Omelia per il giubileo di santa Lucia Filippini

 

Come il Figlio, non come i figli

Omelia per il giubileo di santa Lucia Filippini

 

    1. Un dato che spesso mi accade di verificare è che nella loro vita terrena i santi inconsapevolmente si cercano e provvidenzialmente si trovano. È quanto troviamo anche per santa Lucia Filippini, di cui ricordiamo il 350° anniversario della nascita. La sua figura si intreccia con quella del venerabile Marco Antonio Barbarigo, anzitutto, e poi di santa Rosa Venerini, che dal Barbarigo fu chiamata a Montefiascone per avviarvi l’esperienza delle scuole per le fanciulle. È una storia di santità intessuta di dono reciproco dei carismi e di collaborazione nello zelo apostolico.

Quanto diversa, allora, è questa storia, da quella narrata nella parabola evangelica! Due fratelli di ricca famiglia («figli di papà», diremmo oggi) tanto diversi fra loro, ma pure tanto somiglianti. Intestardito nella sua mania festaiola, uno e, l’altro, troppo zelante nel lavoro. Per l’uno, non un gesto di impegno e di dedizione: «sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto»; per l’altro, nessuno spazio per la comprensione: «non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici», dice pieno di gelosia. Ed ecco che questi due fratelli non riescono a incontrarsi.

Nessuna nobiltà di sentimenti, in entrambi. Il minore ha rimpianto per la casa, ma è più che altro invidia dei salariati, che «hanno pane in abbondanza». Prepara, per questo, una filastrocca ed è pronto a recitarla: «andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te». La parabola ci narra la reazione ricca d’amore del padre, ma non ci dice se qualcosa è cambiato nel cuore del giovane. Del maggiore, invece, ci dice esplicitamente che prese nettamente le distanze sia dal padre, sia dal fratello: «questo tuo figlio», dice e si rifiuta di entrare nella sala della festa.

 

    2. In fin dei conti, questi due figli sono rappresentanti delle due forme di peccato di cui abbiamo sentito all’inizio della storia. Per un verso, ci sono i pubblicani e i peccatori che si avvicinano a Gesù per ascoltarlo e il figlio minore è la loro personificazione; per l’altro, ci sono i farisei e gli scribi, che mormorano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ecco due distinte categorie di peccatori.

Della prima sono pieni i libri di morale. Ci sono di mezzo il quarto comandamento del decalogo e pure il settimo, per cui sono moralmente illecite «le spese eccessive, lo sperpero» (CCC n. 2409). Quanto, poi, al de sexto, non mancano davvero delle trattazioni a parte! «Questo tuo figlio, ha divorato le tue sostanze con le prostitute», rinfaccia al padre il figlio maggiore.

Gli altri che si avvicinano a Gesù sono i farisei e gli scribi maldicenti. Di loro fa parte il fratello maggiore ed è quella specie di peccato che Francesco chiama «rigidità». Il Papa ne ha parlato ancora nell’omelia dello scorso 2 febbraio… forse perché la rigidità è un po’ malattia «nostra»: di ecclesiastici, persone di vita consacrata, uomini e donne «di chiesa». Ha detto che la rigidità è una perversione ed ha aggiunto (e questo lo sottolineerei) che «sotto ogni rigidità ci sono dei gravi problemi». Commentando la pagina di vangelo ha concluso: «Né Simeone né Anna erano rigidi, no, erano liberi e avevano la gioia di fare festa». Il fratello maggiore della nostra parabola questa gioia non l’aveva!

 

    3. Nello sfondo della parabola, però, c’è Gesù, il narratore della storia ed è con lui che dobbiamo confrontare i due figli della parabola. Non c’è un altro figlio, ma il Figlio che mai si è allontanato dal Padre ed ha sempre obbedito a Lui, ma non come il figlio maggiore. Ed è a questo Figlio che il Padre dice: «tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo…». Questo Figlio si è fatto carne per donarci la sua comunione col Padre e per mostrarcela con la sua obbedienza. È il vero, unico Figlio del quale il Padre dice in verità: «era morto ed è tornato in vita». È l’annuncio pasquale che questa Domenica Laetare ci anticipa e per questo ci invita a rallegrarci. Anche questo Figlio ha speso tutto, ma non come il minore della storia, che ha sperperato. Gesù ha donato tutto, anche la sua vita e fino all’ultima goccia di sangue.

Mentre ci avviciniamo alla Pasqua, riflettiamo su questo centro della nostra fede: «Ha consegnato se stesso per me», dirà san Paolo (Gal 2,20). Santa Lucia Filippini l’ha riconosciuto anche lei: la più antica sua raffigurazione ce la presenta col catechismo mentre mostra l’immagine di Gesù Crocifisso. F. Di Simone, che è il suo antico biografo, si sofferma nel raccontarci come la nostra Santa, «considerando un Signor così buono in dar il sangue e la vita per le nostre anime, sentivasi struggere di amore versi di lui, e desiderava di pagare sangue per sangue, vita per vita, ed in conseguenza di sacrificarsi tutta vittima e sagrifizio di un Dio fatto Uomo, che con tanta carità sul legno della santa Croce si era sagrificato alla giustizia dell’Eterno suo Padre, per amore di lei» (Della vita della serva di Dio Lucia Filippini, Stamperia della S. Congr. De Propag. Fide, Roma 1868, 102).

Sapremo noi imitare questo Figlio e amarlo come santa Lucia Filippini? Impegniamoci a farlo. È la preghiera che oggi ripeto per me, per voi che siete le sue figlie spirituali e per questa Chiesa, che è stata la testimone privilegiata della sua imitazione di Cristo e la prima beneficata dal suo apostolato. Il Signore apra i nostri occhi perché, come il figlio minore, ci incamminiamo verso il Padre, che vuole abbracciarci; ma, diversamente dal figlio maggiore, ci convertiamo dalla nostre chiusure per entrare col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo nella sala della festa e della gioia.

 

Montefiascone, Cripta di santa Lucia Filippini, 27 marzo 2022 – Domenica «Laetare»

 

Marcello Card. Semeraro