L’amicizia, quasi un’immagine dell’eternità
Omelia nella Santa Messa con le Piccole Sorelle di Gesù
Care sorelle,
Le letture che sono state proclamate ci parlano del valore dell’amicizia. Particolarmente, la prima lettura, tratta dal libro del Siracide, ci ricorda il nostro bisogno di relazionarci con gli altri. L’amicizia, come tutti ben sappiamo, è un legame profondo, è una delle espressioni più alte dell’amore stesso.
Il Siracide non si ferma ad una descrizione teorica dell’amicizia ma, attingendo alla ricchezza dell’esperienza umana, offre indicazioni preziose, che sono diventate anche proverbi popolari, come quella al versetto 14: “Chi trova un amico, trova un tesoro”. Oltre a questo, offre suggerimenti molto concreti per poter scegliere i nostri veri amici, perché molti si dicono nostri amici, ma alla prova concreta dei fatti non si rivelano tali. È quanto mai importante ciò che ancora ci dice il testo sacro: “I tuoi consiglieri siano uno su mille” (v. 6b). Con questo ci vuole dire che i veri amici vanno scelti e per questo ci offre quasi un test di selezione. Aelredo, monaco dell’abbazia cistercense di Rievaulx, dava questo consiglio: “Se ritieni che qualcuno sia adatto a tutto questo, devi prima sceglierlo, poi metterlo alla prova e infine accoglierlo. L’amicizia infatti deve essere stabile, quasi un’immagine dell’eternità, e rimanere costante nella dedizione e nell’affetto”. Purtroppo ciascuno di noi può avere sperimentato la delusione dell’amicizia, in quanto non era costruita su solide basi, ma nasceva dall’estemporaneità di un sentimento o dalla piacevolezza di un momento.
Ora, affinché l’amico sia effettivamente tale è necessario che il rapporto abbia come fondamento l’amicizia con Dio, dal momento che – come abbiamo ascoltato – “chi teme il Signore sarà anche costante nell’amicizia, perché come uno è così sarà il suo amico” (v. 17). La sacralità dell’amicizia richiede maturità umana, per questo Magdalene Hutin insisteva tanto sulla maturità umana delle donne che volevano entrare nella fraternità, perché era convinta che solo un cuore veramente umano e credente può vivere l’amicizia della vita fraterna.
Anche il Vangelo, che ci parla della liceità del divorzio, in fondo ci parla di quello speciale rapporto che è l’amicizia sponsale. Il Papa, nell’esortazione apostolica Amoris laetitia, ci insegna che “dopo l’amore che ci unisce a Dio, l’amore coniugale è la più grande amicizia”, perché “possiede tutte le caratteristiche di una buona amicizia: ricerca del bene dell’altro, reciprocità, intimità, tenerezza, stabilità, e una somiglianza tra gli amici che si va costruendo con la vita condivisa” (AL, n. 123).
L’amicizia degli sposi ci aiuta a comprendere e vivere più profondamente la nostra consacrazione a Dio, sia nella vita religiosa, sia nel ministero dei sacerdoti. L’immagine di Dio sposo del suo popolo trova in Cristo Sposo della Chiesa la sua pienezza ed è una delle immagini più significative e profonde della Bibbia, che si conclude proprio nell’Apocalisse con l’invocazione dello Spirito e della Sposa: “Vieni, Signore Gesù!”.
A riguardo è significativo ciò che ancora scrive lo stesso Aelredo di Rievaulx: “L’amico è lo sposo dell’anima tua, e tu dici il tuo spirito al suo, coinvolgendoti al punto di dover diventare con lui una cosa sola; a lui ti affidi come a un altro te stesso, niente gli nascondi e nulla hai da temere da lui”. Se c’è una cosa che nel Vangelo non lascia dubbi è proprio questa: Gesù desidera essere nostro amico! È lui stesso che, per primo, ci ha chiamati amici ed è lui per primo che ci offre la sua amicizia. Il segreto che ha costituito i santi è proprio la consapevolezza dell’amicizia di Cristo. Ne abbiamo a riguardo un riscontro nelle parole di Santa Teresa d’Ávila, la quale scrive: “Che cosa possiamo desiderare di più, quando abbiamo al fianco un così buon amico che non ci abbandona mai nelle tribolazioni e nelle sventure, come fanno gli amici del mondo? Beato colui che lo ama per davvero e lo ha sempre con sé!”.
La storia della santità ci racconta di belle e profonde storie di amicizia fra santi, alcune delle quali le abbiamo certamente presenti. Una delle più significative è quella di San Gregorio Nazianzeno con San Basilio: è commovente la pagina in cui Gregorio parla di “mutuo affetto” tra loro; ma anche quelle di San Francesco con Santa Chiara d’Assisi; o di San Francesco di Sales e Santa Francesca de Chantal. E così tanti altri che conosciamo.
L’amicizia con Cristo e con gli uomini è ciò che ha vissuto in modo particolare la vostra fondatrice, nella sua spiritualità e nel suo apostolato. Durante la sua attività fra i poveri, a sud di Algeri, sentì la necessità di un radicamento contemplativo e proprio in questa sua ricerca vocazionale visse con intensità un’esperienza mistica: la Vergine Maria le porgeva nelle mani il Bambino Gesù; dirà lei stessa: “Mi ha presa per mano e ciecamente l’ho seguito”. Nel 1946 ebbe anche l’esperienza spirituale di vivere con intensità la passione di Gesù e conservò l’intensità di quel momento “come una ferita al cuore”. Questi due momenti di intimità spirituale con Dio hanno caratterizzato la sua sequela di Cristo portandola a vivere sempre all’ombra dell’Eucaristia che ha voluto al centro centralità della sua fondazione.
Questa spiritualità eucaristica, infatti, contrassegna, sulle orme di San Charles de Foucauld, la vita e le regole della Fraternità delle Piccole Suore di Gesù.
L’amicizia verso Cristo ha spinto Magdalene Hutin a farsi serva dei più piccoli, dei poveri; ad essere amica di tutti. Infatti – come voi ben ricordate –, inizialmente la sua nuova comunità si rivolgeva solo ai popoli musulmani, che vivevano da nomadi nel Sahara algerino; le Piccole Sorelle divennero “arabe con gli arabi, nomadi con i nomadi”. In seguito, tra il 1953, e il 1954 Magdalene ha vissuto il carisma della fraternità in mezzo a popoli lontani: viaggiò per il mondo alla ricerca di minoranze ignorate o meno accessibili; e le vostre comunità si moltiplicarono, soprattutto nel Medio Oriente, dove la vita si mostrava particolarmente dura. Incoraggiava a combattere l’ingiustizia con l’amore. Nel 1956 iniziò a viaggiare nell’Europa dell’est, all’epoca sottomessa al regime comunista; pregava con gli ortodossi e incontrava molte persone con cui intrecciò legami di profonda amicizia. E così l’ecumenismo divenne una delle sue priorità. Fu amica dei santi pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, oltre ad innumerevoli personalità del suo tempo.
In particolare, in questo anno giubilare vorrei evidenziare come la nostra Serva di Dio ha vissuto la virtù della speranza. Tutta la sua attività missionaria è infatti radicata nella speranza certa che un giorno saremo tutti una sola cosa col Padre. Credeva fermamente che Dio rende possibili cose, che umanamente sembrano impossibili. Aveva la capacità di guardare al futuro con fiducia ed al termine della vita, in attesa dell’incontro con il Signore, esclamava: “Mio Dio, non avrei pensato che fosse così lungo… Non posso più aspettare… Non posso più aspettare”.
In questa donna, dall’aspetto fisicamente minuto e debole, si è manifestata la parola dell’apostolo Paolo: “La carità tutto spera”. Questa prospettiva di carità e di speranza ha fatto sì che la Serva di Dio ricercasse continuamente i diseredati, gli esclusi, donne e bambini, che riteneva i veri poveri del nostro tempo. è stata una donna sempre pronta ad accogliere tutti, senza distinzioni: dai sacerdoti, ai vescovi, agli hippy, alle donne vittime di prostituzione, agli immigrati. Questa accoglienza dimostrava un’autentica passione per l’umanità, capace di accettare tutti e di perdonare le colpe di tutti. Come San Charles de Foucauld è stato il “fratello universale”, così Magdalene è stata “sorella di tutti”.
Rendiamo grazie a Dio per avere suscitato nella Chiesa del XX secolo questa grande testimone di amore, che ha vissuto in pienezza la radicalità evangelica, inserendosi pienamente nel mondo. Dobbiamo invocarla perché come lei, anche noi posiamo essere un’ancora di speranza e di certezza della fede. L’amicizia con Cristo e l’amicizia con gli uomini ci devono portare a riscoprire “l’amorevole contemplazione” del volto di Cristo nella quotidianità della nostra vita e del nostro tempo, chiusa nell’egoismo degli interessi e nell’autoreferenzialità della tecnologia e delle comunicazioni, alle quali ci si affida come se da lì venisse la salvezza dell’uomo. Al deserto delle nostre città – per usare un’espressione cara a Carlo Carretto – dobbiamo saper rispondere con la contemplazione del mistero di Gesù, con l’accoglienza verso tutti, facendo dell’Eucaristia la fonte e il culmine della nostra vita e della vita delle nostre comunità.
Guardando l’esempio della nostra Serva di Dio, facciamo nostra l’invocazione, con la quale Papa Francesco ha concluso la sua lettera enciclica Fratelli tutti: “Il nostro cuore si apra a tutti i popoli e le nazioni della terra, per riconoscere il bene e la bellezza che hai seminato in ciascuno di essi, per stringere legami di unità, di progetti comuni, di speranze condivise. Amen”.
Roma, Tre Fontane, 28 febbraio 2025
+ Fabio Fabene
Arcivescovo titolare di Montefiascone
Segretario del Dicastero