Omelia nella festa di san Matteo e in preparazione alla festa di san Pio da Pietrelcina

 

Ha voluto far di me un esempio di grazia

Omelia nella festa di san Matteo e in preparazione alla festa di san Pio da Pietrelcina

 

    1. «Mentre andava via, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi”. Ed egli si alzò e lo seguì» (Mt 9,9). La storia dell’apostolo che oggi celebriamo è tutta sintetizzata in queste poche parole. C’è la sua identità col nome e la professione; c’è la chiamata di Gesù e c’è l’essenziale della sua risposta: fatta non di parole, ma di gesti: si alzò e lo seguì! In noi, al contrario, molte volte ci sono le parole, ma difettano le opere. «È meglio tacere ed essere, che dire e non essere. È bello insegnare se chi parla opera», scriveva sant’Ignazio di Antiochia (Ef XV, 1).

 

    Il nome è diverso da quello testimoniato dal vangelo di Marco, dove si parla di un «Levi, figlio di Alfeo» e anche in Luca c’è questo nome. Per il nostro racconto, invece, potrebbe dirsi che l’evangelista abbia voluto mettere la propria firma, ma  non dovremmo intenderlo come un segno di orgoglio, bensì di umiltà. È come se egli abbia voluto dirci: «Benché sia un apostolo, io sono un peccatore. Però, sono stato perdonato!». In principio, infatti, lo vediamo «seduto al banco delle imposte»; comodo in una condizione lucrosa, in una posizione di vantaggio, anche economico. Ed è in tale situazione quando Gesù lo vede e lo guarda: in condizione di peccato.

    Qui a Roma, nella chiesa di san Luigi dei Francesi c’è una tela del Caravaggio dove lo sguardo di Gesù verso Matteo è tradotto con un fascio di luce che sgorga da una finestra parallelamente al suo braccio teso, che quasi imita il gesto del Creatore verso Adamo nell’affresco di Michelangelo nella Sistina. Sembra voglia dirci che quella di Matteo non è tanto la storia di una conversione, quanto piuttosto di nuova creazione. Ecco, infatti, che Matteo si alza, come racconta il vangelo. È un atto di risurrezione! Egli non fu chiamato dal Signore perché si era convertito, ma si convertì perché era stato chiamato. La chiamata del Signore (e questo vale per tutte le vocazioni) non è mai un premio, ma sempre un impegno, una forza, una spinta: si alzò.

 

    2. Nel nostro racconto evangelico Gesù si autodefinisce medico: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati». Potremo aggiungere che egli stesso è pure la medicina. Christe, coelestis medicina Patris, Verus humanae medicus salutis, canta un antico inno cristiano (cf. PL 86, 207). «Cristo medicina celeste del Padre, vero medico della salvezza dell’uomo»! Ma di che medicina si tratta? Non di una medicina estetica, ma di una cura interiore, robusta e sostanziale.

    Siamo qui per prepararci insieme, con una novena, alla festa in onore di san Pio da Pietrelcina. In una lettera del 18 gennaio 1918 ai suoi figli spirituali egli indicava il tipo di medicina propria di Dio. Scriveva: gli infermi spirituali che vogliono essere guariti «si espongono a soffrire il salasso, la lancetta, il rasoio, la tenta, il ferro, il fuoco, e tutte le amarezze delle medicine… Per guarire – proseguiva – vogliate soffrire la cura e la correzione, e supplicate i medici dell’anima a non risparmiarvi veruna cosa perché possiate ottenere la guarigione» (Epistolario IV, Lettere collettive 3,8).

    La guarigione spirituale è un passaggio da morte a vita. Ed ecco che, nel racconto evangelico, noi vediamo Matteo non soltanto si alza, ma si mette in cammino alla sequela di Gesù. La vita cristiana, infatti, non è semplicemente una crescita. Ogni vita lo è. Necessariamente. Se la vita non cresce, vuol dire che è morta. La vita cristiana è una sequela: un seguire Gesù. A chi gli dice: «Maestro, ti seguirò dovunque tu vada», Gesù non propone una passeggiata, ma dice: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8,20; Lc 9,58).

 

    3. Matteo, dunque, si alza e qual è il suo primo gesto? Fa festa! Il racconto che abbiamo ascoltato, in verità, non ci dice che il banchetto successivo sia stato nella casa di Matteo. Nel vangelo secondo Marco, però, leggiamo che «mentre stava a tavola in casa di lui (ossia di Levi), anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù» (2,15). San Luca è ancora più esplicito: «Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa» (5,29).

    Il nuovo Matteo, dunque, fa festa.  Un cristiano che non sa festeggiare non è davvero ancora un buon cristiano. L’atto finale che in Evangelii gaudium Francesco assegna ad una Chiesa-in-uscita è proprio la festa: «Il discepolo – scrive il Papa – sa offrire la vita intera e giocarla fino al martirio come testimonianza di Gesù Cristo, però il suo sogno non è riempirsi di nemici, ma piuttosto che la Parola venga accolta e manifesti la sua potenza liberatrice e rinnovatrice». Per questo «sa sempre “festeggiare”. Celebra e festeggia ogni piccola vittoria, ogni passo avanti nell’evangelizzazione» (n. 24).

    Già san Paolo, come abbiamo ascoltato dalla prima lettura biblica, ci esorta: «Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace» (Ef 4,1-3). Si tratta di una serie di virtù, che devono sostenere la vita cristiana. Fra queste troviamo la dolcezza, o mitezza che ci rimanda all’autoritratto di Gesù presente in Matteo 11,29: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore»!

    Il cristiano non è un festaiolo, ma sa stare con gli altri nella gioia. Quando il Papa ha voluto descrivere la santità ha scritto che «il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo. Senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza. Essere cristiani è “gioia nello Spirito Santo” (Rom 14,17), perché “all’amore di carità segue necessariamente la gioia… Ci sono momenti duri, tempi di croce, ma niente può distruggere la gioia soprannaturale, che “si adatta e si trasforma, e sempre rimane almeno come uno spiraglio di luce che nasce dalla certezza personale di essere infinitamente amato, al di là di tutto». È una sicurezza interiore, una serenità piena di speranza che offre una soddisfazione spirituale incomprensibile secondo i criteri mondani”» (Gaudete et exsultate nn. 122. 125). Non diceva forse san Francesco di Sales che «un santo triste è un triste santo»?

 

    4. Facendo sempre risuonare nell’animo le parole del santo vangelo, possiamo ancora domandarci: perché la chiamata e la risposta di san Matteo si conclude con un convito? Non certo per dire addio ai suoi amici, quanto piuttosto per fare incontrare anche loro con Gesù! È uno schema che troviamo altre volte nel vangelo. Ad esempio, in Giovanni leggiamo che Andrea, dopo essere stato con Gesù, appena incontrò suo fratello Simone gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» e lo condusse da lui. C’è poi Filippo che quando trova Natanaele gli dice: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nazaret» (cf. Gv 1,40-45). Nello stesso vangelo c’è la donna samaritana che, dopo avere incontrato Gesù, corre in città a dire ai suoi concittadini: « Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?» (Gv 4,29). Chi ha incontrato Cristo è sempre nella gioia, nella consolazione e vuole comunicarlo agli altri.

    A questo punto mi sovviene il passaggio di un’altra lettera di padre Pio. La scrisse al padre Agostino da san Marco in Lamis, che fu uno dei suoi direttori spirituali, l’8 dicembre 1914. Era la festa dell’Immacolata e per questo si conclude con una bella invocazione mariana: «Colei che entrò nel mondo senza macchia ci ottenga con suo Figliuolo la grazia di uscirne da questo mondo senza colpa». La data, poi, ci lascia capire che si tratta di un padre Pio ancora giovane, sacerdote da pochi anni. Si trova in un periodo della propria vita nel quale ha già avuto le prime esperienze di stigmatizzazione (qui è stata celebrata appena ieri la «festa delle stimmate»), ma per ragioni di salute è tornato a Pietrelcina.

    Scrivendo al suo direttore spirituale egli accenna alla sua lotta contro il nemico delle anime e gli confida al tempo stesso la sua fiducia in Dio, «che non mi abbandona mai del tutto in mano delle potestà delle tenebre». Subito dopo esclama: «Viva mai sempre la misericordia divina! Quanto è buono Gesù verso le sue creature; quante vittorie enumera questo suo servo, tutte per il di lui potentissimo aiuto! Gesù ha voluto far di me un esempio di grazia e propormi a esemplare di tutti i peccatori, affinché non disperassero della loro salute» (Epistolario I, 216).

 

    Anche padre Pio si sente un perdonato e proprio per questo – alla maniera di san Matteo – desidera fare della propria vita un esempio e una proposta per tutti: la proposta della misericordia di Dio. Abbiamo recitato il versetto di un salmo che dice: «I cieli narrano la gloria di Dio». Ebbene, san Pio è stato un cielo che canta le misericordie di Dio. In questa luce, ad esempio, possiamo leggere tutto il suo ministero nel sacramento della Confessione. Vi trascorreva fino a quindici ore al giorno sì da essere chiamato martire del confessionale.

    Nel ministero della misericordia del Signore lo ha descritto pure Francesco, nel discorso del 6 febbraio 2016 rivolto ai gruppi di preghiera di Padre Pio in occasione del Giubileo della Misericordia: «Possiamo proprio dire che Padre Pio è stato un servitore della misericordia. Lo è stato a tempo pieno, praticando, talvolta fino allo sfinimento, “l’apostolato dell’ascolto”. È diventato, attraverso il ministero della Confessione, una carezza vivente del Padre, che guarisce le ferite del peccato e rinfranca il cuore con la pace. San Pio non si è mai stancato di accogliere le persone e di ascoltarle, di spendere tempo e forze per diffondere il profumo del perdono del Signore... Ha vissuto il grande mistero del dolore offerto per amore. In questo modo la sua piccola goccia è diventata un grande fiume di misericordia, che ha irrigato tanti cuori deserti e ha creato oasi di vita in molte parti del mondo». È questo il «banchetto» che, una volta ascoltata la chiamata del Signore, san Pio da Pietrelcina ha preparato. Come san Matteo, la cui festa oggi celebriamo.

 

    Chiesa di san Salvatore in Lauro, Roma 21 settembre 2021

 

Marcello Card. Semeraro