Omelia nella Solennità di Cristo Re (Anno C)

 

Il buon ladrone, unico contemporaneo di Cristo

Omelia nella Solennità di Cristo Re (Anno C)

 

Collocata al vertice dell’anno liturgico, la solennità di Cristo Re ci ricorda che tutte le cose sono riconciliate con Dio: lo sono non soltanto «per mezzo di lui», ma pure «in vista di lui» (Col 1, 20). I nostri giorni e le nostre azioni hanno senso cristiano e valore salvifico solo se inseriti in tale dinamismo. È quanto col brano della II lettura c’insegna san Paolo, che prosegue: Dio ha riconciliato l’uomo col sangue della Croce di Cristo. In qualsiasi giorno, dunque, noi celebriamo la Divina Liturgia: sia Natale o Pasqua, e in qualsiasi festività, mariana o dei nostri santi protettori e patroni, noi onoriamo sempre e veneriamo la Croce di Cristo.

Nel giudizio della Croce è concessa a tutti la misericordia come grazia. È il tema con il quale ieri sera ho concluso il mio incontro con i rappresentanti delle Confraternite dell’Arcidiocesi e ora siete qui in tanti, con i vostri emblemi e le vostre insegno. Vi saluto tutti, con animo grato e commosso, a cominciare dal carissimo Arcivescovo Corrado, che ancora ringrazio per avermi invitato a vivere insieme con voi questo forte momento di comunione cristiana, di fraternità.

Ieri sera, parlando al Convegno del Centro Diocesano Confraternite, ricordavo che per il papa Francesco, la misericordia è la trave principale che sostiene la vita e la missione della Chiesa. Questo medesimo annuncio sulla misericordia lo riceviamo oggi dal racconto evangelico del dialogo di Gesù Crocifisso con il ladro, morente con Lui.

È un testo splendido nella sua semplicità e commovente al tempo stesso. Un commento molto bello ci giunge da san Romano detto il Melodo il quale, in un suo inno sull’adorazione della Croce, raffigura il Buon Ladrone che, ormai perdonato e giunto nel Paradiso, piange sulla sorte di Adamo il quale, invece, ne era stato scacciato e si vedeva la strada del ritorno sbarrata dai cherubini. Gesù dice allora al ladrone: «prendi la mia croce sulle spalle e così va’ in fretta nell’Eden […]. Tenendo in mano questo editto posto sulla mia croce va’ incontro ai Cherubini. Essi riconosceranno il sigillo della vita e consegneranno nelle tue mani il potere di aprire e di fare entrare i miei amici nel Paradiso. Udite queste parole, il ladrone prese sulle spalle l’emblema della grazia, come aveva detto il Misericordioso, e si mise in cammino benedicendo il dono della croce. E cantava senza tregua un canto nuovo…». (Cantici, I, UTET, Torino 2002, p. 499.501).

In una tradizione assiro-caldea che rimonta al quinto secolo, ogni lunedì di Pasqua questo mistero è tradotto in una sorta di dramma sacro chiamato Gayassa e recitato dai diaconi prima della lettura del Vangelo. Imitano qui e drammatizzano il dialogo tra il cherubino, guardiano del paradiso, e il buon ladrone incaricato da Gesù di aprirne le porte. La negoziazione è dura, per il buon ladrone, visto che l’angelo ha ricevuto la consegna di impedire a tutti gli uomini l’accesso al giardino, dopo la caduta di Adamo. Al termine, però, il buon ladrone finirà per brandire davanti a lui la Croce davanti e l’angelo, prostrandosi immediatamente, lo lascerà entrare nel Paradiso. Dopo aver deposto la croce sull’altare, il Buon Ladrone tornerà indietro ad abbracciare l’angelo, in segno di riconciliazione, provocando gli applausi di gioia dell’assemblea. Il messaggio è questo: se Pietro ha le chiavi del regno dei cieli, ad aprirne le porte è questo ladrone.

Non è bello sapere che a farci entrare nel paradiso non saranno i cherubini, purissimi spiriti, ma un apostolo che ha rinnegato Gesù – Pietro, appunto – e un ladrone, che è stato salvato quasi preso per i capelli? Non potrebbe essere, questa, carissimi, una bella immagine per le vostre processioni del venerdì santo, quando camminate con le immagini della Passione? Un cammino sotto il segno della Misericordia.

Ascoltiamo, dunque, cosa il ladrone a Gesù. Ricordati di me, gli dice! Egli non domanda nulla, se non un ricordo. «Non gli domanda né il paradiso, né il purgatorio e neppure di essere preservato dalle pene dell’inferno», dirà san Bernardino da Siena in una predica del Venerdì santo 6 aprile 1425, commentando: «Nessuno mai aveva parlato così a Gesù».

A Gesù, il malfattore chiede solo un ricordo. Non gli domanda né una parola, né uno sguardo e neppure alcune gocce d’acqua, come a Lazzaro il ricco epulone (cf. Lc 16,23-24). Dice soltanto: ricordati di me. Non domanda di stare nel Regno, come aveva chiesto la madre per i due figli di Zebedeo (cf. Mt 20,21). No. Il ladrone chiede soltanto un ricordo nel Regno.

Cos’è, in fin dei conti, un ricordo? Ho letto da qualche parte che non è nulla, perché non puoi vederlo, né toccarlo, eppure il ricordo può essere qualcosa di così forte, da non potere essere distrutto! Il buon ladrone, forse, domandava a Gesù solo questo: essere depositato nel suo cuore, perché quella tragedia immane che lo aveva condotto su una croce non lo annientasse del tutto. Chiede di rimanere non da qualche parte, ma in Gesù: perché qualcosa di lui non sia distrutta, ma rimanga!

Ma aggiunge: «Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno»! Che ne sapeva, lui, di questo Regno? Era forse tra i discepoli del Battista, che predicava: ««Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (

Mt 3,1)? Oppure tra quelli che udivano le stesse parole dalle labbra di Gesù (cf. Mt 4,17)? Penso proprio di no. Era intento a rubare!

 

Forse, però, era lì nel pretorio quando Pilato chiese a Gesù: Tu sei re? E lì aveva udito la risposta: Il mio regno non è di questo mondo… io sono re. Per questo sono nato, per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce? (cf. Gv 18,33-37).

Ed ecco che è proprio la verità a liberare questo malfattore. Dice al suo ormai ex collega: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male» (Lc 23,40-41). Riconosce che egli riceve il giusto per le proprie azioni ed ecco che, in questa verità, trova la forza della sua conversione e apre la porta del suo cuore alla grazia della salvezza. Per questo Gesù gli risponde: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».

Sant’Ambrogio esclamerà: quam velox misericordia, com’è rapida la misericordia (Enarr. in XII psal. davidic., XXXVII, 18: PL 14, 1017)! Gesù non gli dice: «domani», ma oggi! Immaginiamo cosa sarà passato in quel momento nel cuore del ladrone. Quella parola sant’Agostino l’ha tradotta i questa promessa: Hodie mecum in ligno crucis, hodie mecum in ligno salutis (Enarr. in Ps., XXXIX, 15: PL 36, 444), «oggi sei con me sull’albero della croce, oggi sarai con me sull’albero della salvezza». Come in una dissolvenza incrociata, l’albero della vita si sostituisce all’albero della croce ed è festa: «gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra» (Sal 16,11).

Hodie, «oggi» è la parola chiave di tutta la Liturgia cristiana. È una parola che sta lì per dirci che mediante la Liturgia – anche in questa Santa Messa – noi siamo fatti contemporanei del mistero pasquale di Cristo, con tutta la sua energia di grazia e di salvezza. Come avvenne al buon ladrone, che S. Kierkegaard definì: «l’unico contemporaneo di Cristo» (cf. Diario, 2961*). E così, con la sua umile richiesta di salvezza, ha offerto ragioni di speranza a tutti i crocifissi della storia e alle tante miserie che riempiono il nostro tempo.

Ed ora preghiamo con queste parole adattate da Gregorio di Narek, un santo della Chiesa armena, cui papa Francesco ha conferito il titolo di dottore della Chiesa: «O Benedetto, Tu Benedetto e ancora Benedetto, accogli me che seguo la medesima fede di quel ladro. Dalla rovina, sollevami, Tu, mio Benefattore! Guariscimi dal male, dalle mie infermità, o Misericordioso! Restituiscimi vivo dalla soglia della morte, Tu che vivifichi. Io pure ti appartengo: ridonami vita insieme al ladrone. Tu che sei glorificato in ogni cosa, nei secoli. Amen» (cf. Paroles a Dieu, 42,2: Peeters 2007, p. 203).

 

Cattedrale di Palermo, 20 novembre 2022

 

Marcello Card. Semeraro

 

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Saluto dell’Arcivescovo Corrado a S. Em. il Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero per le Cause dei Santi, nell’Eucaristia della Solennità di Cristo Re dell’Universo

Cattedrale, 20 novembre 2022

 

Nella cornice, suggestiva e armoniosa di questa Cattedrale arabo-normanna, dove vengono custoditi e venerati i corpi di Santa Rosalia e del Beato Giuseppe Puglisi, rivolgo a Lei, Eminenza Reverendissima, il saluto gioioso e sincero, unitamente al sentimento di gratitudine per aver accettato di essere in questi giorni tra di noi e, soprattutto, di presiedere questa Eucarestia nella Solennità di Cristo Re che ogni anno vede riunite le Confraternite della nostra Arcidiocesi.

Abbiamo pensato a Lei, Eminenza Carissima, per i sentimenti di amicizia che ci legano alla Sua persona e per il Suo prezioso servizio alla Chiesa universale come Prefetto del Dicastero per le cause dei Santi, nella ricorrenza del 50° Anniversario della Fondazione del Centro Diocesano Confraternite, voluto dal Cardinale Salvatore Pappalardo, di venerata memoria.

Si era nel pieno fervore della ricezione del concilio Vaticano II che nella Costituzione sulla Chiesa Lumen gentium, aveva ribadito: «Col nome di laici si intende qui l’insieme dei cristiani, […] che, dopo essere stati incorporati a Cristo col battesimo e costituiti popolo di Dio e, nella loro specificità, resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano» (LG 31).

Mentre rendiamo grazie per questi 50 anni di cammino, uniti con sempre più lucida consapevolezza e compartecipazione al cammino sinodale della Chiesa universale e della nostra Chiesa locale, vogliamo essere, in questo promettente tempo, al servizio di una Chiesa che, animata dalla gioia dell’Evangelo di Cristo, cresce nella comunione, nella partecipazione e nella missione evangelizzatrice. In particolare, come Confraternite ecclesiali, vogliamo essere espressione di una fede che capta, condivide e assume «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini e delle donne d’oggi, del nostro popolo, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono» (GS 1).

Siamo consapevoli che la nostra identità di fraternità laicali ci chiede, prima di ogni cosa, di rispondere alla chiamata alla santità che è iscritta nella nostra rinascita battesimale. Desiderare Dio. Amarlo con tutto il nostro essere e riconoscerlo e onorarlo in ogni uomo e in ogni donna. Ascoltare e praticare la sua Parola. Vivere la vita in Cristo. Aspirare al Paradiso già su questa terra, secondo le parole di Gesù al ladrone convertito (cfr Lc 23,43).

Ci custodisca Maria Santissima, Madre di Dio e Madre nostra. Ci ricordi ancora e sempre di seguire Gesù e di fare quello che Egli ci comanda (cfr Gv 2,5). Accogliamo la sua regalità nella nostra vita. Ed Egli ci rivelerà il mistero dell’amore misericordioso di Dio che, come ci dice Gesù stesso, è nascosto ai sapienti e agli intelligenti per essere rivelato ai piccoli (cfr. Lc 10,21).

Saluto questa Santa assemblea e tutte le confraternite qui convenute. Il Signore che ci ha convocati ci renda un unico corpo, il suo Corpo, un cuor solo e un’anima sola, per la gloria del suo nome.

A Lei, Eminenza ‒ venuto in mezzo a noi nella fausta ricorrenza del 40° Anniversario, proprio come oggi, della visita di S. Giovanni Paolo II a Palermo ‒ e all’intero Dicastero delle Cause dei Santi, assicuriamo la nostra preghiera, mentre imploriamo la Trinità Santissima perché il nostro Beato Pino Puglisi martire, ucciso in odium fidei per la perfidia sacrilega di uomini mafiosi, possa essere presto canonizzato. E per questo chiediamo anche la Sua preghiera e il Suo sostegno.