Solennità di Cristo Re
Omelia nel 20° anniversario del Dies Natalis di Padre Gianfranco Chiti, ofmcapp.
Cari fratelli e sorelle,
In questa ultima domenica dell’anno liturgico la figura di Cristo Re dell’Universo ricapitola il mistero di Cristo stesso che abbiamo celebrato nello scorrere di questo anno e ci proietta alla fine dei tempi, quando Gesù, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra apparirà sulle nubi del cielo, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura. Il libro dell’Apocalisse, alludendo alla profezia di Daniele, afferma che Gesù è il rivelatore del Padre degno di fede ed in quanto Risorto è il capostipite di un nuovo popolo destinato alla vita eterna. La nuova umanità che il Signore con la sua Pasqua di morte e risurrezione ha riconciliato con Dio. è il Regno di cui Gesù è il Re, come egli stesso afferma di essere rispondendo a Pilato, e come è scritto sulla croce: “Gesù Nazareno il Re dei Giudei”.
La regalità di Gesù, cari fratelli e sorelle, come sappiamo, e come rivela il Vangelo ascoltato poc’anzi, “non è di questo mondo”, e Lui non è un re “di quaggiù”, come quelli della terra. Anzi quando lo volevano fare re fuggì via. Lui è un Re venuto da Dio per testimoniare la verità e comunicarci l’amore paterno e tenero di Dio, facendosi servo di tutti nell’espressivo gesto della lavanda dei piedi. Per questo il Regno di Dio è un regno di verità, di amore, di pace di giustizia. Un Regno che è in costruzione nel cantiere della storia e di cui noi ne siamo gli operai. Lo saremo se apriremo il cuore allo Spirito Santo che ci conformerà a Gesù divenendo ogni giorno suoi innamorati discepoli. La scelta di fare di Gesù il centro della nostra vita richiede l’impegno di entrare dalla porta stretta per far morire in noi l’egoismo individualista aprendoci a Dio e ai fratelli. Questo cammino di conversione ci condurrà alla libertà dalle passioni, dai desideri vani, dall’arroganza che troppo stesso diventa violenza, come purtroppo vediamo in questo nostro tempo. Liberati dalla grazia di Cristo troviamo la pienezza della vita e della gioia.
Questa pienezza di comunione con Dio l’ha sempre cercata e trovata il Venerabile Padre Gianfranco Chiti, di cui in questa domenica facciamo memoria a venti anni dalla morte avvenuta il 20 novembre 2004 per le conseguenze di un incidente automobilistico. Proveniente da una famiglia di artisti a cinque anni si trasferisce a Pesaro e a quindici entra nella Scuola militare di Milano, dove consegue risultati molto buoni ai quali unisce un carattere disinvolto, gioioso, affabile, sempre sorretto da una profonda spiritualità mariana ed eucaristica. Questo tratto caratteriale e il suo profondo amore alla Madonna lo ricordo molto bene, quando a metà degli anni 70, il Preside della scuola che frequentavo a Montefiascone lo invitò a parlarci. Ci colpì subito per la sua statura fisica, per la sua fede viva e per il suo amore alla Madonna. Ci raccontò proprio come nella caserma di Viterbo volle mettere una statua della Madonna, cosa che poi faceva in ogni caserma, dove prestò servizio. Alla Madonna poi fece voto di aiutare i poveri quando dovette sostenere gli esami di maturità, come anche durante la guerra si prodigò a favore degli Ebrei. La sua fede fu sostenuta ed alimentata da un profondo spirito di preghiera, soprattutto nei momenti difficili della sua vita durante la seconda guerra mondiale che lo vide in Slovenia, in Russia, in Grecia oltre che in diverse città italiane. In Piemonte e a Torino venne fatto prigioniero, liberato poi grazie all’intervento del Vescovo di Mondovì. La sua vita cristiana era saldamente unita alla vita militare che visse sempre come missione educativa e formativa.
Appena raggiunta l’età della pensione, nel maggio 1978, entra come Postulante Cappuccino a Rieti, realizzando così il desiderio, avuto fin dalla giovinezza, di abbracciare la vita francescana. Dopo aver svolto il Noviziato venne ordinato sacerdote a Rieti il 12 settembre 1982, dopo la professione perpetua nell’Ordine dei Cappuccini e aver ricevuto il diaconato il 2 agosto 1982. Nell’Ordine egli fu vice-maestro dei Novizi e Padre Spirituale. Qui ad Orvieto viene trasferito nel 1990 per restaurare questo convento, dove oggi riposano le sue spoglie mortali. Qui lo incontrai insieme al mio parroco più di una volta, per invitarlo a predicare la novena dell’Immacolata nella Cattedrale di Montefiascone e per altre circostanze, ed è stata una grazia poter trascorrere insieme momenti fraterni e anche famigliari, in quanto era stato compagno del marito di una mia zia tra i Granatieri di Sardegna. Diverse volte, giovane sacerdote, ho concelebrato la Messa con lui. Mi sono reso conto personalmente della generosità e della severità del suo carattere e della sua religiosità autentica e del rispetto che incuteva con il suo saio e la sua lunga barba bianca. Un vero cappuccino, come tanti che ho conosciuto e ammirato. Il 24 gennaio di quest’anno sono state riconosciute le sue virtù esercitate in modo eroico. Egli durante il cammino della sua vita si è rivestito delle virtù della fede, della speranza e della carità verso Dio e verso gli altri, insieme a quelle cardinali realizzando in sé la pienezza dell’amore di Dio, questa pienezza è la santità della vita alla quale siamo tutti chiamati.
Alla vigilia del Giubileo della speranza vorrei soffermarmi brevemente su come Padre Chiti ha vissuto la virtù della speranza, che discende direttamente dalla fede e si apre verso il futuro. Possiamo affermare che il Venerabile ha fissato saldamente la sua ancora nel cuore di Dio. Il suo cammino verso il futuro di Dio ha accompagnato tutta la sua esistenza e spesso, come dicono i Padri della Chiesa è stato vivo in lui il “desiderio della morte”, come appare in una dichiarazione del 28 marzo 1975. Da questa virtù egli apprende l’ottimismo, il pensare positivo, la serenità e la solarità del suo sguardo. P. Chiti era convinto che nonostante le apparenze Gesù è oggi più amato e creduto, continuamente egli ripeteva che il Vangelo non è la biografia di Gesù, ma la buona novella vissuta, predicata a cominciare dagli apostoli. Il suo entusiasmo speranzoso contagiava anche gli altri, particolarmente gli sfiduciati e invitata a sperare dicendo “spera, spera!”, per i novizi cappuccini e, prima, per tanti giovani reclute, è stato il maestro della speranza, il padre esigente, ma sempre presente, pronto a sostenerli e incoraggiarli verso il domani della loro vita.
Cari fratelli e sorelle, ringraziamo Dio per averci donato questo testimone di Cristo! Padre Chiti ha lasciato un segno, il segno della bontà sollecita di Dio in tutti coloro che lo hanno conosciuto, ma anche dopo la sua morte, quasi come un ritornello tanti hanno attestato la sua santità, che ha lasciato un’impronta nella loro vita. Ora spetta a voi tenerla viva affinché Dio possa mettere la sua firma con un miracolo al lavoro svolto dalla Chiesa, perché Padre Chiti venga dichiarato Beato e sia per noi un aiuto nel cammino della vita cristiana e un modello per poter essere anche noi costruttori del Regno di Dio con viva fede, gioiosa speranza e carità operosa.
Orvieto, Chiesa dei Cappuccini, 24 novembre 2024
+ Fabio Fabene
Arcivescovo titolare di Montefiascone
Segretario del Dicastero