Omelia nella Messa della Cena del Signore 2025

 

La carità: intelligenza delle mani

Omelia nella Messa della Cena del Signore 2025

 

La Santa Messa che stiamo celebrando ha un nome tradizionale: nella Cena del Signore. Quasi commentandolo, il beato A. Ildefonso Schuster, che fu un benedettino romano e poi cardinale arcivescovo di Milano dal 1929 al 1954, esclamava: «Quanti ineffabili misteri di misericordia in questo giorno della Cena di Gesù, in cui egli sfoga quasi la piena del suo Cuore, e, pur avendoci amato sempre, in finem dilexit, ci amò cioè perdutamente, sino alla croce, sino alla morte» (Liber sacramentorum, III, Marietti, Torino-Roma 1933, pp. 211-212). Perciò questo Sacramento è pure chiamato sacramento della Carità. Fra tutti, è stato san Tommaso d’Aquino a prediligere questa espressione e l’ha spiegata così: l’Eucaristia è sacramento della Carità perché esprime, ci mostra e ci comunica l’amore di Cristo per noi e perché, al tempo stesso, attua e realizza il nostro reciproco amore («caritatis Christi expressivum, et nostrae factivum»: Super Sent., IV, d. 8, q. 2 a. 2 qc. 3 ad 5; cf. S.Th. III, q. 78 a. 3 ad 6).

È, allora, su questo amore, carissimi, che desidero anzitutto portare la nostra comune attenzione. Abbiamo udito che Gesù, «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13,1). Risentendo queste parole, mi torna alla memoria quello che santa Angela da Foligno, una grande mistica medioevale, riferì su ciò che aveva sperimentato il mercoledì santo del 1301 mentre meditava sulla passione del Signore: «Avvenne nell’anima mia una locuzione divina che diceva: Io non ti ho amata per scherzo». Lei stessa commentava: «quella parola era verissima in lui, perché mi ha amata con perfettissimo e tenero amore» (cf. Istruzioni 22, 3.9).

In questa consapevolezza, vi propongo di meditare su un dettaglio del racconto evangelico, quasi facendoci desiderosi di raccogliere pure le briciole che cadono dalla mensa del Signore (cf. Mt 15,27). Ascoltandolo, avrete certo notato che l’evangelista sottolinea per tre volte che Gesù conosceva in anticipo tre cose: anzitutto che «era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre»; quindi che «il Padre gli aveva dato tutto nelle mani…»; da ultimo, che ben «sapeva chi lo tradiva». Perché questa insistenza?

L’evangelista vuole dirci che quanto sta per accadergli, non è un incidente che Gesù subisce. Gesù non s’incammina verso la morte perché trascinato dalle circostanze. San Tommaso d’Aquino scriverà che «egli affrontò la passione non controvoglia, non all’insaputa, ma sapendo e volendo», aggiungendo che il suo tornare al Padre Gesù ha voluto compierlo proprio per poter condurre con sé tutti noi (Super Jo., XIII, l). Scopriamo, allora, che il «sapere» di Gesù è ben più che un semplice conoscere. È, in realtà, la sua decisa volontà di amare. E questo pur nella consapevolezza del tradimento ormai imminente. Oserei dire che proprio l’avere davanti a sé la persona del traditore incoraggia Gesù a fare un ultimo appello: «Capite quello che ho fatto per voi? … Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (cf. Gv 13,12-14). Non parla soltanto ai suoi discepoli, ma anche a Giuda, il traditore, quasi a dirgli: desisti dal tuo peccato; fai come sto facendo io e trasforma in dono il tuo tradimento! Questo appello di Gesù la Chiesa ce lo ricorda ogni volta partecipiamo all’Eucaristia. Accade quando, prima di fare pronunciare le parole della consacrazione, fa ripetere: «Nella notte in cui era tradito/si consegnava …» (Preghiera Eucaristica III). Anche tu, cristiano, anche se vedi nel tuo cuore il peccato, per quanto esso sia grande non ti scoraggiare: puoi trasformare il tradimento in dono!

Il vangelo prosegue: «Sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani …». Anche questo sapere Gesù non lo usa come potere, ma come servizio. Origene, uno dei più antichi commentatori di questa pagina, spiega la frase nel senso che il Padre aveva dato a Gesù «mani capaci di accogliere tutto» (Comm. in Ev. Jo. XXXII, 3: PG 14, 748)! Riflettiamo un attimo su questa meravigliosa affermazione. Con le sue mani Gesù lava i piedi dei suoi discepoli. Con le sue mani poco dopo prenderà il pane e il calice con il vino per darli a loro. Con quelle stesse mani Gesù accoglie tutti noi.

Questo linguaggio delle mani è un tema caro a papa Francesco, che lo ha spesso ripreso. Una volta, ad esempio, disse che nell’anima umana vibrano tre intelligenze: quella della mente, quella del cuore e quella delle mani, ciascuna con il suo timbro e carattere, e tutte necessarie. Quanto, poi, all’intelligenza delle mani, aggiunse che è «come la scintilla del pensiero e della conoscenza e, per certi versi, anche il loro risultato più maturo» e spiegò così: «Mentre le mani prendono, la mente comprende, apprende e si lascia sorprendere. E però, perché questo avvenga, ci vogliono mani sensibili. La mente non potrà comprendere nulla se le mani sono chiuse dall’avarizia, o se sono “mani bucate”, che sprecano tempo, salute e talenti, o ancora se si rifiutano di dare la pace, di salutare e di stringere le mani. Non potrà apprendere nulla se le mani hanno dita puntate senza misericordia contro i fratelli e le sorelle che sbagliano. E non potrà sorprendersi di nulla, se le stesse mani non sanno congiungersi e levarsi al Cielo in preghiera» (Discorso del 25 febbraio 2023 ai Rettori, Docenti e Studenti delle Università e Istituzioni pontificie romane).

In questa prospettiva mi piace spiegare l’invito di Gesù ai discepoli a capire quello che aveva fatto. Il cristianesimo, vuole dirci Gesù, non è una gnosi, ma una vita; non è un sapere, ma anzitutto un agire ... Sant’Ignazio di Antiochia scriveva agli Efesini: «È meglio tacere ed essere, che dire e non essere» (15, 1). Prima di lui san Paolo aveva scritto che «la scienza gonfia, mentre la carità edifica», aggiungendo: «se qualcuno crede di sapere qualche cosa, non ha ancora imparato come bisogna sapere» (1Cor 8,2). Oggi Gesù ci dice, appunto, «come» bisogna sapere: con la carità; avendo, cioè, come lui, mani capaci di accogliere tutto.

 

Roma, Diaconia di Santa Maria in Domnica, 17 aprile 2025

 

Marcello Card. Semeraro