Omelia nella festa di sant’Alfonso Maria de’ Liguori

 

Ha creato, nei semplici, un cuore di santi

Omelia nella festa di sant’Alfonso Maria de’ Liguori

 

Permettete che inizi questa omelia con un ricordo molto personale. Giorni or sono ho ripreso dai miei libri l’ampia e documentata biografia di sant’Alfonso scritta dal redentorista Théodule Rey Mermet intitolata Il santo del secolo dei lumi (ed. Città Nuova, Roma 1983). Desideravo prendere dalla vita del santo qualche spunto per l’incontro di questa sera. Ho, però, subito notato la presenza di una annotazione, di una «orecchietta di pagina, come si dice; l’unica in tutto un libro di oltre ottocento pagine. Preso da curiosità ho riaperto il libro proprio in quel punto: sono le pagine in cui si narra la sua nomina a vescovo di S. Agata. Ho ricordato subito: le avevo lette nell’estate del 1998, quando anche a me giunse dal Papa simile nomina per la Diocesi di Oria in Puglia; una Diocesi dove, in Francavilla Fontana, è presente dall’inizio del 1800 una comunità redentorista con una bellissima chiesa dedicata a sant’Alfonso. Questa coincidenza mi ha sinceramente commosso, perché mi ha fatto cogliere l’invito per questa festa solenne come un’opportunità spirituale per ripensare ai venticinque anni del mio ministero episcopale, che scadono fra alcune settimane.

Una delle prime opere di sant’Alfonso, peraltro, fu un pregiato libretto intitolato Riflessioni utili ai Vescovi per la pratica di ben governare le loro Chiese. Vi è riportato subito un ammonimento di sant’Atanasio, il quale dice che un vescovo, prima di essere ordinato può vivere per se stesso; dopo l’ordinazione, però, egli è tenuto a vivere solo per le sue pecorelle, della cui salvezza dovrà certamente rendere conto. Questo richiamo ci porta subito alla pagina del Santo Vangelo che è stata proclamata: «Vedendo le folle, [Gesù] ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore» (Mt 9,36). Appena poco prima l’evangelista ha raccontato che Gesù predicava il Vangelo del Regno e guariva ogni malattia e ogni infermità (cf. v. 35). Dall’esempio di lui, che è il pastore dei pastori, possiamo tutti noi bene apprendere alcune linee d’azione utili per la nostra vita cristiana.

Il primo elemento utile a sottolineare è la compassione di Gesù, che è come il punto di partenza, la forza che tutto muove e spinge, ossia la carità. Anzi, esso ci permette di conoscere proprio l’atteggiamento col quale Gesù si pone dinanzi a noi. L’altro elemento è il fatto che egli predica il Vangelo. Non predica qualunque cosa; Gesù non è un predicatore e un comiziante come, oggi, tanti fanno dai nuovi palchi dei mezzi di comunicazione di massa. Gesù predica il Vangelo, che letteralmente si traduce «lieta notizia», che vuol dire pure notizia che rallegra il cuore. Il terzo punto che desidero cogliere dal Vangelo è che Gesù non soltanto predica, ma opera, agisce, con la precisazione che il suo intervento è di cura per la persona, di vicinanza, di aiuto, di misericordia. Fermiamoci brevemente, carissimi, su questi tre punti, magari facendoci aiutare dall’insegnamento di sant’Alfonso de’ Liguori.

L’atteggiamento di Gesù, anzitutto. Il Vangelo parla di «compassione», che non indica un generico sentimento di pietà, ma una apertura, un sommovimento, una scossa interiore. Generalmente si usa sottolineare che il verbo greco presente nel testo evangelico rimanda le viscere materne e paterne, che si commuovono davanti alla sofferenza, al bisogno del figlio, o della figlia. È una reazione che non riguarda l’intestino, o lo stomaco, ma il cuore e la mente, tutta la persona. Per sant’Alfonso questo è il punto di partenza della vita cristiana: la consapevolezza che il Verbo eterno è venuto fra noi al solo scopo di mostrarci il suo amore e di chiederci il nostro amore. Troviamo questi suoi insegnamenti nella Novena del Cuore di Gesù, che egli chiama Cuore amabile, Cuore amante, Cuore anelante d’esser amato, Cuore pietoso, Cuore fedele… Quella al Cuore di Gesù è, per sant’Alfonso, «la devozione di tutte le devozioni» perché se per un aspetto esprime il nostro amore per Gesù, ci fa meditare sull’amore che ci ha portato e ci porta questo amabile Redentore. Non per nulla il nome della famiglia religiosa da lui fondata è di «redentoristi».

Quando Gesù predica il vangelo, dunque, predica, annuncia, ci ripete questo suo amore. E anche noi, dice sant’Alfonso, dobbiamo per prima cosa annunciare e testimoniare questo amore. Egli, difatti, si lamenta che spesso i predicatori (e oggi diremo sacerdoti, religiosi e religiose, catechisti, operatori pastorali…) «dicono molte cose, ma poco parlano dell’amore a Gesù Cristo; quando che in verità l’amore a Gesù Cristo dev’esser la principale, anzi l’unica divozione di un cristiano…».

Ricordiamo, carissimi, le prime parole dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium di papa Francesco: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia». È quanto diceva sant’Alfonso il quale alle guide spirituali – ma ciò è da intendersi anche per ogni cristiano adulto che educa alla vita cristiana le nuove generazioni – diceva sempre che il loro primo compito è insegnare che Dio è amabile e che dobbiamo essergli riconoscenti per averci donato Gesù il quale ci ha amato sino a morire per noi (cf. Pratica del confessore, cap. IX).

Predicare questo amore di Dio, che si manifesta per ciascuno di noi in Cristo Gesù il quale per noi è morto ed è stato risuscitato, è anche annunciare la chiamata comune alla santità, che è vivere con lui e vivere come lui. Come già san Francesco di Sales, anche sant’Alfonso era consapevole e predicava che la chiamata alla santità è rivolta a tutti. Direi di più: questa consapevolezza più con le parole egli l’ha mostrata con i fatti. Così ha fatto proprio come Gesù che – lo abbiamo ascoltato dal Vangelo – predicava e operava. Questo comportamento di Gesù deve essere per tutti noi un modello. San Gregorio magno diceva che ogni predicatore (e ancora una volta possiamo intendere ogni educatore cristiano, genitore, adulto…) deve svolgere la sua missione «più con i fatti che con le parole in modo da tracciare la via da percorrere con la sua vita santa, piuttosto che mostrare solo con la parola la strada su cui occorre camminare» (Regula past. III, 40: PL 77,124).

Nelle ultime pagine della biografia di sant’Alfonso citata all’inizio, l’autore, disponendosi a descrivere la sua morte, sottolinea che, fedele alla sua scelta di rivolgersi preferibilmente al mondo dei piccoli, lo scopo del santo fu sempre quello di mettere la santità «a portata di mano dei lazzaroni e dei pastori». Ricorda così che una delle sue ultime gioie fu sapere che a Napoli le «cappelle serotine» erano molto frequentate.

Queste «cappelle», è noto, furono una invenzione tipica di sant’Alfonso: si trattava di momenti d’incontro, a fine giornata, organizzarti per promuovere l’educazione cristiana con le catechesi, per vivere momenti di preghiera comune e anche per l’aiuto reciproco tra gente semplice, tra i poveri della strada: una chiamata alla santità per tutti i battezzati, si direbbe, e anche un’affermazione del ruolo del povero e del laico nella Chiesa e tutto questo nel secolo XVIII.

Prima di morire sant’Alfonso sentì che quelle iniziative crescevano e si sviluppavano. Il suo interlocutore gli diceva: «Non potete credere il bene che si fa, e che quantità di gente bassa vi concorre: vi si vedono ancora de’ cocchieri santi». «Cocchieri santi a Napoli!», esclamò sant’Alfonso sorridendo. È sempre così: «Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia».

Ecco, carissimi, la bellezza e anche l’attualità di questo caro santo. Don Giuseppe De Luca, un sacerdote buon conoscitore della spiritualità vissuto nella metà del secolo appena trascorso, scrisse di sant’Alfonso: «Ha posto lui, senza parere, sulle labbra di tutti, anche degli analfabeti, le parole di Teresa d’Avila e Giovanni della Croce. Ha suggerito al popolo i termini più alti nelle formole più umili, gli affetti più estatici nei vocaboli più quotidiani. Ha creato, nei semplici, un cuore di santi e grandi santi» (Sant’Alfonso. Il mio maestro di vita cristiana a cura di O. Gregorio, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1983, p. 131). È il tipo di santi di cui la Chiesa ha bisogno. Che il Signore oggi ce ne conceda di altri. Amen.

 

Pagani (Salerno), 1 agosto 2023

 

Marcello Card. Semeraro