Omelia per il millenario della consacrazione di Santa Maria di Grottaferrata

 

Il tempio di Dio, che siamo noi

Omelia per il millenario della consacrazione di Santa Maria di Grottaferrata

 

Quella di oggi è una data attesa e preparata perché ricorda la consacrazione di questa chiesa, avvenuta mille anni or sono, il 17 dicembre 1024, voluta da san Bartolomeo, detto Juniore, per portare a compimento l’opera di san Nilo, di cui era divenuto discepolo e amico. Molti indizi lasciano intendere che sia stata dedicata alla Beata Vergine sotto il titolo dell’Annunciazione. L’ode IX del canone scritto per questa festa così, difatti, la invoca: «Stando nel tuo santo tempio, come se fossimo in uno splendido cielo, con inni ti glorifichiamo, o Madre di Dio, poiché in esso fai scaturire una sorgente incessante di prodigi, illuminando con lo splendore del tuo volto quanti di continuo di cantano: Ave, piena di grazia, il Signore è con te». Questa invocazione, che come sappiamo è tratta dalla salutazione angelica del vangelo secondo Luca (1,28), si ripete per sei volte; l’inno, poi, si conclude con il sapore delle feste natalizie e dice: «Ave, o Madre di Dio… veramente straordinario è il prodigio del tuo parto, o Regina piena della divina grazia; poiché tu porti nelle tue braccia un Figlio che è Dio eterno. A lui incessantemente noi cantiamo: Gloria a Dio nei cieli altissimi, e pace in terra agli uomini amati dal Signore».

Questa medesima lode vogliamo oggi ripeterla anche noi, poiché la Santa Vergine è stata il primo tempio del Signore: per venire ad abitare in mezzo a noi (cf. Gv 1,14), il Figlio di Dio ha scelto di abitare prima, per nove mesi, nel grembo di questa Donna di Nazaret. Per quei nove mesi è stata, lei sola, Maria, la Chiesa! Ora questa Chiesa siamo tutti noi e il tempio – questo e ogni altro edificio consacrato al Signore – lo annuncia e lo prefigura. Ci sono stati giorni, però, in cui il tempio del Signore è stato soltanto lei. Ancora san Bartolomeo, nell’Ode per il 26 dicembre, la invoca come «vaso contenente la manna della vita» e come «celeste tabernacolo». Insieme con gli angeli che cantano sulla capanna di Betlemme, anche noi, dunque, chiediamo al Signore il dono della pace. Mentre tante sono le inquietudini suscitate dai venti di guerra e di violenza, anche noi preghiamo: Pace in terra agli uomini.

Questo tempio, carissimi, di cui stiamo ricordando il millenario dalla dedicazione compiuta dal papa Giovanni XIX da pochi mesi salito sulla Cattedra di Pietro, è stato costruito da mani di uomo. In un volume curato dal nostro p. Basilio Intrieri, che oggi è il più anziano della comunità monastica, ho letto che fu costruito adoperando pure colonne e pietre artistiche ricavate da un’antica villa vicina ed era ammirato da quanti lo visitavano. Il Tempio di Dio, però, che siamo noi, non è stato costruito da mani d’uomo, ma dallo stesso nostro Salvatore, il Signore Gesù Cristo, le cui parole abbiamo udito dal vangelo: «tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18). San Giovanni Crisostomo commenta: edificherò «sulla fede della tua confessione e mostra così che molti ormai avrebbero creduto» (Sul Vangelo di Matteo 54, 2). Voleva dire che pure noi, che crediamo in Cristo Signore, siamo edificati in tempio santo. La pietra fondamentale sulla quale poggia la Chiesa è Cristo e da questa Pietra tutti noi attingiamo dallo Spirito il dono per diventare un’offerta gradita a Dio.

Siamo Tempio di Dio! San Paolo lo afferma chiaramente (cf. 2Cor 6,16); ammonisce, anzi, a non profanare questo tempio: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi» (1Cor 3,16-17). Eusebio di Cesarea racconta che Leonida, il padre di Origene, di notte, quando questi dormiva, si soffermava a baciargli il petto, perché sapeva che era un sacrario dello Spirito Santo. Questo padre – che poi morì martire – riconosceva così la dignità cristiana del suo figlioletto. Tali, dunque, diventiamo tutti noi a motivo del Santo Battesimo. Diventiamo dimora dell’eterno Re. Quando, poi, facciamo la volontà di Dio e accogliamo nel cuore la sua Parola diventiamo, anzi, madri e parenti di Gesù (cf. Mt 12,46-50). Anche noi, allora, possiamo essere e siamo come Maria tempio del Dio vivo, dimora dell’eterno Re, tabernacolo dello Spirito Santo.

In concreto, però, cosa vuol dire, per un cristiano, essere tempio del Signore? Possiamo, infatti, dire, tante cose belle e importanti, ma se non le concretizziamo rimangono parole, soltanto parole… Cinquant’anni or sono ebbe successo una melodia dove mentre la voce recitante di un attore italiano diceva cose belle ma scontate, la voce cantante di una nota artista ripeteva per 15 volte: parole… per poi chiudere con la frase: «Soltanto parole, parole tra noi»! È così per il nostro essere cristiani? Un altro padre della Chiesa, questa volta occidentale, diceva: «Guardate questo tempio, miei cari fratelli ed amici. Osservatene i pilastri e anche voi, per i deboli rendetevi quasi sostegno di colonne; guardatene il soffitto e anche voi, per i poveri fatevi tetto che protegge …» (Agostino, Sermone 337, 5). È la carità della condivisione.

Era il 1999 e quell’anno era in corso la guerra del Kosovo, uno dei più dolorosi conflitti jugoslavi. Ricordo ancora di avere sentito, durante un radiogiornale, le parole dette in un italiano stentato da un albanese, che ospitava una famiglia delle centinaia di migliaia di profughi del Kossovo. Disse: «Ho un pezzo di pane e quello spezzo in due». Sono passati venticinque anni, da allora, ma queste parole non le mai più dimenticate. Non so se a dirle sia stato un cristiano, un musulmano o chissà chi. Di certo, però, quell’uomo è uno al quale Gesù avrebbe poi detto: «Ero forestiero e mi hai ospitato, nudo e mi hai vestito, affamato e mi hai dato da mangiare» (cf. Mt 25,31-36). «Ho un pezzo di pane e quello spezzo in due». Chi disse queste parole apparteneva sicuramente a Cristo e a quella Chiesa invisibile, che è la Chiesa della carità, della solidarietà, della condivisione. Sarebbe bello se, dopo avere celebrato il millenario di questa Basilica, ricordassimo queste parole e le mettessimo in pratica: «Ho un pezzo di pane e quello spezzo in due».

 

Basilica di Santa Maria, Grottaferrata (RM), 17 dicembre 2024

 

Marcello Card. Semeraro