Omelia nella presa di possesso del titolo della diaconia di Santa Maria in Domnica

 

Occhi per vedere l’invisibile

Omelia nella presa di possesso del titolo della diaconia di Santa Maria in Domnica

 

    «Prima Domenica di Avvento del Signore nostro Gesù Cristo, tempo in cui si celebra la prima venuta del Figlio di Dio tra gli uomini, nell’attesa della sua seconda venuta alla fine dei tempi». Con queste parole il Martirologio Romano annuncia il periodo liturgico che oggi abbiamo iniziato: l’Avvento, e questo ci aiuta a comprendere meglio qualcosa su Cristo e qualcosa a nostro riguardo. Circa il Signore Gesù, anzitutto. Egli non è mai il «già venuto», il «già conosciuto», ma è il sempre veniente. Cambiano le modalità del suo arrivo, ma Cristo è colui che viene sempre.

    «Ecco, io sto alla porta e busso» (Ap 3,20): è una delle parole più emozionanti del Signore, perché rievocano l’innamorato del Cantico, dove si legge: «La voce del mio amato che bussa: “Aprimi… (5,2)! È, anzi, proprio questo il principio architettonico dell’intera opera di salvezza, dal suo principio alla conclusione, dalla creazione alla fine dei tempi, perché il misterioso paradosso della fede biblica è l’annuncio di un Dio alla  ricerca dell’uomo. Se, infatti, l’abituale teoria religiosa prende l’avvio dalla ricerca di Dio da parte dell’uomo, la Scrittura comincia subito, già nell’opera della creazione, con ricordandoci che è Dio a cercare l’uomo. Giobbe esclamerà: «Tu come un leone mi dai la caccia» e un grande pensatore ebreo commenta: «È come se Dio non volesse rimanere solo e avesse scelto l’uomo per mettersi al suo servizio» (A. J. Heschel, Dio alla ricerca dell’uomo, Borla, Torino1969, 156). Fatto è che ogni nostra ricerca e desiderio di Dio è un’eco alla primordiale domanda di Dio rivolta a ciascuno di noi: «Dove sei?» (Gen 3,9).

    Come può, dunque, la venuta del Signore metterci soltanto paura? Quante volte, però, si ripete con noi la storia chassidica del piccolo nipote di Rabbi Baruch che, giocando a nascondino con un compagno si nascose ben bene e aspettò che l’amico lo cercasse! Attese a lungo, ma inutilmente e capì che quello non lo aveva mai cercato. Questo lo fece scoppiare in pianto e piangendo corse dal nonno lamentandosi del cattivo compagno di giochi. Allora gli occhi di Rabbi Baruch si empirono di lacrime e gli disse: «Così dice anche Dio: “io mi nascondo, ma nessuno mi vuole cercare”» (M. Buber, I racconti dei Chassidim, Garzanti, Milano 1979, 140).

    Sappiamo che la tradizione cristiana parlò molto presto di una molteplice venuta del Signore. Nel farlo, sottolineò spesso la diversità radicale tra il suo primo avvento, nell’umiltà e nascondimento della carne, e l’ultimo, nella gloria e nel terrore del giudizio. Non v’è dubbio che, umanamente, potremmo interpretare in questo senso le prime parole del testo evangelico di questa domenica: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte». La tradizione cristiana, però, ha conservato pure interpretazioni diverse, spiegate alla luce dell’amore di Dio per noi. «Non penso che Cristo verrà in una nuvolaglia tenebrosa e in una pioggia che dà brividi di freddo», diceva sant’Ambrogio e proseguiva: «per quanto vi siano nubi che avvolgono il cielo in una oscurità che fa rabbrividire, ci sono anche nubi che si condensano raccogliendo la grazia di una rugiada spirituale. Cristo viene sulla nube del Cantico dei Cantici, ossia su una nube serena, rifulgendo della letizia di uno sposo» (Expositio Evangelii secundum Lucam, X, 41-42: PL 15, 1813-1814). Un autore medievale diceva, a sua volta, che ogni venuta del Signore è misericordia: «Adventus in carne, quando visitavit de misericordia; adventus in charitate, quando mundum iudicabit in gloria: la venuta del Signore nella carne fu visita nella misericordia; l’ultima, quando egli verrà nella gloria per il giudizio del mondo, sarà nella carità» (Alano di Lilla, Sermo VII. In adventu Domini: PL 201, 214).

    Più vicino a noi, san J. H. Newman spiegava che quel giorno sarà come il giungere della primavera eterna attesa da ogni cristiano. Al modo in cui in primavera sugli alberi spuntano foglie, gemme e fiori e nei campi nascono l’erba e il grano, così, quando il Signore verrà nella gloria, vedremo spuntare nel mondo nuovo i santi e gli angeli. Ciò che, infatti, ora vediamo non è che l’involucro del regno eterno: quello verso cui oggi si volge l’occhio della nostra fede (cf. Parochial and Plain Sermons, IV, 13: The Invisible World). Non è, questa, una stupenda prospettiva anche per quanti, tra noi, operiamo nella Congregazione delle Cause dei Santi? «Non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi», disse la volpe al Piccolo Principe del racconto di A. de Saint-Exupéry. Per noi cristiani è ben di più. È verità. L’avvento del Signore ci dona occhi per vedere l’invisibile: vedere santi spuntare dal mondo presente!

    «Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina», abbiamo ascoltato ed è per questo che la prima d’Avvento è chiamata: Dominica ad te levavi! «A te, Signore, innalzo l’anima mia» (Sl 24,1). È tempo, allora, di speranza, tempo di attesa, di fiducia. La ripetizione dell’Avvento nel ciclo dell’anno liturgico non porta con sé la noia dell’eterno ritorno, ma alimenta la gioia di chi vede avvicinarsi la persona amata e, per questo, se ne sente attratta e, al tempo stesso, sospinta verso di lei. La spiritualità dell’Avvento è la crescita del desiderio di Dio.

    Benedico, allora, il Signore, che mi permette di vivere nel medesimo giorno un’altra tappa della mia vita. Nel clima della speranza caratteristico della prima Domenica d’Avvento iniziai nel 2004 il mio cammino di vescovo nella Chiesa di Albano: un percorso che mi ha maturato e arricchito e ha allargato gli orizzonti al mio sguardo. Questo è accaduto grazie pure alle tante persone buone, che ho incontrato e con le quali ho lavorato. In questa medesima data, lo scorso anno, il Santo Padre – cui vanno il mio filiale pensiero e la nostra affettuosa preghiera – mi annoverò nel collegio cardinalizio, consegnandomi il titolo di questa Diakonia. Giungendovi ufficialmente, rivolgo il mio saluto cordiale alla comunità parrocchiale, che qui si raduna col suo parroco e i suoi sacerdoti e gli operatori pastorali.

    Fin dall’antichità l’assegnazione di un titolo diaconale a un cardinale ha richiamato il servizio e la carità ed oggi, mentre compio l’atto ufficiale della «presa di possesso», torno a riflettere sulle parole pronunciate dal Papa un anno fa: «La carità è il cuore pulsante del cristiano: come non si può vivere senza battito, così non si può essere cristiani senza carità. A qualcuno sembra che provare compassione, aiutare, servire sia cosa da perdenti! In realtà è l’unica cosa vincente, perché è già proiettata al futuro, al giorno del Signore, quando tutto passerà e rimarrà solo l’amore. È con le opere di misericordia che ci avviciniamo al Signore» (Omelia del 29 novembre 2020 nella Santa Messa con i nuovi cardinali). Se, dunque, nel tempo liturgico dell’Avvento la Chiesa ci ricorda che il Signore è Colui che sempre viene, noi lo vivremo degnamente, questo tempo, solo se, a nostra volta, sapremo farne il tempo del nostro avvicinarci a lui.

    Mi tornano alla memoria, in conclusione, queste parole del Servo di Dio don Primo Mazzolari: «La Chiesa ricorda nell’Avvento il dramma spirituale dell’umanità che attende, e da vicino e da lontano, poiché niuno è tanto vicino da non sentirsi un lontano, ed è tanto lontano da non essere avviato all’incontro. La nostra vita spirituale – il Regno dei cieli, dice il Vangelo – è volta a quest’incontro, per il quale non vale l’attesa di un giorno o di un anno, perché Cristo viene sempre e nessuno può dire in verità d’averlo definitivamente trovato» (Segni dei tempi, La Locusta, Vicenza 1975, 61).

 

    Roma – Basilica di Santa Maria in Domnica, I° Domenica di Avvento (C), 28 novembre 2021

 

Marcello Card. Semeraro

 

    Qui la pagina dedicata al Cardinale Titolare sul sito di Santa Maria in Domnica alla Navicella