Gratitudine al Cardinale Angelo Amato
Omelia nella Messa di trigesimo del Cardinale Angelo Amato
A distanza di un mese dalla morte – intervenuta nei giorni del Santo Natale, sicché non ci è stato possibile trovarci fisicamente riuniti nella preghiera di suffragio –ricordiamo con gratitudine unanime la persona del caro Cardinale Angelo Amato. Tanti fra noi lo hanno conosciuto e stimato: insieme, allora, invochiamo il Signore «perché, purificato da questo sacrificio di salvezza, sieda con lui nella gloria» (Preghiera dopo la Comunione). Come, allora, non condividere le parole scritte dal Santo Padre nel telegramma di cordoglio inviato al Vicario del Rettor Maggiore della famiglia Salesiana, cui apparteneva? Lì Francesco ha richiamato il suo animo sacerdotale e la sua preparazione teologica e l’essersi speso con finezza umana. Sono qualità davvero sperimentate in questo Dicastero, da lui per dieci anni (2008-2018) guidato in forma discreta e riservata e quale attento esecutore del mandato del Papa.
Oggi, ricorrendo il giorno trentesimo dalla sua dipartita e seguendo una prassi cristiana, celebriamo la Santa Messa in suo suffragio. Il rito appartiene alla più antica tradizione della Chiesa giacché l’Eucaristia è fonte di «comunione», non soltanto fra quanti ci nutriamo dell’unico pane per diventare un solo corpo (cf. 1Cor 10,16-17), ma pure con la Chiesa celeste e con tutti i fratelli e le sorelle, che ci hanno preceduto e ora «dormono il sonno della pace» e per i quali invochiamo «la beatitudine, la luce e la pace» (cf. Preghiera Eucaristica I).
San Tommaso d’Aquino ricordava che nessun Sacramento è per noi più salutare della Santa Eucaristia, la quale ci purifica dai peccati, c’irrobustisce e ci fa crescere nelle virtù e ci arricchisce dei doni spirituali: essa è offerta nella Chiesa per i vivi e per i defunti, ut omnibus prosit quod est pro salute omnium institutum, «affinché giovi a tutti ciò che è stato istituito per la salvezza di tutti» (Officium Sacerdos III, 7).
Nella proclamazione della Parola di Dio abbiamo risentito l’Autore della Lettera agli Ebrei, che dice: «Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso» (10,23). È un passaggio importante, che ha guidato Benedetto XVI nella stesura della lettera enciclica Spe salvi. Nelle prime righe, infatti, egli ha scritto che la Lettera agli Ebrei lega strettamente la immutabile professione della speranza alla pienezza della fede, al punto che spesso le due parole: fede e speranza, sembrano interscambiabili (cf. n. 2).
Ci domandiamo: perché ci è possibile non vacillare nella speranza? La risposta è questa: perché degno di fede (fidelis) è Cristo; di lui possiamo senza alcun dubbio fidarci perché con la sua risurrezione ha infranto la barriera del tempo sicché ormai irrompe verso di noi la luce della vita eterna.
Introducendo uno dei libri, dove raccoglieva le sue omelie e di cui periodicamente faceva omaggio ai membri del Dicastero, il card. Amato ha lasciato scritto: «La speranza cristiana spalanca la porta oscura del tempo, aprendoci un futuro reale, che esiste, che resiste al passare delle stagioni, che la morte non può distruggere e che non può essere divorato dalla vanitas vanitatum. È questa l’esperienza dei Santi, autentici maestri e modelli di speranza» (I santi profeti di speranza, L.E.V., Città del Vaticano 2014, p. 3).
Vorrei aggiungere – e così concludo – che nella vita del cristiano, il quale professa la propria fede nel Risorto, si attua quella che Ioannis Zizioulas, un noto teologo e metropolita della Chiesa ortodossa morto esattamente lo scorso anno, ha chiamato «inversione della direzione del tempo»: non più dall’alpha all’omega, ma il contrario; non più il futuro che nasce dalla storia, ma il futuro che viene alla storia. Amo dire che nella fede cristiana quello che abitualmente chiamiamo «futuro» è, in realtà Avvento! Questo – lo sappiamo – si verifica in modo tutto speciale nella celebrazione della Eucaristia, quando noi disponendoci nell’attesa della venuta del Risorto non soltanto invochiamo: vieni Signore Gesù (māranā’ thā’), ma pure dichiariamo: il Signore Gesù viene (māran ’athā’)! È questo l’Avvento cristiano.
In tale speranza, che non solo attende, ma realizza, noi celebriamo questa sera la Santa Eucaristia, consapevoli che la nostra memoria del Card. Angelo Amato non è un semplice ricordo, bensì un incontro con lui nella comunione in Cristo Gesù. Amen.
Pontificia Parrocchia Sant’Anna in Vaticano, 30 gennaio 2025
Marcello Card. Semeraro