Martire in una comunione di santi
Omelia nella festa di san Zenone, martire
La festa del vostro patrono, il martire san Zenone, è celebrata quest’anno nel vivo di un Giubileo, che papa Francesco ha voluto dedicato al tema della Speranza. È la più piccola tra le virtù, come diceva un grande francese, Ch. Péguy: è «una bambina da nulla», che portando le altre, simile alla stella che guidò i Magi, guida le altre virtù ed è in grado di guidare tutti noi. Celebrare, poi, un martire nel contesto della Speranza ha un valore tutto speciale. Come, infatti, ha scritto papa Francesco nella Bolla di indizione, la più convincente testimonianza sulla speranza «ci viene offerta dai martiri, che, saldi nella fede in Cristo risorto, hanno saputo rinunciare alla vita stessa di quaggiù pur di non tradire il loro Signore ... Abbiamo bisogno di custodire la loro testimonianza per rendere feconda la nostra speranza» (Spes non confundit, n. 20). Il Papa dice pure che, presenti in tutte le epoche, i martiri «sono numerosi, forse più che mai, ai nostri giorni, quali confessori della vita che non conosce fine».
Credo che sia davvero così. Nel corso del Giubileo del 2000 san Giovanni Paolo II volle si tenesse al Colosseo una Commemorazione dei testimoni della fede (ci sarà pure quest’anno sottolineando che nei suoi martiri la Chiesa venera il Cristo, che era all’origine del loro martirio e della loro santità. In effetti, come ci fa dire il Prefazio dei martiri, nel sangue versato da questi nostri fratelli il Padre manifesta i suoi prodigi, «rivelando la sua potenza nei deboli e donando agli inermi la forza del martirio». Come sono vere queste parole, che mi tornano alla mente ogni volta che, a nome del Papa, presiedo il rito per la Beatificazione di un martire. È accaduto, ad esempio, il 15 giugno scorso quando, nella Basilica romana di san Paolo fuori le mura ho presieduto il rito per la beatificazione del martire Floribert Bwana Chui bin Kositi († 2007): fu ucciso perché, resistendo alle minacce di commercianti corrotti, si rifiutò di fare passare alla frontiera dei carichi di riso avariato che avrebbe nuociuto alla gente. Sabato prossimo, poi, sarò a Barcellona per la beatificazione di un missionario martire, il fr. Lycarion May († 1909): l’unica causa della sua uccisione, avvenuta nel corso di una rivolta popolare conosciuta come la «Settimana tragica» di Barcellona, consistette nel fatto di essere religioso e di esercitare il suo apostolato come educatore cristiano.
Tra le prime file di questa schiera si colloca la figura del martire san Zenone che voi onorate da secoli quale vostro Patrono. Ho cercato notizie a suo riguardo, ma nelle fonti non c’è molto. Dagli Acta Sanctorum dei Bollandisti – che è una fonte primaria – ho appreso però alcune cose che mi pare importante sottolineare, oltre al fatto della collocazione temporale del martirio e della sua collocazione geografica, ossia l’epoca degli imperatori Domiziano e Massimiano e il luogo romano oggi chiamato «Tre Fontane», legato pure al martirio di san Paolo. Dalla seconda lettura biblica proclamata poco fa tratta dalla sua lettera ai Romani abbiamo risentito le parole: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? … in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati» (Rm 8,53.37). Da qui ci giunge il primo messaggio.
La tradizione agiografica suppone che sia Zenone e i suoi moltissimi compagni – Zenone è indicato come il Tribuno di oltre mille soldati – prima di essere uccisi siano stati sottoposti ai lavori forzati e a molte vessazioni. Ci chiediamo, allora, cosa li ha fatti resistere? San Paolo dice semplicemente: l’amore. Se già l’amore umano è forza che alimenta le motivazioni aiutandoci perfino a trasformare i nostri limiti in opportunità, quanto più questo è vero se a guidarci è l’amore di Cristo. Esso ci rende capaci di fare ciò che con le nostre sole forze non siamo capaci. «La gioia di saperci amati da Dio nonostante le nostre infedeltà ci fa affrontare con fede le prove della vita, ci fa attraversare le crisi per uscirne migliori. È nel vivere questa gioia che consiste il nostro essere veri testimoni …» (Francesco, Regina caeli del 9 maggio 2021).
L’altro messaggio è che, nel martirio, san Zenone ebbe tanti compagni che certamente gli furono di conforto e questi, a loro volta, ebbero nel loro comandante un modello di fortezza che certamente li incoraggiò. Se è, allora, vero che non si è mai cristiani da soli, ma sempre nella Chiesa, così santi lo si è in una comunione di santi. In una catechesi del mercoledì che tenne il 2 febbraio 2022, proprio parlando si questo papa Francesco disse fra l’altro: «Tutti abbiamo bisogno di amici; tutti abbiamo bisogno di relazioni significative che ci aiutino ad affrontare la vita. Anche Gesù aveva i suoi amici, e ad essi si è rivolto nei momenti più decisivi della sua esperienza umana». Mi pare sia un bel punto di partenza per parlare della comunione dei santi, per giungere poi alla nostra comunione nella Chiesa e poi anche alla nostra comunione con i santi del cielo, perché la relazione di amicizia che possiamo costruire con un fratello o una sorella accanto a noi, possiamo stabilirla anche con un fratello o una sorella che è in Cielo. I santi – concludeva il Papa – sono amici con cui molto spesso intessiamo rapporti di amicizia. Ciò che noi chiamiamo devozione a un santo … è in realtà un modo di esprimere l’amore a partire proprio da questo legame che ci unisce».
Della biografia di san Zenone, allora, non sappiamo molto, ma i due elementi che ho sottolineato mi paiono sufficienti. A sant’Ambrogio, che predicava di sant’Agnese, si attribuisce la frase: Appellabo martyrem, praedicavi satis, «l’ho chiamata martire e ho detto abbastanza» (cf. De virgin. II: PL 16, 189). Intendeva che la fede cristiana si professa anzitutto con la vita. Ripeto – e così concludo – un testo di sant’Ignazio di Antiochia nella sua Lettera agli Efesini: «Quelli che fanno professione di appartenere a Cristo si riconosceranno dalle loro opere. Ora non si tratta di fare una professione di fede a parole, ma di perseverare nella pratica della fede sino alla fine. È meglio essere cristiano senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo» (cf. XV, 1-2: Funk I, 224). Sono convinto che oggi consiste proprio in questo la «prima evangelizzazione».
Chiesa di San Zenone Martire, Curnasco (Bg), 9 luglio 2025
Marcello Card. Semeraro