Omelia nella Santa Messa in memoria del prof. Giovanni Riva

 

Testimoni del Risorto, in tutto il mondo

Omelia nella Santa Messa in memoria del prof. Giovanni Riva

 

La pagina di vangelo che abbiamo appena ascoltato mi lascia francamente un po’ sconcertato. E questo non certamente per le discussioni che su di essa fanno gli studiosi: se sia davvero dell’evangelista Marco, oppure una «finale» aggiunta da altra mano, ecc. … Tali questioni in questo momento non importano. Tutto ciò che è stato proclamato, con la fede della Chiesa noi lo consideriamo parte integrante del Nuovo Testamento e di esso ci poniamo, come scrive il Concilio Vaticano II, in «religioso ascolto» (DV, 1). Quello, però, che sconcerta – sconcerta almeno me – è la testarda incredulità dei discepoli. Non credettero, ripete il passo evangelico e per questo Gesù li rimprovera. Di più, perché il verbo greco cui ricorre il testo evangelico (oneidizo) è molto forte e il minimo con cui potrebbe tradursi è: vergognatevi!

I discepoli, in effetti, non avevano creduto alla testimonianza di Maria di Magdala. È vero che, secondo il diritto ebraico dell’epoca, la testimonianza di una donna non aveva alcun valore giuridico; i discepoli, però, non credettero neppure alla testimonianza di due uomini. Però… subito dopo i rimproveri Gesù affida ai discepoli una missione universale. È qui che la cosa mi lascia perplesso e interiormente mi scuote. Mi commuove questa infinita misericordia; questo suo «cuore» più grande del mio cuore (cf. 1Gv 3,20); questa fiducia nonostante tutto… Celebreremo domani la domenica della Divina Misericordia.

Per questi discepoli, però, una scusante forse possiamo trovarla. Erano in lutto e in pianto, abbiamo ascoltato. Come non capirli? Dopo la sconfitta di Gesù e lo spettacolo di lui morto e appeso a un legno questi discepoli si sono chiusi su se stessi, innalzando  una barriera perfino rispetto alla memoria del Maestro. Fuga, paura, perdita della speranza: è questa, ormai, la situazione della comunità di Gesù. E noi cosa avremmo fatto? Non la conosciamo anche noi questa tentazione alla chiusura, che assale nel momento dello sconforto, della sofferenza; questo dolore psicologico che ci fa arrotolare su noi stessi e ci blocca sempre di più?

Non è soltanto un fenomeno personale. Lo è anche sotto il profilo comunitario, sociale… Ripenso a ciò Francesco ripete nell’enciclica Fratelli tutti, ossia «la tentazione di fare una cultura dei muri, di alzare i muri, muri nel cuore, muri nella terra…» (n. 27). Poco più avanti accenna al fenomeno opposto, ma equivalente: «mentre crescono atteggiamenti chiusi e intolleranti che ci isolano rispetto agli altri, si riducono o spariscono le distanze fino al punto che viene meno il diritto all’intimità. Tutto diventa una specie di spettacolo che può essere spiato, vigilato, e la vita viene esposta a un controllo costante. Nella comunicazione digitale si vuole mostrare tutto ed ogni individuo diventa oggetto di sguardi che frugano, denudano e divulgano, spesso in maniera anonima» (n. 42). Anche i drammi.

Andando incontro ai suoi discepoli, Gesù li rimprovera d’avere innalzato attorno a sé il «muro del pianto». Soltanto chi come la Maddalena, come i due che «erano in cammino verso la campagna» (ci pare di riconoscere i due che andavano a Emmaus)… solo chi come loro è riuscito ad abbattere quel muro, riesce a incontrare Cristo. Gesù apre sempre orizzonti nuovi, anche quando le sue parole hanno la parvenza del richiamo, del rimprovero.

Una volta, accennando proprio alle differenti reazioni dei discepoli davanti all’annuncio del Risorto, Francesco disse: «Non è facile essere aperti a Gesù. Non è scontato accettare la vita del Risorto e la sua presenza in mezzo a noi. Il Vangelo ci fa vedere diverse reazioni: quella dell’apostolo Tommaso, quella di Maria di Magdala e quella dei due discepoli di Emmaus: ci fa bene confrontarci con loro… Cercavano tra i morti colui che è vivo e fu lo stesso Signore a correggere la rotta. Ed io che faccio? Quale rotta seguo per incontrare il Cristo vivo? Lui sarà sempre vicino a noi per correggere la rotta se noi abbiamo sbagliato» (Catechesi del mercoledì 23 aprile 2014).

Nel rimprovero di Gesù ai discepoli ci sembra, allora, di risentire la beatitudine da egli stesso proclamata in Gv 20,29: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Ormai la Chiesa è questa comunità di tradizione. «Questa beatitudine è per noi – predicava sant’Agostino – ; è in noi che il Signore si è degnato realizzare ciò che allora esaltò. Quelli che lo crocifissero lo videro e lo palparono, e così pochi credettero; noi non abbiamo visto e non abbiamo toccato con mano: abbiamo udito e abbiamo creduto. Possa realizzarsi in noi fino alla perfezione la beatitudine che egli ora ha promesso» (In Joannis evangelium tractatus, XVI, 4: PL 35, 1525).

«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura». È in questo contesto, carissimi fratelli ed amici, che noi oggi ci ritroviamo attorno alla mensa eucaristica. Siamo come gli Undici del racconto: mentre erano a tavola! È qui che raccogliamo ancora una volta l’invito ad una cattolicità plenaria: «in tutto il mondo … a ogni creatura». È sempre qui che ricordiamo un fratello e un amico – Giovanni Riva – che questo mandato l’ha davvero raccolto. Non ha veduto, ma ha creduto ed è partito come testimone: dalla sua Reggio Emilia fino in Spagna, poi in Corea quindi nel Messico e poi fino in Honduras e ancora in Giappone.... Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo … E poi c’è l’Opera di Nàzaret, comunità di tradizione anch’essa.

Di Giovanni Riva siamo qui per ricordarne il dies natalis, ma siamo qui anche per lodare il Signore e rendergli grazie per il dono che nella sua persona tanti di noi, benché a titolo e forme diverse, abbiamo ricevuto da Dio. Molti di quanti, oltre ai suoi parenti e famigliari, siamo qui presenti stamane, Giovanni Riva lo hanno incontrato di persona. Fra questi anch’io. Tutti nutriamo affetto per la sua persona. Una ragione in più, allora, per rendere più intensa la nostra preghiera al Signore e rendere, in tali ricordi, ancora più gioioso il nostro stare come fratelli.

 

Basilica di San Pietro, Altare della Cattedra, 23 aprile 2022

 

Marcello Card. Semeraro