Figli di un Dio che si fa incontro
Omelia per la presenza del corpo di Santa Lucia in Siracusa
È un anno davvero eccezionale, carissimi, questo che, guidati dal vostro Arcivescovo Francesco, voi state portando a termine per congiungerlo, nella ormai prossima festa del Santo Natale, con l’Anno giubilare indetto dal Papa perché possiamo tutti insieme camminare nella speranza. È lo stesso papa Francesco a stabilire questo collegamento fin dall’inizio della sua bella lettera inviata il 13 dicembre scorso, dove evoca alcuni movimenti che possono pure esserci di orientamento nell’odierna nostra riflessione. Papa Francesco scrive, infatti, che nel movimento che santa Lucia ha fatto da Venezia a Siracusa «si riflette il mistero di un Dio che fa sempre il primo passo, che mai chiede ciò che Lui stesso non è disposto a fare» e aggiunge: «Santa Lucia viene da voi, perché voi stessi siate uomini e donne del primo passo, figlie e figli di un Dio che si fa incontro».
Questo viaggio e questo incontro, carissimi, portano spontaneamente alla mia memoria quello che la tradizione racconta della carissima vergine e martire Lucia. Si narra infatti che il 5 febbraio del 301 ella si recò a Catania presso sepolcro della martire Agata e invocò la sua intercessione perché il Signore guarisse la sua mamma ammalata. In quella occasione la martire catanese le apparve in sogno e le disse: «Sorella mia Lucia, perché chiedi a me ciò che tu stessa puoi porgere a tua madre? Anche tu, proprio come me, subirai il martirio per la tua fede in Cristo». Lucia, grata per la guarigione della madre, tornò piena di gioia a Siracusa, ma non molto tempo dopo la drammatica profezia di sant’Agata si avverò e Lucia fu anche lei martirizzata il 13 dicembre del 304. Ed ecco che i nomi delle due martiri la Chiesa le ha indissolubilmente unite nel Canone romano sicché un monaco anglosassone del VII secolo, sant’Adelmo di Malmesbury, scriveva: «non siano mai separate negli elenchi delle vergini martiri quelle che, generate presso il popolo siciliano, si rallegrano insieme nella gloria celeste. Come, infatti, rispetto alle altre città della Sicilia Catania è felicemente coronata dal martirio di Agata, così a Siracusa è su tutti onorata la famosissima discepola di Cristo Lucia» (De laudibus virginitatis 42: PL 89, 142). Riguardo alla vostra cara santa, allora, voglio leggervi alcune espressioni di lode scritte da san Bartolomeo detto il giovane, un santo calabrese dell’XI secolo, pregevole innografo di tradizione bizantina e fondatore, insieme con san Nilo, del monastero di Santa Maria di Grottaferrata: «O gloriosa e santa Lucia, l’illustre città di Siracusa ti onora come un giglio fragrante, adornata come sei della bellezza della verginità: con essa e con il tuo martirio profumi l’universo» (Ode III).
Come quello tra Agata e Lucia, di un incontro ci ha parlato anche il racconto del santo Vangelo di questa quarta domenica d’Avvento: l’incontro fra Maria ed Elisabetta, di due donne arricchite ambedue dal dono della maternità: l’incontro fra Maria, simile alla terra vergine appena scaturita dalla parola del Creatore che ora offre il suo germoglio, ed Elisabetta, simile a una terra desertificata, che all’improvviso rivive e dà frutti. Nell’incontro di queste due madri, però, si verifica qualcosa di più profondo: in Maria, difatti, dimora già un Altro ed è Gesù, che in Maria si apre la strada per venire ad abitare con noi (cf. Gv 1,14). Anche questo incontro, come quello di santa Lucia con santa Agata porta in sé la ricchezza di quello che nella sua Lettera il Papa chiama riflesso «di un Dio che fa sempre il primo passo, che mai chiede ciò che Lui stesso non è disposto a fare» e proposta di essere noi tutti, oggi, «uomini e donne del primo passo, figlie e figli di un Dio che si fa incontro».
Soffermiamoci qualche momento, allora, su questa parola: incontro, che papa Francesco domanda d’incarnare, di personificare. Un proverbio italiano dice: «chi si vuol bene, si incontra». Credo che sia una saggia spiegazione dell’incontrarsi. Nel mio servizio di Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi mi accade spesso d’imbattermi in storie di santi e sante che si incontrano! Non soltanto nel sogno, come santa Lucia con sant’Agata, ma pure durante la loro vita terrena: santi che si incontrano e, incontrandosi, si fanno reciprocamente del bene e fanno del bene anche agli altri. Pensiamo, per qualche esempio, a san Francesco d’Assisi e santa Chiara, san Vincenzo de’ Paoli e santa Luisa de Marillac, Santa Teresa d’Avila e san Giovanni della Croce; qui in Sicilia, al tempo del terremoto di Messina, sant’Annibale M. di Francia e san Luigi Orione.
Guardiamo pure ai nostri incontri. Rispetto a neppure un secolo fa l’incontrarci fra parenti, amici, colleghi di lavoro è enormemente più facilitato; non possiamo nasconderci, però, quasi a dispetto di uno sviluppo crescente dei mezzi e dei modi di comunicazione l’incontrarsi e il comunicare è davvero in grave crisi. La superficialità e l’anonimato della comunicazione stessa, infatti, stanno portando paradossalmente all’annullamento delle relazioni interpersonali vere e sta, invece, favorendo l’individualismo e l’isolamento. In tale contesto diventa davvero urgente fare crescere la cultura dell’incontro, di cui parla spesso anche il Papa. Ha detto una volta: «Se io non guardo – non è sufficiente vedere, no: guardare – se io non mi fermo, se io non guardo, se io non tocco, se io non parlo, non posso fare un incontro e non posso aiutare a fare una cultura dell’incontro» (Omelia in Santa Marta del 13 settembre 2016). Ed è con questo tema che si conclude la Lettera che il Papa vi ha inviato: «Cari fedeli di Siracusa, non dimenticate di portare spiritualmente nella vostra festa le sorelle e i fratelli che in tutto il mondo soffrono a motivo della persecuzione e dell’ingiustizia. Includete i migranti, i profughi, i poveri che sono presso di voi».
Carissimi il nome di santa Lucia è un nome di luce e la tradizione cristiana la invoca come protettrice della vista, degli occhi. Io stesso, fin da bambino, la ricordo raffigurata così, con tra le mani una patena dorata su cui sono deposti due occhi. L’occhio, lo sappiamo, è l’organo della vista e allora desidero concludere la mia riflessione con una preghiera scritta dal vescovo Antonio Bello, più noto come don Tonino come amava firmarsi, ed oggi è venerabile Servo di Dio. In un suo scritto egli commenta il gesto del Samaritano della parabola evangelica, di cui si dice che avendo visto il malcapitato gettato sul ciglio della strada, «gli si fece vicino, gli fasciò le ferite» (Lc 10,34). Il testo di mons. Bello si chiude con questa preghiera: «Donaci, Signore, occhi nuovi per vedere le cause ultime delle sofferenze di tanti nostri fratelli, perché possiamo esser capaci di rimuoverle… Donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli. Non cataloghi esaustivi di miserie, per così dire, alla moda. Perché, fino a quando aggiorneremo i prontuari allestiti dalle nostre superficiali esuberanze elemosiniere e non aggiorneremo gli occhi, si troveranno sempre pretestuosi motivi per dare assoluzioni sommarie alla nostra imperdonabile inerzia. Donaci occhi nuovi, Signore» (in Scritti di Mons. Antonio Bello, VI, La Nuova Mezzina, Molfetta 2007, pp. 558-559).
Cattedrale di Siracusa, 22 dicembre 2024
Marcello Card. Semeraro