Omelia per il XX di venerabilità di madre Maria Nazarena Majone

 

Santi perché nella Chiesa santa

Omelia per il XX di venerabilità di madre Maria Nazarena Majone

 

1. «In quel tempo, Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle furono prese da stupore». Sono le prime parole del racconto del vangelo, che abbiamo appena ascoltato. Esso ci riporta a un momento tradizionalmente caratteristico del tempo quaresimale, ossia alla tappa in cui, per i catecumeni che saranno battezzati nella notte di Pasqua, si procede ai riti di esorcismo. Il rito è così spiegato dal Catechismo della Chiesa Cattolica: «Dal momento che il Battesimo significa la liberazione dal peccato e dal suo istigatore, il diavolo, vengono pronunziati uno o più esorcismi sul candidato. Questi viene unto con l’olio dei catecumeni, oppure il celebrante impone su di lui la mano, ed egli rinunzia esplicitamente a Satana. Così preparato, può professare la fede della Chiesa alla quale sarà “consegnato” per mezzo del Battesimo» (n. 1237).

Con l’adempimento di quel rito, tuttavia, la questione della nostra «lotta» contro il tentatore non è certamente risolta una volta per sempre. Ogni giorno, infatti, noi dobbiamo affrontare una lotta, di cui è tipo quella sostenuta da Gesù nel deserto di Giuda, dove fu tentato dal diavolo, e poi ancora nel Getsemani, quando respinse l’ultima tentazione facendosi obbediente al Padre sino alla morte, e alla morte di croce. «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu! ... Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà» (Mt 26,39.42).

Quello che accadde a Gesù è un tipo per noi. Nella prima Domenica di quaresima abbiamo pregato così: «vincendo tutte le insidie dell’antico tentatore, [Gesù] ci insegnò a dominare le suggestioni del male, perché, celebrando con spirito rinnovato il mistero pasquale, possiamo giungere alla Pasqua eterna». La nostra esistenza di cristiani è un combattimento senza sosta. Non esiste un cristianesimo facile. «Cristo non ci ha indicato un programma facile, ma un programma difficile, arduo, pieno di sacrifici», disse una volta san Paolo VI nell’omelia di Santa Messa celebrata ad Albano, il 4 settembre 1977. Aggiunse: «È un Vangelo esigente, invadente nei nostri interessi, difficile. Non lo si può seguire se si è deboli, fiacchi, vili». Noi, però, la nostra debolezza la sperimentiamo sempre e perciò ogni giorno preghiamo: non abbandonarci alla tentazione.

 

2. Il significato di questa preghiera insegnataci da Gesù non dobbiamo darlo per scontato, per il semplice fatto d’avere cambiato, per l’uso liturgico, la nostra traduzione in lingua italiana: essa ci fa chiedere soprattutto di non essere lasciati soli nell’affrontare la tentazione. La nostra situazione, tuttavia, continua a rimanere seria, Non possiamo pensare di essere esonerati dalla tentazione! L’Autore della Lettera agli Ebrei esortava i cristiani con queste parole: «corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti» (12,1) e proprio così l’apostolo Paolo concepì la sua vicenda cristiana. Scrisse, infatti: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2Tim 4,6).

Se, dunque, è così, ascoltiamo allora sant’Ambrogio, che ci domanda: pensi di potere davvero essere un atleta dello spirito, senza superare gli ostacoli? (cf. De sacramentis, V, 4, 29: PL 16, 454). Non abbandonarci alla tentazione! Sant’Agostino spiegava che con questa preghiera noi confidiamo al Signore che non cessiamo mai di confidare nel suo aiuto (cf. De peccatorum meritis et remissione IV, 4, 4: PL 44, 153) e un altro dottore della Chiesa intendeva quella preghiera come una invocazione da Dio delle forze necessarie per non cedere alla tentazione (cf. Beda, In Evangelium S. Marci IV, 14: PL 92, 277).

Vedete quanti aspetti possono esserci in una sola preghiera? Il senso ultimo, però, lo troviamo nell’avvertimento di Gesù col quale oggi si è chiusa la proclamazione del vangelo: «Chi non raccoglie con me, disperde». Si tratta, in positivo, dell’esortazione a rimanere stretti a lui, come i tralci alla vite si direbbe con un’immagine evangelica (cf. Gv 15,1-8). Ch’è poi l’unico modo non soltanto per resistere alla tentazione, ma anche per fruttificare nella vita cristiana. Rimanere uniti a Cristo.

 

3. Oggi, carissimi, siamo qui insieme per una molteplicità di ragioni. Una di queste è ringraziare e lodare il Signore nel 20° anniversario della dichiarazione della venerabilità di madre Maria Nazarena Majone. Anch’ella, durante la sua vita terrena si trovò a superare situazioni, che vedevano all’opera il Tentatore, che crea dissidi e scompiglio. Soprattutto l’ultima tappa della sua vita terrena fu una via dolorosa che ella percorse con serena umiltà, convinta come era che «senza Venerdì santo, non c’è la gloria della Resurrezione».

Oggi ricordiamo pure la figura di sant’Annibale M. Di Francia, il quale 145 anni or sono in questa medesima chiesa fu ordinato sacerdote. Di lui, la Madre Majone fu attenta discepola e fedele collaboratrice. Nel processo per la sua beatificazione e canonizzazione un Consultore teologo scrisse che madre Nazarena «fu figlia spirituale fedele del Fondatore che volendo essere Santo a qualunque costo si preoccupò di insegnare la strada anche alla sua figlia». Un altro dichiarò che «la lunga militanza fatta insieme a servizio dell’Opera del Rogate (dal 1889 al 1924) è stata una vera palestra per un progressivo cammino della Serva di Dio verso l’eroicità delle virtù».

Un’ultima ragione che ci vede insieme qui, questa sera è la riapertura al culto, dopo i lavori resisi necessari nel tempo, di questa bellissima chiesa, nota come Santa Maria dello Spirito Santo. Al di là del valore artistico dell’edificio sacro, noi questa sera intendiamo coglierne soprattutto il valore simbolico. Per questo, mi torna spontaneo alla memoria l’inizio dell’inno manzoniano dedicato alla Pentecoste. Dice: «Madre de’ santi…».

 

3. Questo titolo è molto antico e lo troviamo già in sant’Agostino, il quale scrive che «per dono dello Spirito Santo la Chiesa è la madre di tutti i santi e, quale madre feconda, si diffonde nell’intero universo» (Expos. Inch. Epist. ad Rom., 15: PL 35, 2098). Non è il momento, carissimi, per approfondire tutto questo. Desidero, però, ricordare soltanto due cose.

La prima è che non siamo, né mai saremo santi se non rimaniamo nel grembo di questa Madre che è la Chiesa. Nell’esortazione Gaudete et exsultate dedicata alla chiamata universale alla santità (19 marzo 2018) il Papa ha scritto: «Nella Chiesa, santa e composta da peccatori, troverai tutto ciò di cui hai bisogno per crescere verso la santità. Il Signore l’ha colmata di doni con la Parola, i Sacramenti, i santuari, la vita delle comunità, la testimonianza dei santi, e una multiforme bellezza che procede dall’amore del Signore, “come una sposa si adorna di gioielli”» (n. 15).

La seconda cosa che desidero mette in risalto è che con la nostra testimonianza di una vita santa, noi rendiamo più credibile agli occhi del mondo la santità della Chiesa. Anche per questo, dobbiamo essere grati per la testimonianza di fede e di amore resa al Signore dai nostri santi. Grati per sant’Annibale Di Francia e per la venerabile Maria Nazarena Majone, guardando a loro e a tutti i nostri santi e sante, di cuore riconosciamo: «Sei tu, Signore, che infondi l’ardore della fede, concedi la fermezza della perseveranza e doni nel combattimento la vittoria» (dalla Liturgia). Amen.

 

Chiesa Santa Maria dello Spirito Santo – Messina, 15 marzo 2023

 

Marcello Card. Semeraro