Omelia nella beatificazione Giovanni Francesco Macha

 

Omelia nella beatificazione di Giovanni Francesco Macha

 

 

    «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12, 24).

        

    Cari Fratelli e Sorelle!

1.    Le parole del Vangelo di Giovanni ci portano al cuore della celebrazione che ci vede oggi riuniti insieme, alla vigilia della Solennità di Cristo Re dell’Universo, in questa Cattedrale di Katowice a Lui dedicata. Sant’Agostino commentò così l’insegnamento di Gesù sul chicco di grano: «Egli parlava di se stesso. Era lui il granello che doveva morire per moltiplicarsi»[1]. La testimonianza che Giovanni Francesco Macha, oggi Beato, ha dato al Signore Gesù è una pagina di fede e carità veramente eroica, nella storia di questa Chiesa dell’Alta Slesia. Anche egli morì, proprio come il chicco di grano: fu ucciso da un sistema nazista pieno di odio verso chi semina il bene, per mostrare all’uomo di oggi che il dominio terreno passa, mentre perdura il Regno di Cristo, il quale, come legge suprema, ha il comandamento della carità. San Giovanni Paolo II – che nacque non molto lontano da questa città – ha detto: «Cristo regna dall’alto della Croce, trono di amore e non di dominio»[2]. Fedele al più grande comandamento del Vangelo, cioè quello dell’amore, il Beato Giovanni Francesco Macha, sebbene molto giovane – aveva appena vent’otto anni –, scelse di dare la vita per il Regno di Cristo. In lui vediamo compiuto l’annuncio della Sapienza dell’Antico Testamento: «Giunto in breve alla perfezione, ha conseguito la pienezza di tutta la vita» (Sap 4, 13); anche se, secondo la logica umana, morì prematuramente, la sua speranza fu piena di immortalità e di pace (cf. Sap 3, 2).

 

2.    Il nuovo Beato nacque a Chorzów Stary il 18 gennaio 1914. Un profondo legame che lo tenne sempre unito alla sua famiglia, un legame pieno di riconoscenza e affettuosità, di profondo rispetto verso i genitori, i fratelli e le sorelle. Anche nelle ore tragiche del suo arresto e della sua condanna, era preoccupato per la sofferenza dei suoi cari genitori, ai quali scriveva dalla prigione: «Rendo lode a Dio nel modo, in cui qui mi è possibile e prego l’Onnipotente affinché consoli Voi, amati Genitori. Perché l’unica cosa che mi rincresce, sono i Vostri volti tristi e il cuore pieno di dolore. Spero che il Signore vi consoli».

Il 25 giugno 1939 fu ordinato sacerdote, appena tre mesi prima che scoppiasse il grande conflitto mondiale, che causò la morte a milioni di persone. In questo peculiare contesto il giovane sacerdote iniziò il proprio servizio pastorale come vicario presso la Parrocchia di San Giuseppe a Ruda Śląska. Mentre imperversavano in Polonia e nel mondo le violenze e i soprusi della guerra, egli comprese che solo la fede e la carità permettono di riconoscere ad ogni persona, creata ad immagine e somiglianza di Dio, la propria irrinunciabile dignità. Sin dai primi giorni del suo sacerdozio si mise quindi al servizio del prossimo, incamminandosi sulla strada della eroica realizzazione dell’amore, quella che poi lo condurrà al sacrificio della vita. Si prendeva cura di tante famiglie, toccate dall’incubo della guerra. Nessuna sofferenza lo lasciava indifferente: là dove qualcuno veniva arrestato, deportato, fucilato, portava conforto e sostegno materiale. E non badava alle differenze di nazionalità, confessione religiosa o livello sociale. Quanto è prezioso oggi il suo esempio! Quanto è chiaro il suo insegnamento! In una società divisa, dove individualismo ed egoismo sembrano affermarsi sempre di più per la mancanza di relazioni autentiche e rapporti sinceri, il nostro Beato ci ricorda che Cristo ci giudicherà per l’amore e per il bene che abbiamo compiuto. Nel solco del suo martirio ha seminato, come seme fecondo, la forza di questa verità, che ancora oggi permane e porta frutto. Dice ancora Sant’Agostino: «Chi compie per Cristo non solamente opere di misericordia corporali, ma qualsiasi opera buona, egli è servo di Cristo, specie se giungerà fino a quella grande opera di carità che consiste nell'offrire la propria vita per i fratelli, che equivale a offrirla per Cristo».

 

3.    Il Beato Giovanni Francesco Macha svolse il ministero per poco meno di tre anni (1939-1942). In questo breve arco di tempo, Cristo lo trovò degno di sé (cf. Sap 3, 5). Scrisse il Beato ai genitori, pochi giorni prima di morire: «Il mio amato Salvatore è la mia unica Consolazione e la mia Vita». Fortificato da questa convinzione, egli, da giovane sacerdote, divenne vittima: fu perseguitato, malmenato, maltrattato. Con la sofferenza, diluita nel tempo, continuava la sua intransigente disponibilità ad imitare il Maestro, accettando con serenità la propria condanna. Portò nel proprio corpo la morte di Gesù – per usare l’espressione di San Paolo, che abbiamo ascoltato oggi – e fu fedele sino alla fine. Venne perseguitato, ma non si sentì mai abbandonato. Morì per portare frutto, perché la vita di Gesù si manifestasse nel suo corpo mortale (cf. 2Cor 4, 18-12). Poco prima che fosse eseguita la pena capitale, scriveva: «Fra quattro ore sarà eseguita la condanna. Quando allora leggerete questa lettera, io non sarò più tra i vivi! Rimanete con il Signore! Perdonatemi tutto! (…) Ho vissuto per breve tempo, ma ritengo di aver raggiunto il mio scopo. Non disperate. Tutto andrà bene. La foresta, senza un albero, rimarrà foresta». Con le sue parole egli ci lascia il suo insegnamento supremo. Testimonia che ognuno, su questa terra, è stato creato per una missione da compiere. Descrive il bene come più grande dell’interesse dei singoli: le aspirazioni alla felicità sono autentiche se diventano difesa della giustizia, servizio al bene comune, condivisione, accoglienza, rispetto, attenzione alle necessità degli altri. Invita infine a rimanere con il Signore, a ricercarlo nella preghiera e nel dialogo interiore, a glorificarlo in una vita santa. Da questa immagine della foresta, cui è stato tolto uno degli alberi, comprendiamo ancora meglio il Vangelo: il chicco caduto in terra morì, ma può, anzi deve, continuare a portare in noi oggi un abbondante frutto. Giovanni Francesco Macha, il nuovo Beato, come un albero tagliato in giovane età, ha posto il fondamento per la costruzione di una casa stabile per le future generazioni, alle quali consegna, con la vita sigillata con il proprio sangue, un messaggio chiaro: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13).

 

4.    Cari fratelli e sorelle! A voi, chiesa particolare dell’Alta Slesia, viene oggi in qualche modo riconsegnato questo vostro giovane sacerdote: lo ricevete come Beato, come patrono e intercessore davanti al Signore.

    All’intercessione del nuovo Beato non possiamo non affidare una preghiera particolarmente sentita per i seminaristi e i sacerdoti, specialmente quelli più giovani. Ha detto il Santo Padre Francesco: «Essere preti è giocarsi la vita per il Signore e per i fratelli, portando nella propria carne le gioie e le angosce del Popolo, spendendo tempo e ascolto per sanare le ferite degli altri, e offrendo a tutti la tenerezza del Padre»[3]. L’esempio e l’amicizia del Beato Macha portino frutto nel dono di sante vocazioni al servizio di questo popolo buono e tenace.

Pregate ancora il Beato Giovanni Francesco Macha per tutte le necessità delle famiglie e della società. Non mancate di invocarlo per la vostra Chiesa, perché sia sempre unita al suo vescovo nel promuovere la carità, per eliminare le divisioni e combattere le ingiustizie. La venerazione verso il nuovo Beato si esprima, in questa terra di Slesia, non solo mediante i monumenti e le lapidi di pietra, ma attraverso opere concrete di amore misericordioso, soprattutto nei degradati borghi postindustriali, andando incontro a chi, ancora oggi, è ferito nella sua dignità di uomo. Accogliete l’invito di questo sacerdote, elevato oggi agli onori degli altari, ad aprire nuovi spazi per incontrare i giovani e ad ingaggiarli per il servizio del Vangelo nei diversi stati di vita cristiana.

 

5.    Il periodo di pandemia, ancora in corso, ha reso necessario attendere questo giorno per la cerimonia che ci vede radunati. Abbiamo capito, in questi mesi, come inconsistente è la vita e instabile la quotidianità. Ma soprattutto ci siamo resi conto di quanto bisogno abbiamo gli uni degli altri. Muoviamo i primi passi del cammino sinodale, che Papa Francesco ha proposto alle Chiese di tutto il mondo, con questa consapevolezza: la famiglia dei figli di Dio ha molto da dire al mondo di oggi, molto da offrire per il bene di tutti. La comunione, la partecipazione e la missione renderanno la Chiesa più capace di dialogo con questo cambiamento d’epoca che stiamo vivendo. Questo cammino sinodale che anche la vostra comunità ecclesiale sta percorrendo sia illuminato dal messaggio di vita del nuovo Beato: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto (cf. Gv 12, 24), così atteso e così necessario nella costruzione del Regno di Cristo.

Ringraziando quindi il Signore per il dono del Beato Giovanni Francesco Macha, il cui sangue prezioso ha bagnato ancora questa gloriosa terra di Santi, ci affidiamo all’intercessione materna della Regina della Polonia, Maria Vergine Madre di Dio. Imitiamo la stessa devozione del nostro nuovo Beato, che nei giorni della prigionia intrecciava una cordicella per recitare il Rosario. In Maria, insieme con lui, contempliamo l’immagine di quello che desideriamo e speriamo di essere nella Chiesa.

    Maria, Regina della Polonia, prega per noi!

    Beato Giovanni Francesco Macha, prega per noi!

 

    Katowice, Cattedrale di Cristo Re, 20 novembre 2021

 

Marcello Card. Semeraro

 

[1] Commento al Vangelo di San Giovanni, Omelia 51.

[2] Udienza Generale, 18 settembre 2002.

[3] Ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per il Clero, 1 giugno 2017.