Omelia nella festa di Santa Maria Goretti

 

Ha insegnato con il dono della vita

 

Omelia nella festa di Santa Maria Goretti, patrona secondaria della Diocesi

 

    1. La proclamazione dei tre testi della Sacra Scrittura scelti dalla Chiesa per la Santa Messa che stiamo celebrando ci aiutano ad addentrarci nel martirio di Santa Maria Goretti, di cui oggi celebriamo la festa e della quale sono qui custodite le spoglie mortali.

    Il primo brano, tratto dal libro del Siracide (cf. 51,6B – 12), è un inno al Signore che libera dalla morte. Il secondo, a sua volta, ricavato dall’epistolario di san Paolo (cf. 1Cor 1.26-29; 2, 14), ci descrive lo stile di Dio che non agisce alla maniera degli uomini: se noi, abitualmente, prestiamo attenzione a ciò che è forte e preferiamo ciò che è potente, Dio sceglie, invece, «ciò che nel mondo è debole … ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato». È lo stile divino già esaltato dalla Vergine Maria nel suo Magnificat: «ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,47). Anche per la nostra santa possiamo dire che il Signore ha esaltato una debole ragazza e ce l’ha offerta come modello di vita in grado di intercedere per noi.

    C’è, poi, la pagina del Vangelo (cf. Gv 12,23-25), che per ammaestrarci ci ha portato due esempi. Il primo è ricavato dalle leggi della natura: «Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto». Il secondo ammonimento è tratto dall’esperienza umana: «Chi ama la sua vita la perde …»! Chi è che ama la propria vita? Potremmo dargli il nome di «narcisista», ossia di uno che pensa solo a se stesso e vede gli altri in funzione di sé. Il destino del narcisista, però, è, prima o poi, l’autodistruzione. Lo insegnava già l’antico mito. Ma noi ascoltiamo Gesù, il quale ci dice: «Chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna». Possiamo tradurlo in positivo con parole tratte dalla Regola di san Benedetto: «non anteporre nulla a Cristo!».

    In questa luce possiamo considerare la vicenda terrena di santa Maria Goretti: mentre agli occhi umani perdeva la sua vita, la acquistava in pienezza negli spazi dell’amore di Dio.

 

    2. Oggi, carissimi, dopo averlo già fatto per tanti anni, dovrei ancora parlarvi della nostra Marietta. Tante volte sono venuto in questo Santuario non soltanto nel giorno della festa, ma pure in tante altre circostanze. Quelli che molti anni or sono ho veduto e benedetto da bambini, ora sono maggiorenni! La storia della santità è certamente inesauribile e anche della nostra cara santa sarebbe possibile cogliere tanti altri aspetti e accogliere tanti altri messaggi. Oggi, lo sguardo su di lei vorrei volgerlo con gli occhi del suo uccisore: Alessandro Serenelli. Anche che la sua storia, voi la conoscete. Anche quella è una storia di grazia e di misericordia. Anni or sono il nostro p. G. Alberti c.p. gli dedicò un libro dal titolo: Storia di un uomo «salvato» dal perdono.

    Ora, nella sua confessione del delitto, egli disse che, accecato dalla resistenza di Marietta alla sua passione, «preso il punteruolo, cominciai a colpirla sulla pancia, come si pesta il granturco…». Questa frase mi ha immediatamente fatto tornare alla memoria quello che sant’Ignazio d’Antiochia, un padre apostolico, scriveva nella sua Lettera ai Romani: «Lasciate che sia pasto delle belve per mezzo delle quali mi è possibile raggiungere Dio. Sono frumento di Dio e macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo» (IV, 1). Ora, Alessandro Serenelli questo certo non lo sapeva, tuttavia, pur se nel suo linguaggio, egli ci aiuta a penetrare il mistero del martirio di santa Maria Goretti. Non soltanto di lei, ma di tutti i martiri: essere stritolati nella carne per diventare pane puro di Cristo.

 

    3. La nostra Marietta, nella sua brevissima vita terrena non fu una donna di grande cultura: era una bambina, precocemente dedita al lavoro dei campi e alla cura di una famiglia in situazioni molto precarie e difficili. Non fu neppure una brava catechista capace di introdurre altri nella vita cristiana. Nulla di tutto questo: in un momento cruciale della sua vita, però, diede esempio di fedeltà e di amore a Cristo e lo fece con poche parole: «No, Dio non vuole; se fai questo vai all’inferno…» e poi, rivolta alla sua mamma: «Per amore di Gesù gli perdono ….». Questo perdono cominciò a lavorare nel cuore di Alessandro e nella sua vita maturò con la conversione.

    Ci sono miracoli che si manifestano nella carne di una persona e anche per giungere alla canonizzazione della nostra piccola santa ci fu il riconoscimento di due miracoli, uno dei quali avvenne in Albano Laziale. Ci sono però altri «miracoli», che non possono essere «misurati» da un medico, perché avvengono nel cuore e uno di questi è, appunto, la conversione di Alessandro Serenelli. Che cosa, dunque, ha aperto il suo cuore? Non lunghi discorsi e fondate argomentazioni, ma l’esempio di una vita donata al Signore. Quella di Marietta. È ciò che, sostanzialmente, lo ha convertito e lo ha spinto a muoversi incontro al Signore.

    Questo, carissimi, mi ricorda qualcos’altro di molto importante, che un antico detto latino esprimeva così: verba docent, exempla trahunt, che vuol dire: se le parole insegnano, sono però gli esempi a spingere in avanti la vita. Non lo sperimentiamo tante volte, soprattutto in famiglia, ad esempio, nel rapporto educativo tra genitori e figli? È con la vita che si apre e si educa alla vita.

    Concludo, allora, citando nuovamente sant’Ignazio di Antiochia, questa volta con un passo tratto dalla sua Lettera agli Efesini: «È meglio tacere ed essere, che dire e non essere. È bello insegnare se chi parla opera. Uno solo è il maestro e ha detto e ha fatto e ciò che tacendo ha fatto è degno del Padre» (XV).

 

    Santuario Madonna delle Grazie – Nettuno, 6 luglio 2021

 

                                                                    Marcello Card. Semeraro