Testimone della «divina povertà»
Omelia per la venerabilità del Servo di Dio fr. Isaia Columbro ofm
La liturgia eucaristica che in questa domenica stiamo celebrando, carissimi, è anzitutto lode a Dio, ma è pure espressione massima di gratitudine per i doni che egli continuamente diffonde in mezzo a noi. Sono doni che alimentano la nostra speranza e ci incoraggiano a muoverci speditamente verso di lui, che è il Santo e la fonte di ogni santità. In tale contesto noi ringraziamo il Signore pure per la venerabilità del Servo di Dio fr. Isaia Columbro. Siamo raccolti in un luogo dove egli ha vissuto per una parte della sua vita e tanti di voi lo hanno conosciuto di persona. Siamo, poi, sotto lo sguardo della Madonna delle Grazie, patrona vostra e di tutto il Sannio. L’antica e bellissima immagine, che troneggia in questa basilica mi ricorda pure un titolo colmo di tenerezza con il quale è invocata: la Virgo lactans, la Vergine che – come recita un’omelia attribuita a sant’Ildefonso di Toledo – «allatta il Signore del cielo, cibo degli angeli e nutrimento degli uomini» (Sermo IX: PL 96, 272). Com’è bella questa espressione: Gesù è nutrito per essere, a sua volta, il nostro nutrimento; allattando il Figlio Maria guarda anche tutti noi, che la invochiamo «madre nostra».
A voi tutti, dunque, il mio saluto, con le vostre Autorità civili, politiche, militari e di polizia. Saluto con particolare fraterna amicizia l’Arcivescovo di questa Chiesa, che è pure illustre membro del Dicastero delle Cause dei Santi, e il vescovo Sabino Iannuzzi, che da giovane ha conosciuto il Servo di Dio e per qualche tempo ha vissuto con lui in comunità. Unisco nel saluto la Comunità francescana della Provincia religiosa e il p. Antonio Tremigliozzi, che la guida e che mi ha accolto con molta cordialità. Il mio salito si rivolge pure ai tanti sacerdoti presenti e concelebranti, con i diaconi, seminaristi e religiose.
In questa omelia potrei, carissimi, riepilogare la vita di fr. Isaia Columbra, ma l’ha già tanto riassunta il caro fr. Giovangiuseppe Califano, Postulatore generale dell’Ordine dei Frati Minori, che in principio di questa Messa ha letto il Decreto sulle virtù. Il titolo di «venerabile» che ne segue dice che, attraverso l’esercizio in forma eroica delle virtù, fr. Isaia ha seguito il Signore più da vicino imitandolo in un qualche particolare aspetto della vita. Ciò comporta che, qualora d’ora in poi ci si trovasse in presenza di un miracolo ottenuto per sua intercessione, il Papa potrà procedere alla sua beatificazione. Quello, dunque, che stiamo compiendo deve essere inteso pure come un incoraggiamento a domandare, in particolari casi di bisogno, il suo sostegno spirituale presso Dio.
Ora, però, chiediamoci quale scintilla della luce di Cristo possiamo vedere sprizzare dalla vita del venerabile Columbro. Per rispondere a questa domanda, coglierò una coincidenza che casualmente, ma provvidenzialmente ci è offerta dalla pagina del Vangelo poco fa proclamata (cf. Mc 6,7-13). Si tratta del primo invio missionario dei discepoli da parte di Gesù; l’ultimo, poi, sarà nell’ora della sua ascensione al cielo (cf. Mc 16,15.17-18). Nel nostro caso vorrei qui segnalare almeno una cosa, cioè il contrasto tra la grandezza della missione e la povertà, essenzialità dei mezzi. Il compito a loro affidato è davvero grande; l’evangelista lo descrive come un «potere sugli spiriti impuri». Nella concezione biblica non è cosa da poco e l’evangelista, difatti, aggiunge che effettivamente i discepoli «scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano». A tanto straordinario potere, corrisponde, però, una altrettanto straordinaria povertà di mezzi: «ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche». Perché?
Gesù vuole che i suoi testimoni siano liberi e forti solo della sua Parola, protetti non da umane sicurezze, ma solo dall’amore di Chi li ha inviati. Mi piace ripetervi il commento che ne faceva san Pietro Crisologo, un padre del V secolo e vescovo di Ravenna, così chiamato per la sua raffinata eloquenza. Considerando le disposizioni che Gesù dà a chi evangelizza, diceva: «Lascia perdere le tue ricchezze; ti basti la divina povertà. Chi è appesantito da ciò che possiede non può mietere la messe del Signore. Vieni, dunque, svelto; vieni libero a lavorare nel campo del Signore» (Sermone 170: PL 52, 646).
L’espressione usata dal Crisologo: divina paupertas, è davvero una perla più unica che rara, che traduce evidentemente l’espressione paolina: «Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» di 2Cor 8,9. Quale abisso di misericordia: Cristo, il Figlio eterno di Dio, è povero! Non è una povertà motivata da sperpero, da cattiva amministrazione, o da altro, ma da misericordia. Cristo si è fatto povero per noi! La «divina povertà» è la sua misericordia ed è così che Gesù ha consolato i poveri, asciugato le loro lacrime e guarito le loro ferite.
In questa prospettiva, carissimi, possiamo considerare la figura del venerabile Isaia. Egli, infatti, – come si legge nella documentazione prodotta per la sua beatificazione e canonizzazione – considerò la povertà come un segno di reale e profondo di attaccamento a Cristo solo, alla sua persona, al suo regno. Pure la scelta di entrare nell’Ordine dei Frati Minori, con l’adesione a quella singolare trasparenza di Cristo che è Francesco d’Assisi, significò l’opzione preferenziale dei poveri sicché, facendo il voto di povertà, fr. Isaia pensò a Cristo e alla sua nudità, alla sua incarnazione. Il vescovo Francesco Zerrillo ha così testimoniato sul nostro venerabile: «era paziente, dolce, tenero. Non sapeva negarsi neppure all’ascolto degli altri, non dava da mangiare ma si faceva mangiare... La sua era una carità di ascolto, di consolazione. Penso avesse il dono della consolazione…».
Per concludere, però, desidero, carissimi, ripetere uno dei Pensieri spirituali di fr. Isaia; sembra quasi un appunto di diario: «Un padre lasciò ai figli questo insegnamento: Chi aiuta un frate o una sora addà unà come aunna la Messa. Queste parole sono anche adesso ripetute da tante vecchiette. Voglio dire: “Tu possa raccogliere tanti meriti quanti ne dà la santa Messa”. La Messa è di valore infinito e quindi a chi fa il bene si augura che possa guadagnare infiniti meriti come si raccolgono con la santa Messa».
È un pensiero e un proposito che potremmo portare a casa come ricordo di questa Santa Messa.
Basilica Santuario di S. Maria delle Grazie, Benevento, 14 luglio 2024
Marcello Card. Semeraro