La chiamata alla santità dei Laici

 

La chiamata alla santità dei Laici

Convegno del Laicato della Diocesi di Teramo-Atri

 

L’attenzione che Papa Francesco sta riservando alla vocazione e alla missione dei laici nella vita della Chiesa credo che sia sotto gli occhi di tutti. Alcuni dati circa le Cause di beatificazione e canonizzazione di laici nei dieci anni del Pontificato del Santo Padre sono significativi ed emblematici.  Complessivamente all’interno del nostro Dicastero sono 208 le Cause riguardanti uomini e donne laici senza contare quelli che rientrano nei gruppi di martiri. Delle 208 Cause, 11, di cui 8 uomini e 3 donne, sono giunte alla canonizzazione, 27, di cui 12 uomini e 15 donne, sono state beatificati; 60, 32 uomini e 28 donne, hanno ricevuto il titolo di «Venerabile» e per 110 Cause si è chiesto il nulla-osta, da parte delle rispettive diocesi, per poter iniziare la Causa. A questi laici che vengono proposti come intercessori e modelli di vita cristiana o che sono in cammino per essere inscritti nell’albo dei santi, dobbiamo aggiungere quei “santi della porta accanto” di cui parla il Papa nell’Esortazione Apostolica Gaudete et exsultate, sono “quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, “la classe media della santità” (n.7). Tutti, credo, abbiamo conosciuto persone che ci hanno edificato con la loro testimonianza di vita cristiana e le ricordiamo con affetto e gratitudine per quanto ci hanno trasmesso. Non possiamo non ricordare le numerose donne che sono state canonizzate, tenendo presente come “in epoche nelle quali le donne furono maggiormente escluse, lo Spirito Santo ha suscitato sante il cui fascino ha provocato nuovi dinamismi spirituali” (GE,12). La loro vita ci dice come il “genio femminile” si manifesta in “stili femminili di santità”, che è indispensabile per riflettere la santità stessa di Dio in questo mondo.

Entrando nel merito del tema di questa relazione è necessario richiamare la Costituzione Conciliare Lumen gentium, dove nel cap. V ha trattato in modo ampio, diretto ed esplicito della vocazione universale alla santità. Questo capitolo è stato considerato il cuore magisteriale del Vaticano II. In esso i Padri Conciliari non hanno fondato una nuova teologia, ma ha rinnovato una coscienza ed una sensibilità che avevano bisogno di essere ridestate. Prima del Concilio si era arrivati ad una concezione della vita cristiana in cui la santità era veduta come qualcosa di straordinario, riservata per pochi eletti. Questo comportava anche il comportamento della vita. Dire “non sono santo…” era come un’attenuante. Il “santo” lo fa il Signore e gli altri dovevano essere meno cattivi o più buoni possibile, senza ricercare la santità. La chiamata di tutti alla santità era però nel profondo della vita della Chiesa, basta pensare a San Francesco di Sales e all’enciclica “rerum omnium” di Pio XI dedicata proprio a lui, dove il Pontefice ribadiva l’universale chiamata alla santità. Il Concilio quindi ha raccolto e riproposto autorevolmente questa dottrina, come vocazione di tutta la Chiesa, del Popolo di Dio, la quale sta al centro della storia della salvezza di cui il protagonista è Dio. È importante sottolineare che la Lumen gentium presenta la vocazione non primariamente come contenuto personalistico, ma ecclesiale. La vocazione alla santità, prima di essere vocazione di un individuo, è vocazione dell’umanità, legata intimamente al mistero salvifico di Dio. Tutti sono chiamati a far parte del nuovo Popolo di Dio, ha affermato la Costituzione sulla Chiesa, e quindi l’esigenza di santità è uguale per tutti. Il dato personale della vocazione ad essere santi si radica nel fatto universale: la santità del singolo membro del Popolo di Dio si verifica nella santità della Chiesa. Ogni santità personale è avvenimento ecclesiale ed è un fatto che incide nella storia della Chiesa e nella stessa storia salvifica. Il Concilio ha spogliato di individualismo la nozione della santità e gli ha dato un contenuto pieno di ecclesialità, che non va intesa in senso collettivistico. Infatti, il collettivismo non si applica alla Chiesa, in quanto il mistero della Chiesa non si configura ad alcun avvenimento sociale dell’umanità.

Dopo il Concilio, il Magistero ha periodicamente richiamato la vocazione alla santità del Popolo di Dio.

Il Sinodo straordinario del 1985, celebrato a venti anni dalla conclusione del Concilio, ha collegato il tema del mistero della Chiesa con quello della santità. È interessante notare come i Padri di quel Sinodo mettevano già in evidenza come molti sentivano già il vuoto interiore e la crisi spirituale del nostro tempo e quindi ricordavano come la santità, prima ancora di un significato morale, indica partecipazione alla vita stessa di Dio in quel dinamismo che discende dal Padre e ritorna al Padre, ed è quella che chiamiamo “vita nello Spirito”, che è la vita di tutta la Chiesa e di ogni suo membro.

L’Esortazione Apostolica Christifideles laici, del 30 dicembre 1988, che ha raccolto  il lavoro del Sinodo dei Vescovi dedicato ai laici, dopo appena tre anni, riprende le indicazione del Sinodo straordinario e rilancia l’universale chiamata alla santità, affermando, che questa chiamata “non è una semplice esortazione morale, bensì un’insopprimibile esigenza del mistero della Chiesa” ed aggiungeva: “Tutti nella Chiesa, proprio perché ne sono membri, ricevono e quindi condividono la comune vocazione alla santità. A pieno titolo, senz'alcuna differenza dagli altri membri della Chiesa, ad essa sono chiamati i fedeli laici: “Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità; “Tutti i fedeli sono invitati e tenuti a tendere alla santità e alla perfezione del proprio stato” (n.16).

Alla fine del Grande Giubileo del 2000, San Giovanni Paolo II, ha riconsegnato il messaggio fondamentale del Concilio nell’Esortazione apostolica Novo Millennio Ineunte, scrivendo: “Occorre…riscoprire, in tutto il suo valore programmatico, il capitolo V della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, dedicato alla « vocazione universale alla santità ». Se i Padri conciliari diedero a questa tematica tanto risalto, non fu per conferire una sorta di tocco spirituale all'ecclesiologia, ma piuttosto per farne emergere una dinamica intrinseca e qualificante. La riscoperta della Chiesa come « mistero », ossia come popolo « adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito », non poteva non comportare anche la riscoperta della sua « santità », intesa nel senso fondamentale dell'appartenenza a Colui che è per antonomasia il Santo, il « tre volte Santo » (cfr Is 6,3). Professare la Chiesa come santa significa additare il suo volto di Sposa di Cristo, per la quale egli si è donato, proprio al fine di santificarla (cfr Ef 5,25-26). Questo dono di santità, per così dire, oggettiva, è offerto a ciascun battezzato (n.30).

Giungiamo così all’Esortazione Apostolica di Francesco Gaudete et exsulate, che tutti conosciamo e nella quale il Papa, traccia il cammino della santità nel nostro tempo mettendo in luce i nemici della santità, propone le beatitudini come vie per rispondere alla vocazione alla santità, propone alcune caratteristiche della santità del nostro tempo e richiama il necessario combattimento spirituale per raggiungere la santità della vita.

Il Vaticano II offre con assoluta chiarezza il contenuto della santità, essa consiste nella perfezione della carità nel mistero totale di Cristo. Il primato della carità teologale è l’essenza della santità: L’amore che è Dio stesso ci viene partecipato attraverso Cristo nel mistero della salvezza.  La perfezione della carità è il dono di Cristo, è l’annunzio di Cristo che rende partecipe di sé il Popolo di Dio. Nella concezione conciliare vi è un cambiamento fondamentale: dall’idea della perfezione identificata col perfetto adempimento della legge e del proprio dovere morale si passa alla piena realizzazione della carità in Cristo Gesù, che della perfezione è realizzatore e maestro. In questo cambiamento prospettico non si deve pensare che il Concilio abbia contrapposto la legge e la carità, ha affermato che la legge deve essere animata dalla carità, che ha la preminenza sulla legge. È l’amore che dà efficacia a tutti i mezzi di santificazione. L’ esercizio delle virtù deve essere l’incarnazione e il frutto della carità. Al riguardo, il n.42 della Lumen gentium conclude: “La carità infatti, quale vincolo della perfezione e compimento della legge (cfr. Col 3,14; Rm 13,10), regola tutti i mezzi di santificazione, dà loro forma e li conduce al loro fine. Perciò il vero discepolo di Cristo è contrassegnato dalla carità verso Dio e verso il prossimo”. Il cammino della santità è guidato dalle normative del Vangelo, le quali garantiscono il progredire delle virtù, la maturazione della perfezione e quindi la crescente configurazione del cristiano a Cristo. Tutti siamo chiamati a tale configurazione: è la vocazione che nasce dal Battesimo. Ognuno secondo la propria condizione di ministro ordinato, di consacrato e di laico.

Per quanto riguarda la santificazione dei laici, essi sono chiamati ad attuarla attuando la loro vocazione propria. A riguardo, vorrei riprendere i criteri e le indicazioni richiamati dal vostro Vescovo nel piano pastorale “Dal Concilio Vaticano II a Papa Francesco”, dove egli ripropone l’insegnamento del Concilio Vaticano II e di Papa Francesco proprio su quella che è l’impegno laicale nei confronti delle realtà temporali e del servizio dei laici alla Chiesa. è ormai assodato che l’indole secolare è propria e peculiare dei laici: “…per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio” (LG 31). Sostanzialmente la Gaudium et spes ai nn. 43 e 76 esplicita quanto affermato da Lumen Gentium, esortando i cristiani a compiere i loro doveri terreni lasciandosi guidare dallo spirito del Vangelo. E a non confondere la Chiesa con un sistema politico ma a servire il carattere trascendente della persona umana. Sostanzialmente Papa Francesco nell’Evangelii gaudium ripropone l’insegnamento conciliare ed anche nel motu proprio con il quale istituisce la figura del catechista (Antiquum ministerium) lo fa ricordando che nello svolgere questo servizio tipicamente ecclesiale in forma pienamente secolare, senza cadere in alcuna espressione di clericalizzazione. Molto opportunamente Mons. Leuzzi ha citato la lettera di Paolo VI a Mons. Costa, che era assistente generale dell’Azione Cattolica Italiana (10 ottobre 1969). In quella lettera il Papa metteva in evidenza la necessità di svolgere la missione laicale nei confronti della società su fondamenti soprannaturali e col sostegno di un’esperienza spirituale, confidando nell’aiuto della Grazia divina. È quindi necessario coniugare l’impegno nei riguardi della società con la santità della vita. Come nota il Vescovo, se si separano i due aspetti dell’impegno sociale e della vita spirituale, c’è il rischio di emarginare la Chiesa dalla storia. Questa unità è forse la priorità da recuperare in questo cambiamento d’epoca per una nuova presenza dei fedeli laici oggi.

Un altro aspetto che è necessario sottolineare, che si pone accanto alla fondamentale chiamata alla santità, è la diversità carismatica. I doni dello Spirito Santo permettono di considerare la santità non come una realtà monotona nella sua realizzazione storica, ma nel dinamismo della ricchezza dei carismi, sia sul piano personale che istituzionale, determina la varietà delle vocazioni. In questa varietà i carismi caratterizzano anche la santità del popolo di Dio, in funzione di testimonianza del mistero di Cristo e di affermazione della carità. Non c’è dunque una santità che consista nei carismi e una che consista nella carità. C’è la santità, che è la perfezione della carità, mediante dei carismi, diversamente arricchita dalle iniziative di Dio. È qui che si situa la varietà delle vocazioni, che caratterizza gli itinerari di ciascuno senza moltiplicare l’unità della santità. I compiti, le responsabilità, le professioni, danno un contenuto alla carità di ogni individuo o di ogni stato o professione, tendendo a santificare l’uomo nella concretezza della sua vita. Quindi, riassumendo questi aspetti, possiamo dire che il valore variabile della santità del popolo di Dio ha le sue radici nella variabilità delle condizioni umane, mentre il valore invariabile viene dall’identità del dono di Dio. Dio ci santifica con una invariabile realtà e nella partecipazione alla carità di Cristo veniamo assunti nella nostra condizione umana, che è varia ma che nella sua varietà assorbe il disegno storico della salvezza e come tale non è semplicemente un dato umano, ma sorretto dal dono di carismi che vengono da Dio stesso. L’universale vocazione alla santità chiama tutti a collaborare insieme, a camminare – come si dice oggi – in forma sinodale per l’edificazione della Chiesa diocesana. Senza recriminazioni, fanatismi, protagonismi sterili. Contemporaneamente si tratta di arricchire la Chiesa particolare con lo specifico carisma di ciascuno. In quanto tutti dobbiamo accogliere il dono della Grazia, che viene da Dio, così come Lui, nella ricchezza dello Spirito, ci comunica.

Siamo convinti che la santità sia un fattore di umanizzazione, perché – come afferma il Concilio – essa contribuisce a promuovere un modo di vita più umano. A questo riguardo, alle virtù di un santo si unisce il suo servizio intraprendente, socievole, coraggioso, totalmente impegnato con la libertà che nasce dalla sua comunione con Dio e che contrasta con l’orgoglio, l’individualismo e la chiusura verso gli altri. Tanti laici che sono stati canonizzati si presentano proprio così: persone libere, che con gratuità, mitezza e coraggio hanno risposto alle istanze del loro tempo orientandole verso Dio e l’edificazione del suo Regno.

Dobbiamo ritrovare la consapevolezza che il dono di Dio alla santità è offerto a tutti. E che tutti siamo chiamati a corrispondervi con lo slancio di una fedeltà. Che non può mai essere totalmente consumata, in quanto rimane incompiuta fino alla pienezza che troveremo nella vita eterna. Questo cammino di santità impegna la nostra fedeltà ai doni divini ed è incoraggiante perché non si identifica con certi schemi perfezionistici che rischiano di intimorirci. Il Battesimo, in cui si radica la nostra chiamata alla santità, ci invita alla fiducia nella certezza che siamo figli, figli di Dio, voluti da Dio. In conclusione vorrei fare mie le parole di San Paolo ai Romani: “Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati” (Rm 8, 29-30).

 

Teramo, Colleparco, 25 marzo 2023

 

+ Fabio Fabene