Educare e donare la vita
Omelia nella Beatificazione di fr. Lycarión (François Benjamin) May, martire
È doveroso, per noi, comprendere la figura del beato Lycarion May alla luce della parola di Gesù, quella che la Chiesa ci ha fatto ascoltare durante la proclamazione del santo Vangelo. Il Signore sta dando ai suoi discepoli i criteri per intendere ciò che fra poco sarebbe accaduto a lui, ossia la sua morte, e sono gli stessi mediante i quali noi possiamo cogliere la verità cristiana di quanto ci è stato narrato riguardo al nostro Beato. Si tratta, sotto un profilo puramente esteriore, di un episodio di violenza che si conclude con una uccisione in un tragico momento per questa Città, conosciuto come Semana Trágica di Barcellona tra il 26 luglio e il 2 agosto 1909.
È vostra storia, carissimi, e voi ben la conoscete, ma è il dramma di sempre spesso richiamato da papa Francesco: «Violenza chiama violenza». Vale per ogni tipo di violenza, pure quando procedure ingiuste e lesive della dignità umana provocano reazioni anch’esse ingiuste e indegne. È ciò che accadde qui agli inizi del secolo scorso ed è quanto si ripete in tante altre parti del mondo in quella «guerra mondiale a pezzi», con cui ancora papa Francesco dipingeva l’attuale scenario internazionale. Sebbene non siamo di fronte a una guerra globale nel senso tradizionale, il nostro pianeta è sconvolto da numerosi conflitti che, messi insieme, creano un quadro devastante di violenza, instabilità e sofferenza. Dagli scontri armati alle crisi umanitarie, passando per le disuguaglianze economiche e sociali, ci troviamo davanti a un ordine mondiale frammentato, in cui la pace sembra un miraggio sempre più lontano. In tale scenario oggi ci è riproposta la figura del beato Lycarion.
Ma qual è, allora, la parola di Gesù che ci aiuta a meglio capirla? È questa: «Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,25). Una traduzione più esatta, anche se meno elegante, direbbe: chi si attacca alla propria vita! Gesù, infatti, sta parlando di chi è egocentrico, egoista, narcisista … Gli altri non esistono, ci sono io soltanto! E questo può essere tradotto anche in termini sociali, politici, economici. Questo, però, porta inevitabilmente allo scontro, alla lotta, alla sopraffazione. E ne scaturiscono dolore e morte.
Il contrario di tutto ciò è l’aprirsi all’altro nella solidarietà, nell’amicizia, nella collaborazione, nell’incontro. Un poeta brasiliano (Vinicius de Moraes) diceva: «La vita, amico mio, è l’arte dell’incontro» (Samba delle Benedizioni). Questo assume il volto cristiano quando diventa dono, dono di sé; quando lo diventa avendo per modello supremo il Signore, del quale san Paolo scrive: «mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). Paolo VI diceva che questa frase paolina è la sintesi della storia di Cristo (cf. Omelia del 2 giugno 1969). È questo che spiega pure il martirio del nostro Beato.
La sua vita è stata ben riassunta all’inizio di questo rito. Egli Beato nasce in una famiglia cristiana in Svizzera – Colgo l’occasione per salutare con affetto i fedeli che sono venuti da lì a Barcellona per partecipare a questa solenne celebrazione. Il beato, figlio della loro terra, è un onore per tutta la nazione svizzera e non solo per la Chiesa. La sua partecipazione alla vita parrocchiale lo ha aiutato a scoprire la propria vocazione alla vita religiosa tra i Fratelli Maristi delle scuole. Qui, appena conclusa la sua prima formazione fu inviato in Spagna dove ben presto si segnalò per la sua competenza di educatore oltre che per la esemplarità della vita. Per questo fu chiamato alla direzione del Patronato Obrero de San José dove si espresse con lo stile dei Fratelli Maristi, che corrispondeva ai criteri di servizio alla persona, di attenzione alla vita cristiana, di affabilità nelle relazioni e di responsabilità sociale. Già in questo stile noi possiamo riconoscere i tratti dell’incontro come dono di sé; una forma di vita che ebbe il suo momento di prova nella notte tra il 26 e il 27 luglio e il suo vertice al mattino del 27.
Potremmo fermarci qui per deplorare quanto accaduto ed esaltare la figura di un esemplare religioso, che con inganno fu esposto ed ucciso . Noi, però, dobbiamo andare più a fondo: egli fu preso di mira perché era punto di riferimento di una comunità educativa e religiosa ed era proprio questo che con spirito anarchico e rivoltoso si intendeva colpire. L’incarico svolto da fr. Lycarion, consistente nell’educare i figli degli operai ai valori evangelici, era esattamente agli antipodi della scuola di cui gli anarchici erano fautori, ossia una scuola dichiaratamente antireligiosa e particolarmente anticristiana. Per fr. Lycarion l’educare non era soltanto un trasferimento di nozioni, ma un vero e proprio atto di amore e di servizio che comporta il donare se stessi per fare crescere l’altro. Ecco, allora, che il suo martirio può essere considerato come il vertice e il sigillo della sua vita, il coronamento della sua coerenza di vita e della sua fedeltà alla sua vocazione marista. È quanto riconobbe un suo confratello: «Dicho Hermano fue toda su vida religiosa ejemplar que mereció acabarla con el martirio».
Odiare, dunque, la propria vita, come abbiamo udito dal racconto evangelico, non vuole affatto dire disprezzarla, bensì non tenersela stretta egoisticamente, badando solo a se stessi e al proprio interesse, non guardando agli altri in funzione di sé, ma mettendola a frutto mediante il dono di sé. Come, però, diventiamo capaci di fare tutto questo? È ancora Gesù a darci la risposta con il suo Vangelo: «Se uno mi vuole servire, mi segua..» (Gv 12,26). Mi segua … È questo il punto. Stare con Gesù vuol dire non stare mai fermi in un luogo, perché egli è sempre in cammino. Stare con Gesù vuole dire seguirlo. È ciò che ha imparato il nostro Beato. Per seguirlo è uscito dalla sua terra, per seguirlo ha obbedito a una delicata opera educativa di promozione umana e di formazione cristiana; per seguirlo ha custodito con cura chi gli era stato affidato; per seguirlo ha accettato di salire come lui sulla croce. Non poteva essere diversamente, perché Gesù ha detto concluso così: «mi segua, e, dove sono io, là sarà anche il mio servitore» (Gv 12,26).
Anche noi, Signore, vogliamo seguirti. Spesso, però, pensiamo di poterlo fare dove, come e quando vogliamo noi e non, invece, conformandoci alla tua volontà. Ti ringraziamo per averci fatto dono del beato Lycarion sicché nella sua vita troviamo un esempio per come seguirti e per la sua intercessione otteniamo l’aiuto sicché pure in noi si compia il tuo disegno di salvezza. Amen.
***
La figura del Beato Lycarion May es necesario comprenderla a la luz de la palabra de Jesús, la palabra que la Iglesia nos ha hecho oír durante la proclamación del santo Evangelio. El Señor está dando a sus discípulos los criterios para comprender lo que iba a sucederle en breve, a saber, su muerte, y son los mismos criterios con los que podemos captar la verdad cristiana de lo que se nos ha narrado acerca de nuestro Beato. Se trata, desde un punto de vista puramente externo, de un episodio de violencia que terminó con un asesinato en un momento trágico para esta Ciudad, conocido como la Semana Trágica de Barcelona, entre el 26 de julio y el 2 de agosto de 1909.
Es vuestra historia, queridos hermanos, y la conocéis bien, pero es el drama de todos los tiempos que recordaba a menudo el Papa Francisco: “La violencia llama a la violenciaˮ. Se aplica a todo tipo de violencia, incluso cuando procedimientos injustos y lesivos para la dignidad humana provocan reacciones también injustas e indignas. Es lo que ocurrió aquí a principios del siglo pasado y es lo que se repite en tantas otras partes del mundo en esa 'guerra mundial a pedazos', con la que el Papa Francisco solía retratar el actual escenario internacional. Aunque no nos enfrentamos a una guerra global en el sentido tradicional, nuestro planeta está asolado por numerosos conflictos que, sumados, crean un panorama devastador de violencia, inestabilidad y sufrimiento. Desde los enfrentamientos armados a las crisis humanitarias, pasando por las desigualdades económicas y sociales, nos enfrentamos a un orden mundial fragmentado en el que la paz parece un espejismo cada vez más lejano. En tal escenario, se nos presenta hoy de nuevo la figura del Beato Lycarion.
Pero, ¿cuál es la palabra de Jesús que nos ayuda a comprenderlo mejor? Es ésta: "El que ama su vida, la perderá; y el que aborrece su vida en este mundo, para vida eterna la guardará" (Jn 12,25). Una traducción más exacta, aunque menos elegante, diría: ¡el que se aferra a su propia vida! Jesús, de hecho, está hablando de aquellos que son egocéntricos, egoístas, narcisistas... Los demás no existen, ¡sólo existo yo! Y esto se puede traducir también en términos sociales, políticos, económicos. Sin embargo, esto conduce inevitablemente a la confrontación, a la lucha, a la opresión. Y sobrevienen el dolor y la muerte.
Lo contrario de todo esto es la apertura al otro en la solidaridad, la amistad, la colaboración, el encuentro. Un poeta brasileño (Vinicius de Moraes) decía: "La vida, amigo mío, es el arte del encuentro" (Samba de las bendiciones). Ésta adquiere un rostro cristiano cuando se convierte en don, en entrega de sí mismo; cuando llega a serlo teniendo como modelo supremo al Señor, de quien San Pablo escribe: "me amó y se entregó por mí" (Gal 2,20). Pablo VI decía que esta frase paulina es la síntesis de la historia de Cristo (cf. Homilía del 2 de junio de 1969). Esto explica también el martirio de nuestro Beato.
Su vida quedó bien resumida al comienzo de este rito. Nació en una familia cristiana de Suiza - Je saisis cette occasion pour saluer avec sympathie ses fidèles qui sont venus de là à Barcelone pour participer à cette célébration solennelle. Le bienheureux, fils de leur terre, représente un honneur pour toute la nation Suisse et pas seulement pour l’Église. Su participación en la vida parroquial le ayudó a descubrir su vocación a la vida religiosa entre los Hermanos Maristas de las escuelas. Nada más terminar su formación inicial, fue enviado a España, donde pronto se hizo conocido en por su competencia como educador, así como por su vida ejemplar. Por eso fue llamado a la dirección del Patronato Obrero de San José, donde se expresó con el estilo de los Hermanos Maristas, que respondía a los criterios de servicio a la persona, atención a la vida cristiana, afabilidad en las relaciones y responsabilidad social. Ya en este estilo podemos reconocer los rasgos del encuentro como don de sí mismo; una forma de vida que tuvo su momento de prueba en la noche del 26 al 27 de julio y su clímax en la mañana del 27.
Podríamos detenernos aquí para deplorar lo sucedido y exaltar la figura de un ejemplar religioso, que fue engañosamente expuesto y asesinado. Nosotros, sin embargo, debemos ir más allá: se atentó contra él porque era un punto de referencia para una comunidad educativa y religiosa y precisamente se pretendía golpearla con un espíritu anárquico y rebelde. La tarea llevada a cabo por el Hermano Lycarion, que consistía en educar a los hijos de los obreros en los valores evangélicos, estaba exactamente en las antípodas de la escuela de la que eran partidarios los anarquistas, es decir, una escuela declaradamente antirreligiosa y particularmente anticristiana. Para el Hermano Lycarion, educar no era una mera transferencia de nociones, sino un verdadero acto de amor y de servicio que implicaba entregarse para hacer crecer al otro. De ahí que su martirio pueda considerarse como la cima y el sello de su vida, la coronación de su coherencia de vida y de su fidelidad a su vocación marista. Así lo reconocía uno de sus hermanos: "Dicho Hermano fue toda su vida religiosa ejemplar que mereció acabarla con el martirio".
Odiar la propia vida, pues, como hemos escuchado en el relato evangélico, no significa despreciarla en absoluto, sino no aferrarse a ella egoístamente, mirando sólo por uno mismo y por el propio interés, no mirando a los demás por uno mismo, sino poniéndola en valor a través de la entrega. Pero, ¿cómo llegar a ser capaces de hacer todo esto? Es Jesús de nuevo quien nos da la respuesta con su Evangelio: "El que quiera servirme, que me siga". (Jn 12,26). Sígueme... Esta es la cuestión. Estar con Jesús significa no quedarse nunca quieto en un lugar, porque Él está siempre en camino. Estar con Jesús significa seguirle. Esto es lo que aprendió nuestro Beato. Para seguirlo, dejó su patria; para seguirlo, obedeció a una delicada obra educativa de promoción humana y de formación cristiana; para seguirlo, cuidó de los que le fueron confiados; para seguirlo, aceptó subir a la cruz como Él. No podía ser de otro modo, pues Jesús concluyó así: "sígueme, y donde yo esté, allí estará también mi servidor" (Jn 12, 26).
También nosotros, Señor, queremos seguirte. A menudo, sin embargo, pensamos que podemos hacerlo dónde, cómo y cuándo queramos y no, en cambio, conformarnos a tu voluntad. Te damos gracias por habernos concedido el don del beato Lycarion, para que en su vida encontremos un ejemplo de cómo seguirte y por su intercesión obtengamos ayuda para que se cumpla también en nosotros tu designio de salvación. Amén.
Parròquia de Sant Francesc de Sales en Barcelona, 12 de julio de 2025
Marcello Card. Semeraro