Omelia Messa Ringraziamento Venerabile Maria Aristea Ceccarelli

Omelia nella Messa di ringraziamento per la Venerabilità di Maria Aristea Ceccarelli Bernacchia

 

Cari fratelli e sorelle,

La liturgia chiama “ammirabile” l’Ascensione del Signore. La definisce cioè stupenda, meravigliosa, una realtà da ammirare e contemplare con infinito stupore. Essa è infatti il compimento della gloria pasquale: la vittoria di Gesù sulla morte coincide con la sua esaltazione alla destra del Padre, come abbiamo ascoltato nel Vangelo: «Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo» (Lc 24,51). L’Ascensione è dunque il punto culminante di un unico movimento, che afferra tutta la vita di Cristo: il Figlio è disceso da Dio fino al punto più basso, cioè «fino alla morte di Croce» (cf. Fil 2,8) e, per la sua fedeltà ed obbedienza al Padre, ora è esaltato e «siede alla destra del Padre», come diciamo nella Professione di fede (Messale Romano, p. 322).

Il mistero dell’Ascensione, che pure ci sembra tanto lontano da noi e dal nostro vissuto, in realtà ci coinvolge pienamente, in quanto con Gesù la nostra natura, unita alla sua Persona, è entrata in Dio. Cristo, salendo, ha trascinato con sé tutto il Corpo, cioè la sua Chiesa. Esclama al riguardo San Leone Magno: «Oggi non solo abbiamo ricevuto la conferma di avere il Paradiso, ma siamo penetrati con il Cristo nell’altezza dei cieli» (Sermo 73 [60], 2-4). Per questo facciamo risuonare nel nostro cuore il Salmo 46, nel quale, quasi in un applauso incontenibile e fra canti di gioia, i popoli, con la loro storia e la stessa natura, acclamano il Signore che ascende nei cieli. In questa esultanza siamo coinvolti anche noi, perché, come abbiamo pregato nella Colletta, la nostra umanità è innalzata in Gesù accanto al Padre (cf. Messale Romano, p. 240).

Il Cristo glorioso, alla destra del Padre, non è però come una statua posta sul monte. Egli è il Presente, è vicino a noi. In forza dello Spirito è nostro contemporaneo, come lo è stato in tutte le generazioni precedenti e lo sarà fino alla fine dei tempi. L’Ascensione amplifica la presenza e l’azione di Cristo. Il Vangelo di Matteo, che inizia con la promessa dell’Emmanuele, cioè “Dio con noi” (Mt 1,23) termina con le parole di Gesù: «Ecco, Io sono con voi fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Terminate le apparizioni pasquali del Risorto, è nei segni ecclesiali che lo dobbiamo cercare: la Parola, i sacramenti, i fratelli, soprattutto i poveri; e impegnarci a costruire il suo Regno, secondo il richiamo fatto dagli angeli agli apostoli: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?» (At 1,11). Fino al ritorno del Signore, siamo chiamati ad essere suo testimoni in ogni angolo della terra, con la parola e la santità della vita. Come rispondere concretamente a questa chiamata ce lo hanno mostrato i santi di ogni tempo ed epoca della storia della Chiesa. Ce lo insegna oggi la Venerabile Serva di Dio Maria Aristea Ceccarelli Bernacchia.

 Davanti al mistero dell’Ascensione infatti, dobbiamo fare attenzione a non “chiudere la nostra fede in sacrestia” – come solitamente si dice –, cioè a non limitarci ad un esercizio della fede preoccupato solo dell’aldilà, disinteressato ai problemi vivi del nostro tempo. Come diceva San Camillo de Lellis: «Non mi piace una pietà che taglia le mani alla carità». Non possiamo nemmeno correre il rischio, viceversa, di ridurre la fede ad un livello esclusivamente terreno, fatto soltanto di impegno sociale e politico. Ci troviamo di fronte ai due pericoli, che Papa Francesco richiamava nell’Esortazione Apostolica Gaudete et Exultate sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo. Il primo pericolo è il “neognosticismo”, che supponendo una fede chiusa nel proprio ragionamento e nei propri sentimenti, disincarna il mistero e porta ad «un Dio senza Cristo, un Cristo senza Chiesa, una Chiesa senza popolo» (n. 37). Il secondo pericolo è il “neopelagianesimo”, che porta a confidare soltanto sugli sforzi della propria volontà e si finisce per sentirsi superiori agli altri perché stretti osservanti di norme; ci si dimentica, in tal modo, del primato della grazia, per la quale ci è possibile rispondere al dono dell’amore di Dio e vivere nella luce e nella gratitudine, riconoscendo che tutto è dono. Proprio così hanno fatto i santi, riponendo sempre la loro fiducia in Dio. Per questo, una delle loro caratteristiche è la gioia. Spesso immaginiamo i santi come persone malinconiche, inibite, tristi e senza energie. No! I santi, senza perdere il contatto con la realtà, anche in mezzo a grandi prove della vita, non solo avevano il cuore lieto, ma illuminavano anche gli altri con la loro speranza e carità.

Così è stato per la Venerabile Maria Aristea, esempio per la Chiesa di oggi di una vissuta santità laicale da vivere nella famiglia e nella concretezza dell’amore fraterno.  Ripercorrendo le tappe della sua vita notiamo che le difficoltà non le mancarono, fin da quando, bambina, fu cresciuta in povertà assoluta in un ambiente degradato, con una madre anaffettiva ed un padre irascibile. La Venerabile Serva di Dio superò tutte le difficoltà grazie alle sue risorse interiori. È forse però la sua storia famigliare, iniziata con il matrimonio, la realtà in cui la sua fortezza rifulse maggiormente. Il rapporto con i suoi suoceri, che di lei non avevano alcuna stima, e il dover fare i conti con la violenza, le umiliazioni e le infedeltà da parte del marito, diventarono occasioni di una carità straordinaria, di un’umiltà che edifica, di una scelta di amore e di perdono che non può lasciare indifferenti. Fu tanto grande la sua bontà, che ottenne perfino – lo abbiamo sentito – la conversione del marito. Accolta nella famiglia camilliana, Maria Aristea visse il carisma di San Camillo, facendosi prossima verso i malati di Tubercolosi del sanatorio dell’Ospedale Umberto I e interessandosi dei malati del suo quartiere romano. Con il suo esempio, la sua pazienza e la capacità di accompagnare le persone, diventò madre e maestra di una spiritualità genuina, che mise al servizio particolarmente delle vocazioni. Dicono i testimoni: «Offrì tutta sé stessa a Dio per la santità dei suoi figli spirituali e ci fu una fioritura di anime tese alla ricerca appassionata di Dio» (Relatio et vota, p. 19). La sua azione caritatevole acquista ancor più valore se consideriamo che ella visse anche la “notte oscura” della fede. La sua vita interiore, dal 1927 al 1936, fu travagliata con momenti di depressioni e dall’angoscia di essere stata abbandonata da Dio. In questa situazione interiore ella fu sostenuta dalla fede, intesa come vita di unione con Gesù Cristo nell’amore e nel dolore. La grazia di questa intima unione con il Signore la portò ad essere una mistica nella vita quotidiana e nella dedizione agli altri, arricchita anche da doni carismatici, quali la maternità spirituale.

Ci si potrebbe domandare da dove le venisse tale capacità. Ci si potrebbe quindi chiedere se la sua figura sia proponibile nel nostro tempo o se, piuttosto, renda l’immagine di una donna sottomessa e inerte, quale la donna non è e non deve essere. Le testimonianze e il racconto degli avvenimenti sono concordi nel dirci che, al contrario, Maria Aristea possedeva una straordinaria forza interiore, sostenuta dalla grazia. Portava avanti, per consapevole scelta, uno straordinario progetto di vita: sopportare tutto per amore, così da farsi prossima a tutti nelle loro avversità. Dalla preghiera, dai sacramenti, dalla direzione – i segni ecclesiali cui facevamo riferimento poc’anzi – traeva l’energia di un sì continuo a Dio e di un’incredibile dedizione ai malati, ai poveri, ai suoi figli spirituali. Interpretò pienamente, nel suo stato di vita di laica, moglie, di grande donna della Chiesa di Roma, l’ideale di San Camillo: «Miriamo nei malati la persona stessa di Cristo. Questi malati cui serviamo ci fanno vedere un giorno il volto di Dio». Tale ideale lo visse con umiltà, serenità e bontà verso tutti, senza appariscenza ma con una presenza che consolava. Donna di preghiera e di profonda devozione eucaristica.

In questa solennità dell’Ascensione, mentre contempliamo il Risorto che, salendo al Padre, benedice i discepoli, accogliamo il dono che Dio ha fatto alla Chiesa di Roma della Venerabile Serva di Dio Maria Aristea Ceccarelli Bernacchia. Invochiamo la sua intercessione per le nostre necessità. Chiediamole di rendere operosa nella carità la fede in Cristo che tutti noi professiamo.

 

Roma, Basilica di San Camillo de Lellis, 29 maggio 2022, Ascensione del Signore

 

+ Fabio Fabene

 Arciv. tit. di Montefiascone

 Segretario