Con amore e con umiltà
Omelia per la venerabilità della Serva di Dio Teresa Lanfranco
Vogliate ritenere come una benedizione del Signore per la vostra Famiglia religiosa il dono, a distanza di breve tempo, della beatificazione della vostra fondatrice, la madre Elisa Martinez e della venerabilità della madre Teresa Lanfranco, che fu sua prima collaboratrice, discepola e confidente. Già questo, carissime sorelle, è un dato che fa riflettere e che, al tempo stesso, impegna.
Una coincidenza che fa pensare, anzitutto, perché, come, purtroppo esiste il contagio del male, con l’aiuto del Signore esiste pure il diffondersi del bene. Certo, il male si diffonde e questo lo si denuncia dall’antichità. Il poeta romano Ovidio diceva che se guardiamo gli occhi malati, si ammalano anche i nostri occhi (Remed. amoris, 615). Ai nostri giorni la cosa è divenuta ancora più pericolosa, come asserisce il noto sociologo Z. Bauman, il quale nel panorama delle moderne liquidità ha inserito pure il male liquido: oggi – egli fa notare – a motivo anche di alcuni fattori sociologici e legati alle moderne tecnologie, il male si presenta frammentato, polverizzato e disperso; si cela alla vista e riesce a passare inosservato, camuffandosi come un amico che vuole dare una mano. Pensiamo alle tante forme di «abuso», che talvolta purtroppo si mostrano anche nelle nostre comunità. È, però, ancora più vero che il bene ha in se stesso la forza di diffondersi e di contagiare beneficamente. È questo il primo grande esempio che vi giunge dalla beata Elisa Martinez e dalla venerabile Teresa Lanfranco. Impegnatevi, dunque, anche voi a fare ugualmente; siate davvero in quel corpo di Cristo che, come scrive san Paolo, «cresce in modo da edificare se stesso nella carità» (Ef 4,16).
Un altro esempio che giunge a voi, come a me e a tutti, è quello della umiltà della venerabile Teresa. Durante la sua vita ella non ha mai cercato il primo posto! Anche in questo, noi che viviamo in un mondo fatto di «concorrenti» e di «protagonisti», possiamo trovare una pro-vocazione. La competitività, infatti, è lo stile della vita moderna e questo non si mostra soltanto nello sport (dove ha pure una certa legittimità, se fatto onestamente), ma pure nelle nostre relazioni sociali. Anche questo, purtroppo, non accade solo nel «mondo», ma pure nella Chiesa e in mezzo a noi. Come non ricordare l’ammonimento fatto da Gesù ai suoi apostoli: «Chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mt 20,25-28). La questione è, alla fine, tutta qui: essere capaci di amare. E l’umiltà è la concreta manifestazione dell’amore.
Allora, carissime sorelle, vi propongo di prendere fra le mani il capitolo 13 della 1Cor, chiamato Inno alla carità. Rileggetelo silenziosamente sostituendo la parola carità con quella di umiltà. Così: «L’umiltà è magnanima, benevola è l’umiltà; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (cf. vv. 4-7).
Mentre rileggete così il testo paolino, rivedete la vita della beata Elisa e della venerabile Teresa; rivedete pure (e dovrei farlo certamente anch’io come voi) la vostra vita personale e comunitaria. Penso che sia cosa davvero opportuna, specialmente quando intercorrono scadenze anniversarie e giubilari, o quando si è impegnate (come alcune di voi state facendo in questi giorni) in un percorso di rinnovamento spirituale. Fatelo consapevoli che la virtù dell’umiltà non s’apprende facendo semplicemente un proposito, ma scoprendo nelle vicende di tutti i giorni le opportunità che il Signore ci offre nelle cose più semplici, come in antico accadde a Naaman il Siro: per guarirlo Dio gli chiese semplicemente di lavarsi sette volte nel Giordano. «Forse che i fiumi di Damasco non sono migliori di tutte le acque di Israele?», pensava. Ma no! Dio ci chiede piccole cose e poi il resto lo fa lui (cf. 2Re 5,10-14).
Come per la Vergine Maria: «Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente » (cf. Lc 1,49). Come nel racconto evangelico della moltiplicazione dei pani proclamato nella Messa di questa domenica (cf. Gv 6,1-15). Mi fermo solo su un particolare. Davanti allo scoraggiamento degli apostoli per non potere sfamare un numero così grande di persone, c’è l’ardimento di Andrea, fratello Simon Pietro, che dice a Gesù: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci». S’accorge, però, d’avere esagerato e subito aggiunge: «Ma che cos’è questo per tanta gente?» (v. 9).
Nel descrivere l’episodio Giovanni, diversamente dai Sinottici, precisa che si trattava di pani di orzo. L’orzo è un cereale povero, meno caro che il grano. Si trattava, allora, di un pane povero per i poveri. Anche dei due pesci si dice che sono piccoli. Tutto è sproporzionato rispetto alla folla numerosa che seguiva Gesù. Alla fine, però, non soltanto tutti rimasero saziati, ma con i pezzi dei cinque pani d’orzo avanzarono dodici canestri. Ecco come dalla pochezza Gesù crea l’abbondanza.
Così il Signore ha fatto con la Madonna (la vostra famiglia religiosa non è, forse, dedicata a Maria?), con la beata Elisa e con la venerabile Teresa. Così vuole fare con ciascuno di voi, se seguirete questi esempi; soprattutto se seguirete Gesù «mite e umile di cuore» (Mt 11,29). Amen.
Casa Generalizia delle Suore Figlie di Santa Maria di Leuca, Roma, 27 luglio 2024
Marcello Card. Semeraro