Omelia nella Messa per la glorificazione della venerabile Nazarena Majone

 

Dio è infinita misericordia

Omelia nella Messa per la glorificazione della venerabile Nazarena Majone

 

1. L’invito a presiedere questa Santa Messa celebrata in lode del Signore e anche per la glorificazione della venerabile Madre M. Nazarena Majone, cofondatrice delle Figlie del Divino Zelo, l’ho accolto volentieri anche per delle ragioni personali, che è giusto che io vi comunichi. Il mio primo servizio episcopale si svolse, dall’ottobre 1998 all’ottobre 2004, nella Chiesa di Oria, nel Salento, in Puglia e per i figli e le figlie di sant’Annibale M. Di Francia questo nome rievoca momenti di dolore e di speranza perché è proprio in quella città che, con un carico di umana e innocente sofferenza, egli vi giunse fuggendo da Messina, distrutta da un violento terremoto, trovando protezione nel vescovo locale, mons. Antonio Di Tommaso. All’inizio del 2009 insieme con lui giunse anche la madre Nazarena sicché dopo solo pochi mesi, il 4 aprile, le Figlie del Divino Zelo poterono inaugurarvi l’Oratorio femminile, sistemato in un antico monastero benedettino confinante con la casa vescovile. Io ricordo che, avendo riconosciuto su di una parete i segni di una porta ormai murata, domandai alle Suore cosa fosse. «Da quella porta – mi risposero – le suore entravano per portare da mangiare al vescovo». Non ero certo io quel vescovo, ma la vampa della carità ti raggiunge sempre, nonostante il trascorrere degli anni e le distanze, e ti riscalda. Comprendete, allora, perché le Figlie del Divino Zelo mi sono care?

Ora, però, domandiamoci: di cosa abbiamo ascoltato dalle Letture della Messa? Il Signore ha pietà del suo popolo, abbiamo intercalato nel Salmo responsoriale. Sono è i primi versetti del salmo 102; un salmo che Cassiodoro, un autore latino del V/VI secolo, spiegava come un canto all’amore misericordioso di Dio. «Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia», abbiamo ascoltato. Il Salmo prosegue dicendo: «sazia di beni la tua vecchiaia» e quell’autore fa il conto e dice che in pochi versi sono racchiuse tutte le ricompense del Signore e annota che sono cinque, come i cinque pani coi quali Gesù saziò il popolo digiuno da lungo tempo e conclude: tutte queste cose ci sono donate come un grande mistero (cf. Expositio in Psalterium 102, 5: PL 70, 720). Pensiamo, allora, a questa bella immagine quando, più tardi, accoglieremo il pane eucaristico. Nell’Eucaristia ci è donato tutto l’amore misericordioso del Signore.

Madre Nazarena è stata indicata come un’anima eucaristica. Per lei l’adorazione eucaristica fu da subito il centro assoluto della sua fede: «tutti i suoi pensieri, tutti gli aspetti della sua personalità, tutte le sue azioni sgorgano dal dialogo continuo e instancabile con Cristo Eucaristia» (R. Basiricò, Madre Nazarena: un’anima eucaristica, in «Le Parole di Nazarena», Postulazione Nazarena Majone, Roma, 2007, 75). In questo ella si mostrò discepola del p. Annibale il quale aveva a tal punto teorizzato la centralità dell’Eucaristia nella vita umana da far ritenere come vero fondatore della rogazione evangelica proprio Gesù Eucaristia.

 

2. Di misericordia ci ha parlato anche la prima lettura dal libro dell’Esodo: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo»! C’è quindi la proclamazione del Nome: un altro mistero in quell’«Io sono colui che sono!» che Dio dice a Mosè! Per darne una spiegazione sono stati gettati fiumi d’inchiostro. Dall’essere perfettissimo di cui ci parlava il Catechismo detto di san Pio X, alle altre spiegazioni più elaborate prodotte dagli studiosi. Io sono qui, qui accanto a te dice questo Nome e la sua realizzazione più vera e più bella si chiama Gesù. Il Figlio eterno si è fatto uomo per questo: per farci capire, sentire e toccare con mano che Dio è qui, accanto a noi. Certo noi, non lo percepiamo coi sensi, ma quando mai, da piccolini, abbiamo visto il volto del nostro papà quando piangevamo sulle sue spalle? Quando mai abbiamo veduto il volto della mamma quando eravamo cullati nelle sue braccia e dormivamo. Così è Dio per noi: come una spalla, un abbraccio …

Abbiamo poi ascoltato dal Vangelo un racconto davvero drammatico: «si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici...». E ai nostri occhi scorrono le immagini dolorose di questi giorni della guerra scatenata in Ucraina … Oggi abbiamo sentito anche le parole del Papa: «un massacro insensato dove ogni giorno si ripetono scempi e atrocità» ha detto, aggiungendo che non c’è giustificazione, che tutto questo è disumano, anzi è sacrilegio perché va contro la sacralità della vita umana.

Il racconto evangelico ha pure ricordato il dramma di «diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise». Questo disastro non fu causato dall’uomo, ma fu ugualmente portatore di morte. E noi possiamo pensare al terremoto di Messina, che portò il p. Annibale e le Figlie del Divino Zelo ad Oria; ma pensiamo pure ai tanti disastri simili che spingono la gente a fuggire per trovare scampo e cercare soccorso. Quanti movimenti di popoli in questi anni e per le ragioni più diverse, incluse quelle politiche, e di miseria e di fame… E Gesù risponde a tutto questo in due maniere.

Anzitutto invitando a non soffermaci in speculazioni inutili sui fatti, i quali stanno lì nella loro evidente tragicità; ma non è possibile che vi assistiamo senza prendere una decisione, fare una scelta, lasciarsene interrogare. Il modo vero per leggere gli eventi, specie quelli drammatici e dolorosi, non è assistervi, ma lasciarsene interpellare. Gesù parla, perciò, di conversione. Non si tratta di fare del moralismo, ma di educazione alla sensibilità in modo che nulla degli eventi del nostro oggi ci lasci indifferenti.

Il secondo modo di rispondere da parte di Gesù è il richiamo alla pazienza e alla fiducia. Lascialo ancora quest’anno, dice il vignaiolo al padrone del campo che voleva tagliare l’albero infruttuoso e la figura del vignaiolo ci diventa all’improvviso simpatica. È amico del padrone e per questo gli parla con franchezza; ma è pure affezionato a quell’albero, anche se finora non ha dato soddisfazioni. E non è così Gesù per noi? «Può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore» leggiamo nella Lettera agli Ebrei (7,25). Come quel vignaiolo, Gesù è amico del Padre che è nei cieli; anzi è il suo Figlio unico; come quel vignaiolo, Gesù si mette dalla nostra parte; anzi si è fatto uomo come noi proprio per poterci dire in ogni momento: Io sono qui! Emmanuel, Dio con noi!

 

3. In questi giorni è stato posto in libreria un libro per il quale l’autore – un sacerdote e teologo, siciliano come la Madre Nazarena Majone – mi ha domandato una presentazione. In questo volume dal titolo Pienezza di vita c’è un capitolo dedicato alla nostra Venerabile. S’intitola Dio è infinita misericordia (ed. Studium, Roma 2022, 198-212). Qui l’autore si pone la domanda: cosa mi dice Dio nella vicenda spirituale di Madre Nazarena? Risponde dicendo che ella è stata segno della tenerezza di Dio in mezzo ai poveri. Da lei «traspare l’immagine di un Dio misericordioso e provvidente» (Ivi, 205).

Negli atti del processo canonico si legge la testimonianza di una suora che dice: «Ci raccomandava sempre di avere una fiducia illimitata nella bontà di Dio, perché è quando noi siamo nel momento della prova che egli vuol essere chiamato col dolce nome di Padre». Questa infatti era l’intima convinzione di Madre Nazarena: Dio non può non salvare.

Dio, rivelando il suo nome a Mosè dice che egli non è mai semplicemente e soltanto Dio. Questo magari l’abbiamo detto noi, quando abbiamo voluto dare una definizione di Dio. Chi è Dio? ci veniva chiesto. Dio, però, è sempre Dio di qualcuno. Anzi, non di «qualcuno», ma di persone che hanno un nome preciso. «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione». Chi è Dio? Se dovessero da questa sera domandarvelo – e lo dico anche a me stesso – rispondiamo sempre mettendoci ogni volta il nostro nome.

C’è un santo spagnolo, di origine portoghese che si chiamava Juan Ciudad. Quando, dopo averne fatte, come suol dirsi, di tutti i colori si convertì e iniziò una vita di penitenza, la cosa fu ritenuta talmente strana da farlo rinchiudere in manicomio. Proprio lì, però, nei malati scoprì il vero volto di Dio. Di quell’uomo si conosceva soltanto il nome: Giovanni. Quando, poi, si capì che la sua non era stranezza, ma santità lo si cominciò a chiamare Giovanni di Dio. È il santo fondatore dei Fatebenefatelli.

Ciascuno di noi è il Giovanni di Dio: mettiamoci ciascuno il nostro nome e poi completiamolo, come nella frase «Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe».

 

Roma, chiesa di sant’Antonio, 20 marzo 2022

Marcello Card. Semeraro