Le Beatitudini proclamate dalla Croce
Omelia nella parrocchia romana Ss. Antonio di Padova e Annibale Maria Di Francia
Sono grato al vostro parroco per avere voluto ancora una volta rendermi partecipe di un momento della vostra vita comunitaria e così permettermi di onorare, insieme con voi, il santo di Padova, cui è pure intitolata la parrocchia. La presenza delle reliquie di sant’Antonio ha già un significato proprio: questo santo, oltretutto, gode di una devozione diffusa davvero nella Chiesa cattolica ed è universalmente amato; qui, però, c’è un’altra ragione che rende significativa la memoria di sant’Antonio di Padova ed è il suo abbinamento con quella di sant’Annibale Maria Di Francia
È un accostamento, questo, che ha il suo fondamento nella spiritualità stessa di sant’Annibale, il quale fin da quando diede inizio alle sue opere di carità volle che i suoi orfanotrofi fossero messi sotto la protezione del santo di Padova e fossero per questo chiamati «antoniani». Ciò che lo spinse a questa scelta lo ripeté più volte egli stesso. In una sua lettera del gennaio 1818 scritta da Napoli, ad esempio, si legge: «La grande devozione del Pane di S. Antonio di Padova ha riempito il mondo di grazie e di Miracoli. Tutti ormai sanno in che consiste questa grande devozione: chiunque vuole qualche grazia dal Sommo Dio o per sé o per altri, si rivolge al glorioso Santo Antonio di Padova e gli promette di dare del pane, o qualche obolo equivalente, a persone bisognose. Questo mezzo è divenuto un segreto miracoloso. Le grazie e i portenti piovono dal Cielo per tutti quelli che fanno tale promessa. Se ne registrano milioni e milioni che il gran Santo concede dovunque» (Epistolario, IV, Roma 2015, p. 24).
La stessa «rogazione evangelica», che costituisce il cuore dell’opera di sant’Annibale, è spesso da lui collegata alla carità del Pane di S. Antonio. È dalla carità, d’altra parte, che nasce ogni vocazione. Fu, dunque, la carità che fece incontrare sant’Antonio di Padova e sant’Annibale M. Di Francia e sia pure la carità a farci incontrare tutti e a fare di voi un’autentica comunità cristiana. Vi confido che in questi ultimi tempi – e questo già negli ultimi anni del mio ministero episcopale nella vicina Chiesa di Albano (vissuti quando imperversava la pandemia del Covid) – ho maturato la forte convinzione che il «primo annuncio cristiano» non può coincidere con formule di catechismo e neppure con formule di fede, ma con testimonianze di carità. Dovrebbe accadere che oggi non ci sia più anzitutto domandato: «perché dici questo?», ma piuttosto: «perché fai questo? perché ti comporti così? perché fai queste scelte?». E che la nostra risposta sia semplicemente questa: «Perché sono cristiano, un discepolo di Gesù». Nell’epoca in cui viviamo, non i discorsi e le parole debbono provocare, ma le scelte di vita! Siamo come nell’epoca in cui sant’Ignazio di Antiochia scriveva agli Efesini: «È meglio essere cristiano senza dirlo, che dirlo e non esserlo» (XV, 1).
Di scelte di vita d’altra parte, ci ha parlato oggi il santo Vangelo. Abbiamo ascoltato, infatti, la proclamazione delle Beatitudini, che l’evangelista condensa e pure capovolge in altrettanti «guai»: il che vuol dire che con le sue scelte un cristiano non sarà mai una «maggioranza», ma sempre un «piccolo gregge» e, per quanto possibile, pure un piccolo pugno di lievito capace di fare fermentare una massa più grande. Ma come saremo fermento? Una risposta ci giunge proprio da sant’Antonio di Padova il quale, fra i tanti suoi sermoni ha pure commentato le Beatitudini. Egli, peraltro, non è stato solo un grande predicatore, ma pure un profondo conoscitore della Sacra Scrittura al punto che il papa Gregorio IX, avendolo ascoltato, lo definì: «Arca del Testamento e scrigno delle Sacre Scritture».
Quando nella sua esortazione apostolica Gaudete et exsultate papa Francesco la commentato le Beatitudini le ha introdotte così: permettiamo a Gesù «di colpirci con le sue parole, di provocarci, di richiamarci a un reale cambiamento di vita. Altrimenti la santità sarà solo parole» (n. 66). Devo dirvi in proposito, carissimi, che la spiegazione che delle Beatitudini lasciataci da sant’Antonio (egli le commenta nella versione del vangelo secondo Matteo) è davvero unica: non l’ho trovata in nessun padre della Chiesa e in nessun altro autore cristiano. Quando l’ho cercata tra i suoi tanti Sermoni, mi è giunta davvero inaspettata, mi ha lasciato stupito e mi fatto molto riflettere. Egli, infatti, spiega le Beatitudini alla luce delle parole pronunciate da Gesù sulla croce e ne mostra la reciproca corrispondenza. Questa scelta esegetica getta una luce particolare e inattesa sul senso di quel «Beati»: sembra quasi che questa dichiarazione ci giunga da uno che è sotto il martello dei «guai»! Gesù, infatti, è nel dolore più profondo eppure proprio lì Antonio di Padova vede fiorire le beatitudini: Vi leggo i passi della sua predica e così mi avvio a concludere:
«Beati i poveri nello spirito perché dì essi è il regno dei cieli – Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Beati i miti perché possederanno la terra – In verità ti dico: oggi sarai con me nel paradiso. Beati quelli che piangono perché saranno consolati – Donna, ecco il tuo figlio; e al discepolo: Ecco tua madre. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati – Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Beati i misericordiosi perché otterranno misericordia – Ho sete! Beati i puri di cuore perché vedranno Dio – Tutto è compiuto. Beati i pacifici perché saranno chiamati figli di Dio – Padre, nelle tue mani affido il mio spirito» (dal «Sermone per la Domenica XXIII dopo Pentecoste», n. 12).
Se volessimo riprodurre questo commento di sant’Antonio di Padova ci basterebbe sceneggiare ciò che diede inizio alla carità di sant’Annibale: egli era ancora diacono quando, nel febbraio 1878, gli accadde d’incontrare, schernito da alcuni ragazzi, un mendicante quasi cieco di nome Francesco Zancone; egli lo portò in casa sua, lo vestì e lo mise a letto. Quando poi gli si avvicinò per baciarlo, vide il volto di quel povero mutarsi in quello di Gesù!
Roma, domenica 16 febbraio 2025 (VI del t.o. – Anno c)
Marcello Card. Semeraro