Omelia nella solennità dell’Assunzione

 

Assunta in Cielo come ambasciatrice di tutti

Omelia nella solennità dell’Assunzione

 

Ho accolto volentieri l’invito a celebrare insieme con voi questa bella festa mariana e sono sinceramente grato al vostro Parroco [Mons. Claudio Dolcini] per l’accoglienza e l’ospitalità che mi sta riservando.

Non è la prima volta che giungo a Sotto il Monte; vi giunsi, l’ultima volta, nel luglio 2011 con alcuni sacerdoti e con i seminaristi della Diocesi di Albano, di cui ero vescovo, per visitare i luoghi di Papa Giovanni e di Paolo VI (i due Papi del Concilio Vaticano II). Albano è una Diocesi del Lazio, che comprende anche la cittadina di Castel Gandolfo: località dove ci sono le Ville Pontificie, tradizionalmente riservate a luogo di riposo per i Papi, celebrando pure, nella festa dell’Assunta, la Santa Messa nella chiesa parrocchiale. Dal 2005 al 2012 come vescovo diocesano vi ho accompagnato Benedetto XVI e nel 2013 anche Papa Francesco.

Lo faceva anche Giovanni XXIII; anzi fu proprio lui a iniziare nel 1961 questa bella consuetudine. Nell’Omelia dell’anno successivo, il 1962, egli si soffermò sull’importanza della parrocchia, che intendeva come «dono del Signore nella vita della Chiesa». La indicò, per questo, quale istituzione provvida e insostituibile, richiamo della presenza di Dio tra i fedeli, centro non solo per la pietà eucaristica, ma di tutte le attività parrocchiali. In tale contesto esclamò: «il pensiero, in questo momento, va al nostro villaggio natìo, ai ricordi della nostra infanzia. Là avemmo i primi contatti dell’animo innocente presso le sorgenti della pietà cristiana, le soavi impressioni, che non si cancellano; là avvenne la successione dei sacramenti ricevuti, il progresso nell’istruzione catechistica, e l’avviamento allo stato ecclesiastico».

Questo collegamento tra la festa dell’Assunta e la parrocchia di Sotto il Monte stava davvero nel cuore di Papa Giovanni. Ne Il Giornale dell’anima, ricordando i giorni dell’ordinazione sacerdotale (1904), scrisse: «Il 15, festa dell’Assunta, a Sotto il Monte. Scrivo quel giorno fra i più lieti della mia vita, per me , per i parenti, per i benefattori, per tutti». Nella medesima data del 1961 annotava: «L’Assunta mi riconduce con tenerezza a Sotto il Monte, dove tanto mi piacque venerarla nelle sue due statue …».

Ecco, carissimi, una delle ragioni per cui ho accolto volentieri l’invito a vivere con voi la festa della Beata Vergine Maria Assunta in cielo: la venerazione per il santo papa Giovanni XXIII. Ricordo da bambino (avevo solo dieci anni) le immagini televisive del suo apparire sulla loggia della Basilica di San Pietro la sera della sua elezione alla Cattedra di Pietro. In quell’omelia del 1962 a Castel Gandolfo, però, il Papa rivolse pure il suo pensiero all’ormai prossimo inizio del Concilio Vaticano II. Invocò, anzitutto, l’intercessione della Santa Madre di Dio per la pace nel mondo (in quei giorni, infatti, covava già da qualche mese quella che esploderà nell’ottobre successivo ed è cosciuta come la «crisi di Cuba»); invocò il dono della «vera e desiderata pace» e così concluse: «Oh! che bell’inizio sarebbe questo del grande Concilio che ci sta in vista: che gioia esultante per la Santa Chiesa Cattolica e per il mondo universale! Così sia, così sia». Collochiamo nel nostro oggi queste parole del Papa Buono e anche noi invochiamo, per l’intercessione materna della Vergine Assunta in cielo, il dono della pace nel mondo.

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Dedichiamo, ora, carissimi, la nostra attenzione alla liturgia di questo bel giorno e domandiamoci: cosa vuole dirci? Perché facciamo festa? Perché essere lieti? Ci risponderà fra poco il Prefazio della Messa e lo farà ripetendo il magistero del Concilio Vaticano II: «hai fatto risplendere per il tuo popolo, pellegrino sulla terra, un segno di consolazione e di sicura speranza» (cf. Lumen gentium, n. 68). È, dunque, una solennità che non c’invita soltanto a cantare Le glorie di Maria, come nel passato avrebbe detto sant’Alfonso M. De Liguori, ma ci esorta pure a considerare il senso della nostra vita terrena e la sua direzione. Iddio ha formato l’uomo dalla terra, ma lo ha fatto per il cielo! Proprio questo ci ha ricordato l’apostolo san Paolo nella seconda lettura (cf. 1Cor 15,20-26). Cristo, risorto dai morti, è la primizia di tutta una serie di risorti tra i quali ci saremo anche noi, che crediamo in Lui e a Lui ci affidiamo. La prima di questa serie, però, è Maria. Con lei quella «nave», che è la Chiesa, ha gettato l’àncora nel porto della salvezza.

«Assunta alla gloria celeste in anima e corpo», come dice la definizione dogmatica del Papa Pio XII, la Santa Madre di Dio non è stata allontanata da noi: il Padre del cielo, anzi, ce l’ha resa ancora più vicina. A somiglianza di quella del Risorto, anche la corporeità glorificata di Maria, infatti, è ormai sganciata dalle leggi della materia, dai condizionamenti del tempo e dello spazio e perciò può accostarsi a noi dovunque siamo. Teoteknos, vescovo di Livia in Palestina nel VI secolo, in una sua omelia che è ritenuta fra le più importanti per la dottrina dell’Assunzione, diceva: quand’era in terra, Maria vegliava su tutti; ora, però, che come nostra ambasciatrice è partita verso il cielo, ci sta sempre accanto come madre da invocare e come sorella che comprende le nostre gioie e le nostre ansie (cf. Testi Mariani del primo millennio, II, Città Nuova, Roma 1989, 81-87).

Il racconto del Vangelo ci ha, poi, fatto risentire il canto di Maria: il canto del Magnificat, dove per due volte abbiamo sentito ripete la parola misericordia.«Di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono… Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia».

Ho prima ricordato il Concilio Vaticano II. Quando lo inaugurò l’11 ottobre 1962, lo presentò proprio nella prospettiva della misericordia. Nel discorso per la sua solenne apertura disse queste parole rimaste famose: «Oggi la sposa di Cristo [ossia la chiesa] preferisce ricorrere al rimedio della misericordia piuttosto che brandire le armi della severità».

Questa scelta per la Chiesa di sessant’anni fa è la scelta per la Chiesa di oggi. Papa Francesco ripete che il nostro tempo «è proprio il tempo della misericordia» (Discorso ai parroci di Roma del 6 marzo 2014). Sulla misericordia – lo sappiamo bene – egli ha pure scritto una lettera apostolica (Misericordia et misera, 20 novembre 2016). Ricordiamolo sempre allora e questa parola portiamola con noi quale ricordo di questa festa mariana: la misericordia – come dice ancora Papa Francesco – è la nostra «aria da respirare» (Catechesi dell’8 marzo 2020).

 

Sotto il Monte Giovanni XXIII (Bg), 15 agosto 2022

 

Marcello Card. Semeraro