Omelia nella festa della Trasfigurazione del Signore

 

Il Vaticano II, un incontro con Gesù

Omelia nella festa della Trasfigurazione del Signore.

 

È da diversi anni una nostra bella abitudine, carissimi, ritrovarci in preghiera vicino alla tomba di san Paolo VI e celebrare qui la Santa Eucaristia nella luce della Trasfigurazione del Signore. La memoria liturgica di quel Papa è fissata, ormai dal 2019, al giorno 29 di maggio, quando egli ricordava la sua ordinazione sacerdotale. Le due date sono distanti, ma per G. B. Montini non c’era poi molta distanza spirituale. Nella lettera che scrisse all’amico carissimo Andrea Trebeschi il 23 maggio 1920 per affidargli in modo particolare la sua ordinazione G. B. Montini la descriveva come «fondamentale trasformazione della mia vita» (Carteggio I, 1, 402 [lett. 350]). Quanto a noi, abbiamo conservato come un rito famigliare l’uso di rivederci in questo giorno presso la sua tomba poiché in san Paolo VI abbiamo tutti un punto di riferimento molto amato e anche motivi vari per essergli devoti. Fra tutti vedo sempre con  grande emozione il carissimo Comm. Franco Ghezzi, custode geloso e discreto dell’intimità di Papa Montini.

Il racconto del Vangelo (cf. Lc 9,28-36) ci ha riproposto la scena della Trasfigurazione del Signore. L’evangelista ci ha narrato che «Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare»; ci ha riferito che, durante quella sua preghiera tutti e tre erano lo avevano lasciato solo, perché erano «oppressi dal sonno»; quando, però, si svegliarono, «videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui». Al riguardo, sant’Agostino domandava: come mai dopo la sua Risurrezione tante persone che pure lo avevano conosciuto non lo riconobbero? Come mai, invece, nella sua Trasfigurazione, i tre discepoli che erano sul Tabor lo riconobbero ugualmente benché il suo volto splendesse come il sole? Questa è la risposta: «siccome stavano con Lui erano sicurissimi che si trattasse di Lui» (Epist. 149, 3, 31: PL 38, 643).

Quia cum illo erant! Stare con Gesù, amarlo è la condizione per riconoscerLo. Se Gesù non lo amiamo, non giungiamo a conoscerlo. È l’amore che permette di conoscere per davvero e questo non vale soltanto per i dinamismi umani, ma anche riguardo a Dio e al suo Figlio Gesù Cristo. È per questa ragione, forse, che la voce sonante dalla nube ribadisce che Gesù è l’eletto, l’amato del Padre: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». È con l’amore che si ascolta Gesù.

Dio si conosce percorrendo la strada dell’amore, ha detto una volta Papa Francesco (cf. Omelia in Santa Marta, 8 gennaio 2015). Domande di questo genere le pose una volta pure Paolo VI. Lo fece nell’udienza del 3 novembre 1976, con queste due semplici domande: Chi è Cristo, in Se stesso? Chi è Cristo per me? Disse: «Ci sentiamo annientati, come gli apostoli sul monte della trasfigurazione, e non oseremmo più rialzare lo sguardo, vogliamo dire inoltrarci in un’esperienza spirituale e morale che si fa religiosa, cioè ci dà “l’estasi e il terrore” d’una Verità vivente a noi del tutto sproporzionata, se non fosse che una sua voce incantevole e vicina ci ridestasse dalla confusione del nostro paralizzante stupore, anzi un suo tocco prodigioso (… li toccò, dice il Vangelo), ci facesse gustare l’ineffabile momento, diventato umanissimo… L’umiltà di Dio fatto uomo ci confonde come la sua grandezza, ma non solo rende possibile il colloquio, ma lo offre, lo impone». Il discorso  si conclude con l’espressione del desiderio di vedere Gesù (cf. Gv 12, 21).

Vedere Gesù fu, in effetti, l’aspirazione permanente di san Paolo VI ed ora egli gode della visione dell’Agnello. Prima di concludere, però, vorrei richiamare un tema che mi è suggerito dalla ormai prossima scadenza sessantennale dell’inizio del Concilio Vaticano II. Quel Concilio fu voluto da san Giovanni XXIII come incontro della Chiesa col Cristo risorto. Nel suo Radiomessaggio a un mese da quell’inizio (11 settembre 1962) quel Papa disse: «Che è mai un Concilio Ecumenico se non il rinnovarsi di questo incontro della faccia di Gesù risorto, re glorioso ed immortale, radiante per tutta la Chiesa, a salute, a letizia e a splendore delle genti umane? E nella luce di questa apparizione che torna a buon proposito il Salmo antico: “Solleva su noi la luce del tuo volto, o Signore! Tu hai posto letizia nel mio cuore”».

Come Papa Giovanni, anche san Paolo VI vide e visse il Concilio quale incontro di amicizia con Cristo. Rivolto ai padri conciliari disse: «con noi è quel Cristo, nel cui nome siamo adunati, e la cui assistenza fiancheggia sempre il nostro cammino nel tempo» (Allocuzione del 14 settembre 1965). Un ottimo teologo ha lasciato scritto qualcosa che intimamente sento di condividere: «Paolo VI, che un giorno sarà senza dubbio proclamato dottore del mistero di Cristo… ha saputo definire il Concilio un atto di contemplazione, capace di suscitare rinnovamento, ricerca di unità, dialogo con il mondo» (M.-J. Le Guillou, Il volto del Risorto. Grandezza profetica, spirituale e dottrinale, pastorale e missionaria del Concilio Vaticano II, Siena 2012, 51).

«La Sposa di Cristo cerchi in lui [Cristo] il suo modello e, mossa dall’ardentissimo amore per lui, si sforzi di scoprire la propria forma, cioè la bellezza che egli vuole che rifulga nella sua Chiesa», disse san Paolo VI nella sua Allocuzione per l’inizio del secondo periodo conciliare, il 29 settembre 1963. Rinvigorire e rendere sempre più trasparente questa somiglianza con Cristo deve essere l’impegno anche di ciascuno di noi, sia personalmente, sia nel servizio alla Chiesa che siamo chiamati a svolgere.

In genere è come un gioco in famiglia e tra amici, ogni volta che nasce un bimbo o una bimba, dire a chi rassomiglia… Sarò banale, ma vi confesso che i bimbi appena nati a me somigliano solo a se stessi! A me pare che le somiglianze si evidenzino specie nella crescita e anche questo dipende da più elementi. In questa materia, tuttavia, sono un perfetto ignorante. Ciò che, però, vorrei auspicare, in conclusione, è che dopo sessant’anni dal Concilio la somiglianza della Chiesa a Cristo cresca e si rafforzi.

Dialogando coi gesuiti dei Paesi Baltici, Francesco diede questa risposta: «Sento che il Signore vuole che il Concilio si faccia strada nella Chiesa. Gli storici dicono che perché un Concilio sia applicato ci vogliono 100 anni. Siamo a metà strada. Dunque, se vuoi aiutarmi, agisci in modo da portare avanti il Concilio nella Chiesa. E aiutami con la tua preghiera. Ho bisogno di tanta preghiera» (ne La Civiltà Cattolica quad. 4040, 111).

Davanti alla tomba di san Paolo VI, preghiamo oggi anche secondo questa intenzione del nostro Papa Francesco.

 

Grotte Vaticane – Cappella «Madonna delle partorienti», 6 agosto 2022

 

Marcello Card. Semeraro