Omelia nella Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù

 

IL SEGRETO DEL CUORE DI CRISTO

Omelia nella Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù

 

La solennità che oggi celebriamo in onore del Sacro Cuore di Gesù è, rispetto a molte altre dell’anno liturgico, una festa alquanto recente. Per i suoi inizi dobbiamo risalire a santa Margherita Maria Alacoque (1647-1690), proclamata santa da Papa Benedetto XV il 13 maggio 1920. Durante una visione ella fu incoraggiata da Gesù a ricevere la Comunione ogni primo venerdì del mese ed è così che ebbe inizio la spiritualità del Sacro Cuore con le sue particolari devozioni. Per onorare il Cuore di Cristo e riparare alle offese da lui ricevute si cominciò pure a celebrare una particolare festa che, diffusa in modo particolare dalla Compagnia di Gesù, si diffusa grandemente al punto da convincere il beato Pio IX a proclamarla festa per tutta la Chiesa. C’è una particolare preghiera colletta, che ce ne rammenta l’ispirazione originaria: «Padre misericordioso, che nel Cuore del tuo Figlio trafitto dai nostri peccati ci hai aperto i tesori infiniti del tuo amore, fa’ che rendendogli l’omaggio della nostra fede adempiamo anche al dovere di una degna riparazione».

Nel 1956, anno centenario dell’istituzione di questa festa, per difendere la devozione al Sacro Cuore dagli attacchi avvenuti nel tempo, il Venerabile Pio XII scrisse l’enciclica Haurietis aquas dove si legge che il Cuore sacratissimo di Gesù è «il simbolo più espressivo di quella inesausta carità, che il Divin Redentore nutre tuttora per il genere umano. Esso, infatti, benché non sia più soggetto ai turbamenti della vita presente, è sempre vivo e palpitante, e in modo indissolubile è unito alla Persona del Verbo di Dio e, in essa e per essa, alla divina sua volontà». Questa solennità ci permette, dunque, di gettare uno sguardo nel cuore di Gesù, che nella morte fu aperto dalla lancia del soldato romano.

C’è per questo un bellissimo e commovente testo di san Bernardo, che può esserci d’aiuto. Questo il titolo di quella sua omelia: Come nelle ferite aperte di Cristo la Chiesa scopre le ricchezze della divina misericordia. A un certo momento san Bernardo dice così: «Tutto quello che mi manca io lo attingo dal costato aperto del Signore dove confluisce la misericordia; né mancano le feritoie da cui quella misericordia può uscire. Hanno ferito le sue mani e i suoi piedi, e con la lancia gli hanno aperto il costato: da lì ora io posso succhiare il miele dalla pietra, ricevere l’olio da un sasso durissimo e cioè: “vedere e gustare quanto è buono il Signore”». Poco più avanti con animo commosso aggiunge: «Il ferro della lancia lo ha trapassato e si avvicinato al suo cuore sicché ora non è più possibile che Egli non compatisca le mie infermità. Attraverso la ferita del corpo si manifesta il segreto del suo cuore; si manifesta il grande sacramento della pietà, si manifestano le viscere di misericordia del nostro Dio, nelle quali ci visita un sole che sorge dall’alto» (Sermo LXI, 4: PL 183, 1072-1073).

Quando poi, più di recente, nel Giovedì Santo del 1995 istituì questa data per la «Giornata mondiale della santificazione dei sacerdoti», San Giovanni Paolo II aprì per questa solennità un’altra importante prospettiva: quella del legame tra il ministero sacerdotale e il Cuore di Cristo. Il Santo Curato d’Ars diceva che «il sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù» (cf. CCC n. 1589). Ed ecco che stamane con i presbiteri di questa Chiesa abbiamo vissuto alcuni momenti di preghiera e di riflessione ed io sono grato al vostro Vescovo, il carissimo Mons. Luigi Mansi, per l’invito che mi ha rivolto offrendomi così l’occasione per rivedere tanti volti che mi riportano agli anni della mia formazione nel Seminario Regionale di Molfetta e al mio ministero di insegnamento della teologia. Cito per tutti il venerato Mons. Agostino Superbo, ora arcivescovo emerito, da sempre amico fedele e maestro impareggiabile, e il sac. Michele Lenoci, professore di Sacra Scrittura nell’Istituto Teologico.

Ricordiamo pure il 70mo anniversario del pio transito del Venerabile Servo di Dio Mons. Giuseppe Di Donna, la cui tomba è custodita in questa Cattedrale. La coincidenza con questa solennità è felice giacché il 15 luglio 1940 egli consacrò la Diocesi al Sacro Cuore di Gesù. Di lui risplendono la pietà e la carità: tutto vedeva in Dio e soprattutto nel povero riconosceva la presenza del Signore. La preghiera dopo la Comunione di questa festa ci fa pregare così: «Il sacramento della carità, o Padre, ci infiammi di santo amore, perché, attratti sempre dal tuo Figlio, impariamo a riconoscerlo nei fratelli».

Ora, però, è doveroso riflettere sulla Parola di Dio che abbiamo insieme ascoltato. Vorrei, anzitutto, portare l’attenzione sul Salmo 23 (22): «Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla». Facendo eco alla lettura tratta dal Libro di Ezechiele, esso ci ha preparato pure all’ascolto del Santo Vangelo. «Io stesso cercherò le mie pecore», abbiamo ascoltato! È vero, sì, che noi siamo cercatori di Dio; se, però, lo siamo, è perché già da prima Dio è venuto a cercarci. Risuona sempre nella storia la sua domanda: Adamo, dove sei? (cf. Gen 3,9). Nel suo Figlio, Verbo incarnato, Dio è venuto a cercarci per prendersi cura di ciascuno di noi. Diceva Benedetto XVI: «Non sono lasciato solo, smarrito nell’universo ed in una società davanti a cui si rimane sempre più disorientati. Egli si prende cura di me. Non è un Dio lontano, per il quale la mia vita conterebbe troppo poco… È bello e consolante sapere che c’è una persona che mi vuol bene e si prende cura di me. Ma è molto più decisivo che esista quel Dio che mi conosce, mi ama e si preoccupa di me» (Omelia dell’11 giugno 2020).

«Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me», abbiamo cantato nell’Alleluia (cf. Gv 10,14). Siamo ancora rassicurati. Dio mi conosce, si preoccupa di me! Lasciamo che questa parola del Signore entri in noi, ci invada, ci rassicuri. Facciamolo tutti; facciamolo soprattutto noi sacerdoti in questa Giornata dedicata alla nostra santificazione. Quante persone oggi hanno pregato per noi; anche quelle che abitualmente ci domandano di ricordarci noi di loro, nella nostra preghiera.

«Io conosco le mie pecore». Nel significato che la Sacra Scrittura dà a questo verbo, non si tratta di un semplice sapere esteriore, come ad esempio, si può conoscere un l’indirizzo di una persona. «Conoscere» nella Bibbia significa volere bene, amare. Che Gesù ci conosca vuol dire che Egli ci vuole bene.

Il Salmo prosegue: «Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me». Queste parole ci risuonano nell’animo con una efficacia tutta particolare. Un tempo era il tempo delle certezze, oggi è il tempo dell’insicurezza; ieri era il tempo in cui s’immaginava il super-uomo, oggi è l’ora in cui si torna a sperimentare l’uomo fragile, vulnerabile; ieri era il tempo del progresso, oggi è il tempo della crisi… Ancora di più, dunque, mentre siamo nella «valle oscura», sentiamo il bisogno della guida. L’abbiamo ed è il Signore stesso. Egli che è disceso nella notte oscura della morte, non ci abbandona. Anche lì il Signore ci guida.

Il Salmo continua: «Davanti a me tu prepari una mensa». A noi, queste parole richiamano senz’altro l’Eucaristia. Ed allora, dopo essere stati nutriti dalla Parola del Signore, lasciamoci adesso nutrire da lui, cibo di vita eterna. Amen.

 

Cattedrale S. Maria Assunta in cielo, Andria, 24 giugno 2022

 

Marcello Card. Semeraro