Omelia nella solennità della Natività di San Giovanni Battista

 

Della sua fede diede testimonianza con l’onestà della sua vita

Omelia nella solennità della Natività di San Giovanni Battista

 

Cari fratelli e sorelle,

celebriamo insieme, questa sera, la Natività di San Giovanni Battista, «il più grande fra i nati di donna», come lo definì lo stesso Signore Gesù (Mt 11, 11).

Il culto verso il Battista è molto antico e, fin dal secolo IV, è celebrato in tutta la Chiesa. Costantino l’imperatore gli dedicò numerose chiese e, fra le altre, il battistero lateranense, che diede il nome alla basilica che è Cattedrale del Vescovo di Roma. Fin dai tempi di Teodolinda, regina longobarda fra il VI e VII secolo, gli abitanti di Firenze identificarono nel Precursore di Gesù il loro santo patrono e dal secolo XI presero a celebrarne solennemente la festa il 24 giugno di ogni anno: intitolando a Giovanni Battista questa chiesa, il cui primo progetto risale al 1508, i Fiorentini a Roma vollero questo segno, che li teneva spiritualmente uniti alla Città dalla quale provenivano.

Nel calendario liturgico della Chiesa la natività di Giovanni Battista è l’unica solennità di natività insieme a quella del Signore. Il Natale del Messia al solstizio d’inverno, la nascita del suo Precursore al solstizio d’estate. D’altra parte, quella di Giovanni Battista è tra le figure che vantano più ricchezza di particolari e di rilievo nei Vangeli. Basti pensare come al miracolo della concezione di Giovanni fece riferimento l’arcangelo Gabriele nel suo annuncio a Maria, adducendolo come prova dell’onnipotenza divina.

I testi della Messa di oggi ed in particolare i brani della Sacra Scrittura mettono in luce il valore e le caratteristiche della missione del Precursore e lo fanno come di riflesso, quasi attraverso lo specchio dei profeti e dei salmisti dell’Antico Testamento. La vocazione di Isaia – con cui la liturgia della Parola ha avuto inizio – viene così assunta a paradigma della missione affidata a Giovanni. Quella del Precursore, come quella del Profeta, è una missione che deriva direttamente da Dio. Non fu lui da solo a maturare la decisione di cosa fare della propria vita; non fu lui, come non fu il rango della sua famiglia di provenienza; non decise nemmeno analizzando le esigenze ambientali e storiche del suo tempo. Giovanni fu il precursore del Messia perché così era il piano eterno, che lo aveva scelto fin dal grembo di sua madre: come il Servo sofferente del canto di Isaia, anche il Precursore riceve da Dio un nome, una chiamata ed una rivelazione. Il trattamento speciale che gli è riservato è tutto finalizzato alla missione che lo attende: far risplendere, davanti agli occhi di coloro che ascolteranno la sua parola, la gloria che appartiene a Dio. Giovanni si colloca quindi nella linea dei grandi Isaia, Geremia, Ezechiele e gli altri, scelti, formati, consacrati con l’unzione spirituale, guidati, ispirati e protetti da Dio. Fu così consacrato di Spirito Santo nel grembo materno: fu quello Spirito a farlo sussultare nel grembo di Elisabetta (Lc 1, 44). Venne preparato da Dio – così ci insegna la tradizione – mediante l’ascetismo spirituale del deserto, richiamo alla pagina antica di Israele, condotto ed educato come un ragazzo dopo la liberazione dall'Egitto (Os 11, 1-4), o alla parola del Cantico dei Cantici, per cui l’esperienza del deserto è Dio che parla nel profondo del cuore. La missione affidata ad ognuno di noi è nel disegno di Dio: soltanto nel rapporto con Dio ne possiamo scorgere i contorni e lasciarci guidare nel compierla.

Alla venuta di Cristo il compito di precursore cessò, ma in realtà la sua chiamata giungeva ad una maturazione più compiuta: alla venuta di Cristo, Giovanni doveva seguirlo, esattamente come prima gli aveva fatto da battistrada. Da precursore divenne discepolo, da annunciatore diventò testimone: con le parole e con i fatti, con la penitenza, la radicalità, la santità. Con la sua fortezza eroica, raffigurata nel timpano di questo altare dall’allegoria del Retti.

Giovanni ebbe l’umiltà e la saggezza di sentirsi solo un strumento, in ordine a Cristo. Nel racconto evangelico che abbiamo appena ascoltato ciò è contenuto in nuce: nella dinamica del vangelo di Luca, la nascita di Giovanni prelude a quella di Gesù, lui bambino annunciava la venuta di un altro bambino, il suo nome «Dio è misericordia» preludeva ad un altro nome, quello di Gesù, «Dio salva». La sua presenza nel mondo fu tutta relativa a quella dell’Altro.

Giovanni ebbe fede in Lui, una fede drammatica, fatta anche di dubbi e di domande, divenute preghiera. Della sua fede diede testimonianza con l’onestà della sua vita e, soprattutto, con il dono supremo di sé come martire della verità e della giustizia: nell’ora del banchetto di Erode divenne quanto mai chiara la virtù di quest’uomo, la sua capacità di testimoniare un Altro, «testimone della luce» (Gv 1, 7) ed «amico dello Sposo» (Gv 3, 29), come lo definisce il vangelo di Giovanni. Non attirò su di sé gli sguardi degli uomini ma orientò la loro attenzione verso Colui che doveva venire (Mt 11, 3). Scompariva, mentre il Figlio di Dio donava al mondo la sua parola. Donò la vita, prefigurando l’offerta di Cristo sulla croce. Fu attirato nel mistero della glorificazione di Cristo, che dopo tre giorni nel sepolcro, è risorto e vive per sempre. Giovanni insegna che chi svolge una qualsiasi forma di azione pubblica, come esercitare un’autorità, svolgere un apostolato o dedicarsi all’insegnamento, condurre un’opera di carità, commette un errore grossolano se tende a mettere in rilievo sé stesso, ad affermare la propria persona.

Eroica fu la fortezza di Giovanni Battista, ma altrettanto eroico fu il suo coraggio, la sua intraprendenza per promuovere il bene, il sottomettere il proprio tornaconto alla difesa della verità. Con la sua parola, a tratti sferzante, il Precursore voleva far comprendere ai suoi contemporanei che era venuto il tempo di cambiare rotta, voleva scuotere la loro pigrizia, altrimenti non avrebbero neppure percepito la presenza di una novità sconvolgente come quella di Gesù. Giovanni ci mostra dunque che per edificare il Regno di Dio non è sufficiente essere buoni, onesti e corretti, ma bisogna prendersi anche cura degli altri, nei limiti in cui intervenire ci riesce possibile, proficuo e producente. Non lavarci le mani, davanti a tanti uomini e donne che con le loro scelte si sono allontanati da Dio e dalla possibilità di essere felici. Ci vuole coraggio per non essere indifferenti, davanti a quelle “periferie” che – come ha più volte definito Papa Francesco – non sono geografiche, perché ci sono vicine, anzi tante volte ci siamo pure immersi, ma esistenziali: sono ferite, rassegnazioni, mediocrità, che ci chiedono la disponibilità a dare il nostro contributo per migliorare il mondo. 

Se tutti i profeti furono, come anche i patriarchi e i re di Israele, prefigurazione di Cristo, Giovanni li superò tutti, perché poté additare come presente l’Inviato del Padre. Segnalò la sua presenza e la sua attività, non in chiave profetica, ma dimostrativa. Anche noi siamo invitati dall’esempio del Precursore non solo ad annunciare Cristo agli altri attraverso le parole, ma a mostrarlo presente, vicino, con un modo di vivere conformato al vangelo di Cristo e capace di far trasparire quella gioia «che riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù»; la missione di ognuno di noi in famiglia, al lavoro e nei diversi contesti sociali in cui ci troviamo a vivere, è far vedere concretamente che «coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento» e che «con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia» (Evangelii Gaudium, 1). È Lui, nascosto nel povero e nel sofferente bisognoso, presente in ogni fratello e sorella, operante mediante i sacramenti e specialmente nell’Eucaristia. Non è il caso di contrapporre drasticamente la missione di Giovanni Battista quella di Gesù, come se la prima fosse tutta e solo caratterizzata dalla penitenza e la seconda tutta e solo caratterizzata dalla gioia messianica. Si tratta invece di un’unica missione in due tempi, quella che trova il suo contenuto nel progetto di Dio il quale vuole che tutto il mondo sia salvato: due tempi di un’unica storia, quella della Redenzione e della salvezza. 

Carissimi, oggi non celebriamo dunque soltanto una figura biblica di grande rilevanza, ma un vero e proprio Santo della Chiesa, che si presenta come guida dei credenti sulla via per incontrare il Salvatore. Oggi ci sentiamo come Zaccaria nel chiedere il dono della fede e il coraggio della testimonianza, perché possiamo anche noi esultare interiormente, raccontare le meraviglie di Dio e lodare la sua bontà e il suo amore. Facciamo nostre le parole di Sofronio di Gerusalemme (560ca.-638): «Grida ancora, o Battista, in mezzo a noi, come un tempo nel deserto. Grida ancora tra noi a voce più alta: noi grideremo, se tu griderai; taceremo, se tu tacerai. Ti preghiamo di sciogliere la nostra lingua incapace di parlare, come un tempo hai sciolto, nascendo, quella del padre Zaccaria. Ti scongiuriamo di darci voce per proclamare la tua gloria, come nascendo, l’hai data a lui per dire pubblicamente il tuo nome» (Le omelie, Roma 1991, p. 159)

 

Basilica di San Giovanni Battista dei Fiorentini, Roma, 24 giugno 2024

 

+ Fabio Fabene

Arcivescovo titolare di Montefiascone

Segretario del Dicastero