Va’ e d’ora in poi non peccare più
Omelia nell’anniversario della nascita del beato Pier Giorgio Frassati
La quinta domenica di Quaresima dà avvio all’ultima tappa liturgica verso la celebrazione della Pasqua. La pagina del vangelo che è stata proclamata ci ha presentato, per questo, un momento cruciale dell’avversione verso Gesù da parte dei capi del popolo, gli scribi e i farisei, che sono alla ricerca di motivi per accusarlo. La trappola è seria e bene architettata: c’è, per un verso, il rimando a una precisa prescrizione della Legge e, per l’altro, c’è il «corpo del reato»: una donna sorpresa in adulterio. Il racconto ci dice che questa donna è posta nel mezzo tra Gesù e i suoi giudici; in realtà è solo un pretesto perché agli scribi e ai farisei di quella donna non importa nulla. Il loro scopo è trovare una scusa opportuna per condannare Gesù; almeno, qualora si fosse posto dalla parte di Legge, di mettere in contraddizione con se stesso lui, che pure parlava di misericordia e di perdono.
Il racconto, carissimi sorelle e fratelli, lo abbiamo ascoltato e potremmo, in proposito, notare pure alcune cose, come l’abilità di Gesù nell’evitare l’accerchiamento e ribaltare la questione: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». La finale ci lascia stupiti: «se ne andarono uno per uno». In definitiva Gesù dice loro di cominciare col guardare dentro di sé e non fuori di sé. Comprenderlo sarebbe già una cosa grande. C’è un sapiente ebreo – dire un filosofo e teologo mi sembra poco – vissuto nel secolo passato, Martin Buber, il quale ha scritto un piccolo, ma prezioso libro dal titolo Il cammino dell’uomo dove si legge: «Cominciare da se stessi: ecco l’unica cosa che conta … Il punto di Archimede a partire dal quale posso da parte mia sollevare il mondo è la trasformazione di me stesso …». Poi cita il salmo che dice: Non c’è pace nelle mie ossa a causa del mio peccato (38,4) e conclude: «Quando l’uomo ha trovato la pace in se stesso, può mettersi a cercarla nel mondo intero».
La parola di Gesù e il senso del racconto evangelico possono ben essere racchiusi in questo insegnamento, ma si può e si deve andare oltre. Lo dico anche a partire da quel gesto così inconsueto che Gesù compie: scrivere con il dito per terra. L’evangelista lo ripete, precisando ogni volta che egli «si chinò». Qualche studioso ha cercato pure d’immaginare cosa abbia scritto. Penso, però, che importante da cogliere siano due gesti: anzitutto il chinarsi e poi quello scrivere, che nel testo greco equivale a un incidere, uno scolpire (katégraphen) ed è bene interpretato da sant’Agostino quando contrappone lo scrivere di Gesù sulla terra alla scrittura di Dio sulla pietra quando diede la Legge a Mosè (cf. In Psalm. 102, 11: PL 37, 1326).
Cosa è cambiato? C’è il fatto che Gesù sta ora scrivendo una Legge nuova; meglio, sta dando compimento e senso pieno alla Legge scritta sulla pietra e per questo la scrive sulla «terra», cioè su quello che l’uomo è divenuto col peccato ed a cui è destinato a tornare (cf. Gen 3,39). Questa pienezza della Legge nuova il Figlio di Dio ha cominciato a scriverla «chinandosi», ossia facendosi uomo egli stesso ed è per questo mistero di grazia che la Legge nuova non è una legge di precetti e di comandi, ma di misericordia e di perdono. Come scrive l’evangelista Giovanni: «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» (1,16-17); come scrive l’apostolo Paolo: «non siete sotto la Legge, ma sotto la grazia … la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato …» (Rm 6,14; 8,1-4).
In forza di questa Legge nuova, Gesù ora dice all’adultera: «Va’ e d’ora in poi non peccare più». Non la esorta a non violare più la Legge di Mosè, ma la spinge ad incamminarsi per una strada nuova, a cominciare una vita nuova. È molto di più dell’osservare questo, o quel comando. Si tratta, invece, di dare alla propria vita quell’orientamento che fa camminare con Gesù. Il papa Benedetto XVI commentò così: «L’adultera riceve il perdono in mondo incondizionato ... qui si pone in evidenza che solo il perdono divino e il suo amore ricevuto con cuore aperto e sincero ci danno la forza di resistere al male e di “non peccare più”. L’atteggiamento di Gesù diviene in tal modo un modello da seguire per ogni comunità, chiamata a fare dell’amore e del perdono il cuore pulsante della sua vita» (Omelia del 25 marzo 2007).
Carissimi, sono venuto qui a presiedere la Santa Eucaristia perché oggi è l’anniversario della nascita del beato Pier Giorgio Frassati (6 aprile 1901) e questa Basilica, anche in preparazione al rito di canonizzazione annunciato per il prossimo 3 agosto 2025, lo ricorda da tempo con una interessante mostra. Egli, infatti, nel 1922 si era iscritto nella famiglia del laicato domenicano. Permettetemi, allora, d’insistere sull’ultima affermazione di Benedetto XVI: Fare dell’amore e del perdono il cuore pulsante della propria vita; in essa, difatti, trovo pure una bella sintesi dell’esistenza terrena del beato Pier Giorgio Frassati.
Se mi domandate se c’è un rapporto tra lui e l’odierno racconto del Vangelo, io vi rispondo di sì. Lo stile di vita di Pier Giorgio, il suo impegno per i poveri e i bisognosi riflettono l’atteggiamento di compassione e di accoglienza del messaggio evangelico di questa domenica: Fare dell’amore e del perdono il cuore pulsante della propria vita. Quando una volta gli fu chiesto come potesse sopportare di visitare la casa sporca e maleodorante dei poveri, egli rispose: «Gesù mi fa visita ogni mattina nella Comunione, io la restituisco nel misero modo che posso, visitando i poveri». In questa domenica, poi, in cui si celebra pure il Giubileo degli Ammalati e del Mondo della Sanità riprendo quest’altra sua frase: «La nostra salute deve essere messa al servizio di chi non ne ha, ché altrimenti si tradirebbe il dono stesso di Dio e la sua benevolenza».
Roma, Basilica di Santa Maria sopra Minerva, 6 aprile 2025
Marcello Card. Semeraro