Cercare il regno di Dio
Omelia per la Venerabilità di Sr. Elisabetta Jacobucci, francescana alcantarina
Siamo qui, tutti insieme, per lodare il Signore e ringraziarlo per il dono fatto alla sua Chiesa nella persona della Venerabile Elisabetta Jacobucci. È un titolo, questo di «venerabile», con il quale la Chiesa, mediante l’attestazione del Successore di Pietro, riconosce ufficialmente che questa Serva di Dio, attraverso l’esercizio in forma eroica delle virtù, ha seguito il Signore più da vicino imitandolo in un qualche particolare aspetto della vita. Ciò comporta che, quando poi dovessero verificarsi gli altri elementi richiesti, ella potrà essere proposta alla imitazione dei fedeli. È ciò che il Papa fa con la Beatificazione, riguardo a un determinato luogo, o determinati gruppi di fedeli, e con la canonizzazione, che estende il culto a tutta la Chiesa.
È giusto, allora, che noi in qualche maniera ci domandiamo: in cosa, particolarmente, la nostra Sr. Elisabetta ha imitato Gesù? Oppure, quale fra i suoi insegnamenti ha cercato di seguire in modo tutto particolare? È una domanda, questa, che è doveroso porsi poiché Gesù non è imitabile in tutto. Egli, infatti, come dice la Scrittura e ripete sant’Ambrogio in un Inno ancora oggi in uso nella Liturgia delle Ore, è splendor paternae gloriae (Hymnus VII: PL 16, 1411; cf. Ebr 1,1). Come è possibile, a una umana creatura riflettere e irradiare questa immensa, infinita luce? Possiamo, invece, prenderne solo un piccolo frammento, come suggerisce un’antica immagine ebraica riguardo alla Parola di Dio: «Nella scuola di R. Ishmael si insegnava: “È come un martello che frantuma la roccia in pezzi: cioè, come [la roccia] è spaccata in molte schegge, così anche un versetto biblico può trasmettere molti insegnamenti» (cf. Talmud babilonese, Sanhedrin 34a; cf. Ger 23,29). Qualcosa di simile può dirsi della santità: è una scintilla della santità di Cristo.
Possiamo trovare una risposta alla luce del brano del Santo Vangelo che è stato appena proclamato (cf. Mt 6,24-34). Qui troviamo questa ammonizione di Gesù: «Cercate anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia…». Questo «regno» la Venerabile Elisabetta lo ha davvero cercato fin dal principio, anche con delle scelte che umanamente parrebbero sconsiderate, come quella di fuggire da casa. Domando, però: fuggiva, o cercava? Molte volte fra questi due gesti c’è una intima relazione!
Uno dei principali incarichi che la nostra Venerabile occupò durante la sua vita religiosa fu proprio il questuare. Si tratta di una parola che deriva dal verbo latino quaerere, ossia cercare. «Cercate anzitutto il regno di Dio». La nostra Venerabile lo cercò specialmente così: chiedendo, ma non per sé; chiedeva per i più poveri. Nelle testimonianze a suo riguardo una consorella ha dichiarato: «non avrebbe rinunciato alla questua, per nessun motivo: usciva tutti i giorni in tutte le stagioni e con qualunque tempo; non curava né il caldo, né freddo, né trascurava il minimo punto della sua santa Regola».
Gran parte dei quarant’anni di vita religiosa Sr. Elisabetta la svolse questuando e lo fece sempre con il sorriso sulla labbra, senza mai una parola di lamento, o di risentimento magari verso chi le negava una offerta, proseguendo il suo cammino con francescana letizia e divenendo per questo estremamente popolare nella penisola sorrentina. Percorse così anche gli spazi del dolore, tra orfani e ragazze abbandonate, esito doloroso della miseria, della disgregazione della famiglia, della degradazione morale. Nel suo agire poteva sentirsi risuonare la parola di consolazione che abbiamo udito dal Vangelo: «Il Padre vostro celeste sa che ne avete bisogno».
Sr. Elisabetta fu, così, la suora che chiedendo l’elemosina offriva pace e conforto attingendo dal suo amore per Cristo. Quel chiedere, quel questuare si concludeva, però, sempre, davanti al Tabernacolo, in adorazione del Sacramento ed era lì che il Signore la rivestiva più che i gigli del campo… Fu questo lo «schema» – direi – della sua vita: cercare il regno di Dio e trovarlo nel Signore Gesù.
Riascoltiamo ora Gesù: «Cercate anzitutto il regno di Dio», egli ha detto. San Gregorio Magno spiegava che quando nella preghiera cerchiamo Dio, ben presto l’animo si stanca di pregare. Dio, invece, vuole che si ami Lui più di ciò che ha creato; vuole che si chiedano i beni eterni più di quelli terreni. Se, infatti, chiediamo cose terrene, quando poi non le otteniamo ci prende l’uggia, il fastidio. Se, invece, nella preghiera l’animo cerca con ardore il volto del suo Creatore, accade allora che, infiammato dal desiderio di Dio, esso si congiunge alle realtà superne, nel fervore dell’amore si apre ad accoglierle e accogliendole si infiamma. Amare, infatti, i beni di lassù è già un andarvi e e gustare in anticipo i beni che si domandano (cf. Comm. Morale a Giobbe, XV, 47, 53: PL 75, 1107-1108).
Penso che, dopo una faticosa giornata di questua, la Venerabile Sr. Elisabetta pregava similmente dinnanzi a Gesù. Così vogliamo pregare anche noi.
Cattedrale di Sorrento, 22 giugno 2024
Marcello Card. Semeraro