Introduzione ai lavori della giornata di studio su "Santità e professioni sanitarie"

 

“La vera e propria storia della Chiesa sarebbe la storia dei santi”

Introduzione ai lavori della giornata di studio su "Santità e professioni sanitarie"

 

Sono lieto di partecipare a questa giornata, portando il saluto del Card. Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi che, per un impegno precedentemente assunto, non può essere presente. Sua Eminenza assicura il suo sostegno a questo evento, dedicato alla santità laicale. In questi ultimi anni sono giunte a conclusione molte Cause, che hanno fatto emergere l’apostolato di tanti laici, uomini e donne, che si sono santificati attuando in pienezza la loro vocazione che, come afferma il Concilio Vaticano II, è quella di “cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio” (Lumen gentium, n. 31).

La proclamazione di venerabili, beati e santi è stata una vera fioritura, che permette di guardare con fiducia al nostro tempo, nel quale la Chiesa, proprio attraverso i santi, rende più umana tutta la società. La giornata di oggi è dedicata a coloro che hanno offerto una particolare testimonianza di vita cristiana nel compimento delle professioni sanitarie. La tavola rotonda presenterà alcune figure di venerabili e servi di Dio, ma sono molti i medici, infermieri e operatori sanitari che già hanno raggiunto la gloria degli altari. In loro rifulge l’immagine di Cristo, buon samaritano, che ha versato sulle ferite della sofferenza fisica “l’olio della consolazione e il vino della speranza”. Oltre alle cure mediche essi hanno saputo con la loro vicinanza infondere speranza e luce nel momento buio della malattia, aiutando le persone a scoprire il senso profondo e cristiano della sofferenza.

Quella della cura è una storia antica, che risale alle origini stesse della Chiesa. Infatti nei secoli della sua storia troviamo realizzazioni straordinarie a proposito: pensiamo al periodo apostolico, alla patristica, passando per il medioevo, fino alla nascita di ordini religiosi totalmente dediti alla cura del corpo e dell’anima della persona sofferente. Ciò ci permette di leggere la storia della Chiesa come storia della carità. Lo attesta la nascita stessa degli ospedali, come luoghi di ospitalità e di cura per i pellegrini e i malati. Tra questi, solo per riferirci ai nostri tempi, possiamo annoverare l’Università Cattolica del Sacro Cuore con il Policlinico “Agostino Gemelli”, la Casa Sollievo della Sofferenza accanto al santuario di San Pio da Pietrelcina ed anche il Campus Biomedico della Prelatura dell’Opus Dei. Quanti uomini e donne si sono conformati pienamente a Cristo proprio attraverso la cura e l’amore all’uomo malato e sofferente! Tra questi ricordiamo San Basilio, San Francesco d’Assisi, San Giovanni di Dio, San Camillo de Lellis, San Vincenzo de Paoli, San Giuseppe Cottolengo, la Santa Teresa di Calcutta, per citare i più noti.

Vorrei soffermarmi brevemente su San Giuseppe Moscati. Per lui, che è stato medico e scienziato, non esistevano contrasti tra la fede e la scienza: come ricercatore si è messo al servizio della verità e la verità non è mai in contraddizione con sé stessa né, tanto meno, con ciò che la Verità eterna ci ha rivelato. L’accettazione della Parola di Dio non è d’altronde, per il Moscati, un semplice atto intellettuale, astratto e teorico: per lui la fede è, invece, la sorgente di tutta la sua vita, l’accettazione incondizionata, calda ed entusiasta della realtà del Dio personale e dei nostri rapporti con lui. Il Moscati vede nei suoi pazienti il Cristo sofferente, lo ama e lo serve in essi. È questo slancio di amore generoso che lo spinge a prodigarsi senza sosta per chi soffre, a non attendere che i malati vadano a lui, ma a cercarli nei quartieri più poveri ed abbandonati di Napoli, a curarli gratuitamente, anzi, a soccorrerli con i suoi propri guadagni. Per questo San Giovanni Paolo II, in occasione della canonizzazione, lo ha definito esempio anche per chi non condivide la sua fede. Tuttavia fu proprio questa fede a conferire al suo impegno dimensioni e qualità nuove, quelle tipiche del laico autenticamente cristiano. Per indole e vocazione il Moscati fu innanzitutto e soprattutto il medico che cura. Lo stesso Pontefice ha citato quanto egli scriveva ad un giovane dottore, suo alunno: “Ricordatevi che non solo del corpo vi dovete occupare, ma delle anime con il consiglio, e scendendo allo spirito, anziché con le fredde prescrizioni da inviare al farmacista”.

L’altra figura cui vorrei riferirmi è il Beato José Gregorio Hernandez Cisneros, medico venezuelano, per la cui canonizzazione il Santo Padre Francesco ha approvato i voti favorevoli del Dicastero delle Cause dei Santi. A lui Papa Francesco ha anche dedicato una catechesi, il 13 settembre 2023, nella quale lo ha definito “persona buona e solare, dal carattere lieto, dotato di una spiccata intelligenza; divenne medico, professore universitario e scienziato. Ma fu anzitutto un dottore vicino ai più deboli, tanto da essere conosciuto in patria come “il medico dei poveri”, che accudiva sempre. Alla ricchezza del denaro preferì quella del Vangelo, spendendo l’esistenza per soccorrere i bisognosi. Nei poveri, negli ammalati, nei migranti, nei sofferenti, José Gregorio vedeva Gesù. E il successo che mai ricercò nel mondo lo ricevette, e continua a riceverlo, dalla gente, che lo chiama “santo del popolo”, “apostolo della carità”, “missionario della speranza”. Afferma ancora il Papa: “José Gregorio era un uomo umile, un uomo gentile e disponibile. E al tempo stesso era mosso da un fuoco interiore, dal desiderio di vivere al servizio di Dio e del prossimo. Spinto da questo ardore, diverse volte provò a diventare religioso e sacerdote, ma vari problemi di salute glielo impedirono. La fragilità fisica non lo portò però a chiudersi in sé stesso, ma a diventare un medico ancora più sensibile alle necessità altrui; si strinse alla Provvidenza e, forgiato nell’animo, andò maggiormente all’essenziale. Ecco lo zelo apostolico: non segue le proprie aspirazioni, ma la disponibilità ai disegni di Dio. E così il Beato comprese che, attraverso la cura dei malati, avrebbe messo in pratica la volontà di Dio, soccorrendo i sofferenti, dando speranza ai poveri, testimoniando la fede non a parole ma con l’esempio. Arrivò così – per questa strada interiore - ad accogliere la medicina come un sacerdozio: “il sacerdozio del dolore umano”.

Dalla testimonianza di questi cristiani e dalla sollecitudine della Chiesa, che vede nel malato il volto di Gesù, ricordando le sue parole: “Ero malato e mi avete visitato”, siamo spinti a considerare il diritto alla cura, che è inerente ad ogni persona, diritto che si attua attraverso un’organizzazione sanitaria che permetta alla persona ammalata di essere curata nella totalità della sua persona. Proprio l’organizzazione della sanità ha il compito di garantire il riconoscimento del diritto dell’uomo di ricevere le cure di cui ha bisogno. Purtroppo vi è nel mondo una grande diversità nel riconoscere questo diritto, basti pensare ai paesi più poveri e la diversificazione nello stesso Occidente, dove in diversi paesi sono favoriti i più abbienti e i poveri lasciati senza cure adeguate. Troppo spesso la cronaca ci mette davanti ai casi della cosiddetta “malasanità” e alla mancanza di personale medico e paramedico, alle lunghe liste di attesa per visite ed esami e soprattutto a quel bisogno di vicinanza umana, che è “compassione”, come quella del buon samaritano. Egli infatti si rese cordialmente partecipe della sofferenza dell’uomo incappato nei briganti. La sapienza della Chiesa contrappone alla cultura dello scarto la prossimità della comunità in tutte le sue articolazioni, con la vicinanza degli affetti, tenendo presente che la protezione e la cura degli indifesi riguarda tutti.

Gli operatori sanitari santi, in quanto modelli di vita, ci spronano ancora a mettere al centro la persona nell’interezza della sua umanità. Questo significa che i centri di cura e la stessa sanità devono perseguire criteri di corretta gestione, in cui prevalgano i principi di equità, di cura uguale per tutti e di tempestiva assistenza. Dobbiamo umanizzare la malattia e il momento della morte. A ciò ci spinge lo stesso concetto di cura, con i suoi tre momenti: preventivo, curativo e riabilitativo, ossia che tende alla cura integrale della persona. Il concetto di cura è collegato strettamente con quello di salute, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale” e non consiste soltanto in una assenza di malattie e di infermità. Nel contesto culturale di oggi, caratterizzato da una sostanziale indifferenza etica, la testimonianza degli operatori sanitari è chiamata a rendere ragione del valore unico della vita, dal concepimento al suo termine naturale, soprattutto anche quando è particolarmente fragile. Siamo convinti che il valore della vita non sia un valore soltanto cattolico, ma anche laico, cioè universale; ed è indisponibile, nemmeno per il soggetto che ne è titolare. Spesso questo fatichiamo a capirlo, rispetto al fatto che ogni vita umana è sempre un bene. Ciò ci porta – come ci ricorda Papa Francesco – a trasmettere valori, saperli argomentare nella loro verità, mostrarli nella loro bellezza.

In questo Giubileo della speranza dobbiamo muovere i nostri cuori e i nostri passi, per “organizzare la speranza” a favore dei malati e dei poveri. Benedetto XVI nella Spe salvi ha scritto: “I santi poterono percorrere il grande cammino dell’essere-uomo nel modo in cui Cristo lo ha percorso prima di noi, perché erano ricolmi della grande speranza” (n. 39). Già Karl Ranher aveva detto: “La vera e propria storia della Chiesa (semmai si è potuta e si potrà scrivere) sarebbe la storia dei santi; tutto quanto il resto – pur importante e forse anche necessario che sia – risulta assolutamente secondario rispetto a questa storia intima”.

La vita santa di questi Servi di Dio mostra come la speranza di ognuno non potrebbe sostenersi senza quella dell’altro, senza lasciarsi condurre per mano dalla speranza dell’altro.

 

Roma, Pontificia Università della Santa Croce, 3 aprile 2025

 

+ Fabio Fabene

Arcivescovo titolare di Montefiascone

Segretario del Dicastero