che impressionava. Non è, questo, un invito per noi? Quello di «Padre» è il nome di Dio, che Gesù ci ha non solo insegnato, ma donato come eredità. Come, allora, noi lo recitiamo?
San Cipriano di Cartagine diceva: «Quale grande l’amore del Signore Gesù, quanto grande la sua bontà verso di noi! Ha voluto che pregando alla sua presenza invocassimo Dio alla stessa maniera di come lui lo chiamava lui, cioè Padre e ha pure voluto che noi pensassimo a noi stessi come a figli di Dio, un po’ come egli stesso è Figlio di Dio. Come oseremmo pronunciare questo nella nostra preghiera, se Gesù stesso non ce lo avesse permesso? E allora dobbiamo pure ricordare e sapere, fratelli carissimi, che quando chiamiamo Dio nostro «Padre», dobbiamo pure comportarci come suoi figli sicché, come noi ci rallegriamo nel chiamare Dio come nostro Padre, anche Lui possa trovare gioia per ciascuno di noi» (cf. Cipriano, De oratione Dominica XI, PL 4, 526). Anche oggi, allora, già durante questa Santa Messa, cerchiamo di pregare così, con gioia e con fiducia, la preghiera del Padre nostro.
Considerando, però, la sua vita terrena ci rendiamo conto che alla viva percezione di questo spirito di «figlio» il beato Moisés non è arrivato percorrendo una via facile. Da ragazzo prima e da adolescente poi, infatti, egli ha avuto non poche difficoltà: la morte della mamma, che avvenne quando aveva solo cinque anni; i continui spostamenti ai quali era costretto per il lavoro del papà, il quale pure si risposò affidando Moisés al curato. Nonostante tutto, il suo carattere rimase allegro, giocoso e scherzoso. In questo il nostro Beato può essere anche presentato modello per tante persone che hanno avuto un’infanzia e una gioventù affettivamente povere. Le testimonianze hanno detto di lui che era molto gioviale, che amava rendere tutti felici ed era evidente che la sua gioia sgorgava dal di dentro, certo per il suo stabile rapporto con Dio. I suoi confratelli religiosi testimoniarono che la sua gioia era una accostamento di virtù diverse e che il suo scopo era quello di rendere gli altri felici. Anche per la conclusione della sua vita terrena un testimone ha dichiarato: «Ho visto personalmente p. Mosè molto malato e prostrato, e nonostante ciò scherzava con noi. In mezzo alle tante sue malattie, cercava di non essere un peso per tutti noi e per gli altri. A fondamento della sua gioia – ha dichiarato un altro testimone – era il fare sempre la volontà di Dio, come ha fatto Gesù: era qui la sua fonte di gioia. Così il Beato Moisés ha vissuto la «piccolezza» di cui ci ha parlato il Vangelo.
Prima di chiudere questa mia riflessione, permettete che sottolinei un’altra sua caratteristica, che ci riporta ad una attuale istanza nella Chiesa. Si tratta del suo speciale carisma per la direzione spirituale, che esercitava non solo nella celebrazione del sacramento della Penitenza, cui dedicava dalle sei alle otto ore al giorno, ma pure nell’accompagnamento di tante persone, che guidava pure nella scelta di vita. La sua infanzia spirituale qui si trasformava in paternità spirituale con cui infondeva nei cuori pace, confidenza in Dio, sicurezza. Non abbatteva, ma sollevava lo spirito, dicevano di lui e questo è un bisogno molto avvertito nella Chiesa di oggi.
Voi sapete, carissimi, che nel prossimo mese di ottobre si terrà a Roma la seconda sessione della sedicesima Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Nel materiale preparato per questi lavori fra l’altro si legge che «una Chiesa sinodale è una Chiesa che ascolta, capace di accogliere e accompagnare» ed che è, perciò, «appare sommamente opportuno dar vita a un ministero dell’ascolto e dell’accompagnamento riconosciuto ed eventualmente istituito, che renda concretamente sperimentabile un tratto così caratteristico di una Chiesa sinodale. Serve una “porta aperta” della comunità, attraverso cui le persone possano entrare senza sentirsi minacciate o giudicate». Si tratta, si sottolinea pure, di un ministero che non può essere ritenuto come riservato ai soli ministri della Chiesa. Esso, anzi, «riveste un carattere profetico» giacché ascolto e accompagnamento sono una dimensione ordinaria per tutti i Battezzati (cf. Instrumentum laboris nn. 33-34). Si tratta, ben lo sappiamo, delle opere di misericordia di cui parla la tradizione cristiana.
L’auspicio è che questa solenne celebrazione possa essere nella Chiesa un bel segnale d’incoraggiamento. Affidiamo tutto questo alla Vergine Maria, la Virgen morenita tanto amata e venerata in questo Santuario di Guadalupe. Desidero onorarla con alcune parole del Papa Francesco, al quale sono grato per avermi inviato tra voi per questo rito di Beatificazione. Le pronunciò due anni or sono, durante una Messa in onore della Guadalupana. Disse che viviamo in un «periodo amaro, pieno di fragori di guerra, di crescenti ingiustizie, carestie, povertà, sofferenza»; aggiunse, però, che «sebbene questo orizzonte appaia cupo e sconcertante, con presagi di ancor più grande distruzione e desolazione, comunque la fede, l’amore e la condiscendenza divini ci insegnano e ci dicono che anche questo è un tempo propizio di salvezza, nel quale il Signore, attraverso la Vergine Maria, meticcia, continua a donarci suo Figlio, che ci chiama a essere fratelli, a mettere da parte l’egoismo, l’indifferenza e l’antagonismo, invitandoci a farci carico “in fretta” gli uni degli altri, ad andare incontro ai fratelli e alle sorelle dimenticati e scartati dalle nostre società consumistiche e apatiche, i nostri fratelli e sorelle messi da parte. Oggi come ieri, Santa Maria di Guadalupe vuole incontrarci, come un giorno incontrò Juan Diego sulla collina del Tepeyac. Vuole restare con noi. Ci supplica di permetterle di essere nostra madre, di aprire la nostra vita a suo Figlio Gesù e di accogliere il suo messaggio per imparare ad amare come Lui» (Omelia del 12 dicembre 2022). In tutto questo ci aiutino pure l’esempio e l’intercessione del beato Moisés. Amen.
__________
Infancia y paternitad espirituales
Homilía en la beatificación del Venerable Moisés Lira Serafín
«El que llegue a ser tan pequeño como este niño será el más grande en el reino de los cielos» (Mt 18,4), hemos escuchado de las palabras del evangelio y nos preguntamos: ¿quién es en definitiva el “pequeño” del que habla Jesús? ¿Dónde podemos encontrarlo? Un santo, san Bernardo, que es también un gran amante de María, respondió: el pequeño al que debemos mirar y al que debemos querer imitar es Jesús, que era manso y humilde de corazón (cf. In capite jejunii II, 1: PL 183, 171). Una de las características del nuevo Beato Moisés Lira Serafín era precisamente ésta: reproducir en sí mismo la imagen de Cristo Hijo, manso y humilde, y proponer este rostro de Jesús también para la imitación a sus hijas espirituales, las «Misioneras de la Caridad de María Inmaculada», guiándolas por el camino de la infancia espiritual.
¿Qué significa esta expresión? Significa ser plenamente conscientes de que en Jesús también nosotros somos hijos del Padre. Dios es Abbá, el Padre (cf. Rm 8,15; Gal 4,6), que «revela a los pequeños lo que ha ocultado a los sabios y a los entendidos» (Mt 11,25). Nuestro Beato entró poco a poco en este misterio de gracia, de modo que, como dijo un testigo en el proceso para su beatificación, cuando se trataba de Dios hablaba como un verdadero hijo y hablaba de Dios como un verdadero padre, haciéndolo con una ternura que impresionaba. ¿No es esto una invitación para nosotros? Pues «Padre» es el nombre de Dios, que Jesús no sólo nos enseñó, sino que nos dio en herencia. ¿Cómo lo recitamos?
San Cipriano de Cartago decía: «¡Qué grande el amor del Señor Jesús, qué grande su bondad para con nosotros! Quiso que, orando en su presencia, invocáramos a Dios del mismo modo que él lo llamaba, es decir, Padre, y quiso también que nos consideráramos hijos de Dios, un poco como él mismo es Hijo de Dios. ¿Cómo nos atreveríamos a decir esto en nuestra oración si Jesús mismo no nos lo hubiera permitido? Y así también debemos recordar y saber, amadísimos hermanos, que cuando llamamos a Dios nuestro «Padre», también debemos comportarnos como hijos suyos, para que, así como nosotros nos alegramos de llamar a Dios nuestro Padre, también él se alegre por cada uno de nosotros» (cf. Cipriano, De oratione Dominica XI, PL 4, 526). Intentemos, pues, también hoy, durante esta Santa Misa, rezar la oración del Padre Nuestro de este modo, con alegría y confianza.
Considerando, sin embargo, su vida terrena, nos damos cuenta de que el Beato Moisés no llegó a la percepción viva de este espíritu de «hijo» siguiendo un camino fácil. De hecho, de niño primero y de adolescente después, tuvo muchas dificultades: la muerte de su madre, ocurrida cuando sólo tenía cinco años; los constantes desplazamientos a los que se vio obligado a causa del trabajo de su padre, que también se volvió a casar, confiando a Moisés al sacerdote. A pesar de todo, su carácter seguía siendo alegre, juguetón y bromista. En esto, nuestro Beato puede presentarse también como un modelo para muchas personas que tuvieron una infancia y una juventud afectivamente pobres. Los testimonios decían de él que era muy jovial, que le encantaba hacer feliz a todo el mundo y era evidente que su alegría brotaba de su interior, ciertamente por su relación estable con Dios. Sus hermanos religiosos atestiguan que su alegría era una combinación de diferentes virtudes y que su objetivo era hacer felices a los demás. Incluso al final de su vida terrenal, un testigo declaró: «Vi personalmente al P. Moisés muy enfermo y postrado, y sin embargo bromeaba con nosotros». En medio de sus numerosas enfermedades, intentaba no ser una carga para todos nosotros y para los demás. El fundamento de su alegría -dice otro testigo- era hacer siempre la voluntad de Dios, como Jesús: ésta era su fuente de alegría». Así vivía el Beato Moisés la «pequeñez» de la que nos habla el Evangelio.
Antes de concluir esta reflexión mía, permítanme subrayar otra característica suya, que nos remite a un caso actual en la Iglesia. Se trata de su especial carisma para la dirección espiritual, que ejerció no sólo en la celebración del sacramento de la Penitencia, al que dedicaba de seis a ocho horas diarias, sino también en el acompañamiento de muchas personas, a las que también orientó en su opción de vida. Su infancia espiritual se transformó aquí en paternidad espiritual, con la que infundía en los corazones paz, confianza en Dios, seguridad. No abatía, sino que elevaba el espíritu, decían de él, y ésta es una necesidad muy sentida en la Iglesia de hoy.
Sabéis, queridos amigos, que el próximo mes de octubre se celebrará en Roma la segunda sesión de la decimosexta Asamblea General Ordinaria del Sínodo de los Obispos. En el material preparado para estos trabajos se lee, entre otras cosas, que «una Iglesia sinodal es una Iglesia que escucha, capaz de acoger y de acompañar» y que, por tanto, «parece muy oportuno dar vida a un ministerio reconocido y eventualmente instituido de escucha y de acompañamiento, que haga concretamente experimentable tal rasgo característico de una Iglesia sinodal». Se necesita una «puerta abierta» a la comunidad, por la que la gente pueda entrar sin sentirse amenazada o juzgada». Se trata, se subraya también, de un ministerio que no puede considerarse reservado únicamente a los ministros de la Iglesia. Al contrario, «tiene un carácter profético», ya que la escucha y el acompañamiento son una dimensión ordinaria para todos los bautizados (cf. Instrumentum laboris nn. 33-34). Se trata, como bien sabemos, de las obras de misericordia mencionadas en la tradición cristiana.
Esperemos que esta celebración solemne pueda ser un hermoso signo de aliento en la Iglesia. Encomendemos todo esto a la Virgen María, la Virgen morenita tan amada y venerada en este santuario de Guadalupe. Deseo honrarla con unas palabras del Papa Francisco, a quien agradezco que me haya enviado entre vosotros para este rito de beatificación. Las pronunció hace dos años, durante una misa en honor de la Guadalupana. Dijo que vivimos un «tiempo amargo, lleno de fragmentos de guerra, de injusticia creciente, de hambre, de pobreza, de sufrimiento»; agregó, sin embargo, que «aunque este horizonte se presenta sombrío y desconcertante, con presagios de destrucción y desolación aún mayores, sin embargo la fe, el amor y la condescendencia divina nos enseñan y nos dicen que también éste es un tiempo propicio de salvación, en el que el Señor, por medio de la Virgen María, mestiza, nos sigue dando a su Hijo, que nos llama a ser hermanos, a dejar a un lado el egoísmo, la indiferencia y a ser buenos amigos», invitándonos a hacernos cargo «rápidamente» unos de otros, a tender la mano a los hermanos y hermanas olvidados y descartados por nuestras sociedades consumistas y apáticas, a nuestros hermanos y hermanas desechados. Hoy como ayer, Santa María de Guadalupe quiere encontrarse con nosotros, como una vez se encontró con Juan Diego en el cerro del Tepeyác. Quiere quedarse con nosotros. Nos suplica que le permitamos ser nuestra madre, que abramos nuestra vida a su Hijo Jesús y acojamos su mensaje para aprender a amar como Él» (Homilía del 12 de diciembre de 2022). Que el ejemplo y la intercesión del beato Moisés nos ayuden en todo esto. Amén.
Basílica de Santa María de Guadalupe, 14 de septiembre 2024
Marcello Card. Semeraro