Il Signore ha guardato alla sua umiltà
Omelia nella Messa di ringraziamento per la canonizzazione di Carlo Acutis
Celebriamo, oggi, con grande gioia la festa della Natività della Vergine Maria: momento unico e incomparabile – disse una volta san Paolo VI – perché segna la nascita di chi porterà nel mondo il Figlio di Dio; momento unico e incomparabile perché prelude all’inserzione del mistero dell’Incarnazione e della Salvezza nella storia dell’umanità (cf. Angelus del 9 settembre 1973). Sono parole molto dense, queste, poiché il Papa invitava a non vivere questa festività solo come una semplice ricorrenza liturgica, ma come una tappa davvero fondamentale della nostra salvezza. La nascita di Maria, la «predestinata madre», come la chiama il Concilio Vaticano II (cf. Lumen gentium, n. 56), non è solo un evento gioioso, come lo è, in ogni famiglia, la nascita di una nuova creatura, ma è qualcosa d’irripetibile nella storia umana, perché direttamente legato al mistero dell’Incarnazione.
Quante nascite sono evocate dalla pagina di Vangelo propria di questa festa! Per quanto possiamo pensare a una schematizzazione, si tratta in totale di 42 generazioni, suddivise in 3 gruppi da 14. Supposto che per ogni generazione si potrebbero contare 25-30 anni, a seconda della lunghezza media di una generazione usata per il calcolo raggiungeremo approssimativamente un numero tra i 1.000 e i 1.300 anni. Solo alcune delle nascite ricordate in quel racconto ci sono note; della maggior parte, invece, non sappiamo nulla. Sappiamo però che l’evangelista Matteo vuole far culminare il tutto nelle parole: «Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo» (Mt 1,16). Maria non è solo una madre tra le altre: è la Madre del Figlio di Dio che si fa uomo.
Celebrare, dunque, la sua nascita è accogliere il disegno di Dio che, passo dopo passo, prepara l’Incarnazione del Figlio, ed è pure riconoscere come Dio agisce nella storia, ossia con delicatezza e pazienza, partendo da piccoli eventi per compiere un’opera universale. Ed è così che, abitualmente, Dio entra anche nella nostra vita: in modo discreto, attraverso realtà semplici, senza clamore. Sa attendere con pazienza, non ci forza con eventi clamorosi, ma opera silenziosamente nel quotidiano. Ed è così che è entrato anche nella vita di san Carlo Acutis, la cui canonizzazione è avvenuta ieri e per la quale noi adesso vogliamo insieme ringraziare il Signore.
Riflettiamo, però, qualche momento sul senso di questa festa, perché la nascita di Maria non è un evento improvviso e improvvisato, ma la tappa finale di una lunga preparazione per l’incarnazione dell’eterno Figlio di Dio. È come una prima luce dell’aurora: immagine, questa, che ci aiuta a entrare nel mistero mariano. Anche la Chiesa, al termine di questa Messa, ci dirà, come ultima parola da portare come ricordo, che Maria è «speranza e aurora di salvezza per il mondo intero».
Dire la parola «aurora» è dire una parola di speranza, una virtù che, come ci ha ricordato papa Francesco nella bolla d’indizione di questo anno giubilare, Maria è «la più alta testimone. In lei vediamo come la speranza non sia fatuo ottimismo, ma dono di grazia nel realismo della vita» (Spes non confundit, n. 24). Nella parola «aurora» è racchiuso pure un altro valore: quello dell’umiltà. Chi in modo particolare lo ha sottolineato è stato san Bernardo, grande devoto di Maria, il quale nei suo discorsi amava ripetere che l’aurora simboleggia l’umiltà: come, infatti, nel succedersi delle ore essa scaccia le tenebre e annuncia la luce, così l’umiltà pone le basi per la vita spirituale. Senza l’umiltà non può cominciare nessun vero cammino di fede, né si può crescere spiritualmente. In altre parole, senza l’umiltà non c’è santità (cf. Serm. de diversis 91, 3: PL 183, 711). L’umiltà è stato il tratto caratteristico di Maria: lo ha dichiarato ella stessa, quando ha cantato il suo Magnificat. Questa umiltà l’ha preannunciata il profeta Michea, da cui abbiamo ascoltato: «E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele…» (5,1). Così è stato anche per Maria: «il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,47-48).
In questa luce virtuosa possiamo (forse dobbiamo) guardare anche a san Carlo Acutis, il cui percorso spirituale e umana è stato segnato a tutti i livelli dall’umiltà. Le testimonianze nel processo canonico per la sua beatificazione e canonizzazione ci dicono unanimi che questa virtù è stata la sua «cosa più bella» e che l’ha praticata dandone esempio ai suoi compagni. Ed è stata proprio questa umiltà a fargli allargare lo sguardo sulle povertà e sulle necessità dei più deboli e bisognosi.
A tutto ciò ha di sicuro contribuito la sua devozione mariana, che aveva nella recita del Santo Rosario la sua qualificata manifestazione: era il suo quotidiano appuntamento con Colei, che chiamava «l’unica donna della sua vita»! Il suo stesso desiderio di visitare i Santuari mariani (quello di Pompei era, anche per ragioni famigliari, il suo prediletto) possiamo intenderlo come il desiderio d’incontrare la persona amata. Da lei, che «custodiva tutto nel suo cuore» (Lc 2,19), Carlo si sentiva incoraggiato cercare il silenzio interiore, necessario per ascoltare la voce di Dio. Per questo egli rinnovò più volte l’atto di consacrazione al Cuore immacolato di Maria.
Carissimi, quando parlo dei santi spesso li paragono alle costellazioni del cielo, che guidano il cammino del navigante. I santi sono per noi anche questo: insieme con Maria, la «stella del mare», ci aiutano a procedere nella navigazione della vita sempre orientati verso Cristo. Guardando alle costellazioni che risplendono nel cielo della Chiesa, oggi noi vediamo pure san Carlo Acutis. C’incoraggia a farlo il Papa, che ieri ha concluso la sua omelia con le parole che, con gratitudine, ripeto: «I santi Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis sono un invito rivolto a tutti noi, soprattutto ai giovani, a non sciupare la vita, ma a orientarla verso l’alto e a farne un capolavoro. Ci incoraggiano con le loro parole: “Non io, ma Dio”, diceva Carlo. E Pier Giorgio: “Se avrai Dio per centro di ogni tua azione, allora arriverai fino alla fine”. Questa è la formula semplice, ma vincente, della loro santità. Ed è pure la testimonianza che siamo chiamati a seguire, per gustare la vita fino in fondo e andare incontro al Signore nella festa del Cielo».
Basilica di san Pietro, 8 settembre 2025
Marcello Card. Semeraro