19 Martiri d'Algeria

19 Martiri d'Algeria

(†1994-2002)

Beatificazione:

- 08 dicembre 2018

- Papa  Francesco

Ricorrenza:

- 8 maggio

Pierre-Lucien Claverie, Vescovo di Oran, dell’Ordine dei Frati Predicatori, e 18 compagni religiosi e religiose di 8 diverse congregazioni, martiri: sono rimasti in Algeria negli anni bui del terrorismo, e integrati fra i musulmani, hanno testimoniato l’amore universale di Cristo fino al martirio, tra il 1991 e il 2002

  • Biografia
  • i martiri
  • omelia di beatificazione
“Nessuno può prenderci la vita perché l’abbiamo già donata”

 

Vivere fino in fondo i legami di fratellanza e di amicizia instaurati con gli algerini, restare accanto a loro e semplicemente esserci, coltivare il dialogo e offrire un segno di convivenza pacifica nonostante la guerra civile. Mossi da questi propositi religiosi, religiose, sacerdoti e consacrati decisero di non lasciare l’Algeria negli anni difficili del terrorismo. Quel decennio buio, iniziato nel 1991 e conclusosi nel 2002, fu costellato di attentati e sanguinosi scontri tra forze armate del governo (istituito dopo un colpo di Stato) e fondamentalisti islamici che costarono la vita al oltre 150 mila persone. Fra queste i 19 martiri (13 religiosi, fra cui un vescovo, e 6 religiose) che vengono beatificati oggi alle 13 a Orano, in Algeria, nel Santuario di Notre-Dame di Santa Cruz, dal card Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e inviato speciale del Papa. La Causa di beatificazione è stata avviata dopo il loro ricordo al Colosseo il 7 maggio del 2000, durante una celebrazione dedicata ai martiri del XX secolo. Integrati da anni fra la gente per testimoniare il loro amore gratuito – offrendo aiuto nelle forme più disparate e umili – volevano continuare ad essere semplicemente cristiani fra i musulmani, proseguire la loro vita di ogni giorno accanto ai vicini di casa, ai giovani, agli anziani o ai più disagiati. E invece il Gruppo islamico armato (Gia) li considerò nemici dell’islam e li uccise.

Tutto ebbe inizio nel 1991, quando alle elezioni legislative gli islamisti ottennero ampi consensi. Per evitare una loro maggioranza parlamentare e scongiurare così l’istaurazione di una Repubblica islamica, l’esito delle urne venne annullato e nel gennaio del ‘92 alcuni generali dell’esercito rovesciarono il potere. Per tutta risposta i fondamentalisti si organizzarono nel Gruppo islamico armato, allo scopo di terrorizzare e punire chiunque sostenesse il governo. Migliaia le vittime tra la popolazione civile, tra cui imam, intellettuali, artisti, giornalisti, medici, avvocati, giudici e insegnanti, ma anche donne e bambini. Il 30 ottobre 1993 l’organizzazione terroristica lanciò anche un ultimatum agli stranieri perché lasciassero l’Algeria nell’arco di un mese. In tanti, pressati dalle ambasciate, dovettero abbandonare il Paese, altri vollero rimanere. Il mirino fu così puntato su di loro.

 

Fratel Henri Vergès e suor Paul-Hélène Saint-Raymond

L’8 maggio del 1994, nella biblioteca della diocesi di Algeri, nella casbah, vengono assassinati fratel Henri Vergès e suor Paul-Hélène Saint-Raymond. Di quella biblioteca, frequentata da tantissimi studenti, fratel Henri era il responsabile. Di nazionalità francese, era stato anche direttore di una scuola e insegnante di matematica. Diceva: “È il mio impegno marista che mi ha permesso, malgrado i miei limiti, di inserirmi armoniosamente in un ambiente musulmano, e la mia vita in questo ambiente, a sua volta, mi ha fatto realizzare più profondamente come cristiano marista. Dio sia lodato”. Laureatasi in ingegneria prima di entrare fra le Piccole Sorelle dell’Assunzione, dopo i voti e gli studi per diventare infermiera, suor Paul-Hélène Saint-Raymond, anche lei francese, era arrivata in Algeria nel 1963. Nei quartieri poveri della capitale offriva assistenza ai più poveri e tra i suoi impegni c’era anche il lavoro con fratel Henri tra i giovani. Annunciare Cristo nella società musulmana significava per lei rispettare il credo dell’altro e al contempo approfondire la propria fede cristiana.

“ Nessuno può prenderci la vita perché l’abbiamo già donata ”

Suor Caridad Álvarez Martín e suor Ester Paniagua

Nel quartiere di Bab el-Oued, ad Algeri, suor Caridad Álvarez Martín e suor Ester Paniagua, agostiniane missionarie, spagnole, erano conosciute da tutti, sempre al fianco di anziani, bambini disabili e famiglie bisognose. Si stavano recando a Messa quando vengono uccise il 23 ottobre 1994. Suor Caridad era in Algeria da oltre trent’anni. “Sono aperta a ciò che Dio e i miei superiori vorranno da me. Maria è rimasta aperta alla volontà di Dio – affermava – in questo momento voglio restare con questa attitudine davanti a Dio”. E toccanti le parole di suor Ester – particolarmente dedita ai malati ed integratasi nella cultura araba – quando le si chiedeva se avesse paura della situazione nel Paese: “Nessuno può prenderci la vita perché l’abbiamo già donata”.

I quattro padri bianchi di Tizi Ouzou

Il 27 dicembre di quello stesso anno a Tizi Ouzou, nella Cabilia, nella piccola comunità dei padri bianchi l’irruzione di un gruppo di uomini armati. Immersi nelle loro attività quotidiane, muoiono i francesi padre Jean Chevillard, padre Alain Dieulangard, padre Christian Chessel e il belga padre Charles Deckers. “So che posso morire assassinato – osservava padre Jean mentre la violenza dilagava in Algeria –. La nostra vocazione è testimoniare la fede cristiana in terra musulmana. Per il resto ‘Inch Allah!’”. La gente di Tizi Ouzou li conosceva bene e li amava; padre Alain, missionario da anni, si dedicava all’insegnamento, padre Christian aveva messo su una biblioteca per studenti e padre Charles, che aveva imparato a parlare il berbero, gestiva un centro giovanile. Centinaia di musulmani presero preso parte alle loro esequie.

Suor Bibiane Leclerq e suor Angèle-Marie Littlejohn

Rientravano dopo essere state a messa suor Bibiane Leclerq e suor Angèle-Marie Littlejohn, missionarie di Nostra Signora degli Apostoli, quando il 3 settembre 1995, ad Algeri, vengono trucidate. Impegnate nell’orfanotrofio e nel collegio per ragazze gestito dalla loro Congregazione, le due religiose insegnavano taglio e cucito e ricamo, ma assistevano anche famiglie svantaggiate. “Sono le persone stesse che chiedono delle suore” spiegava la francese suor Bibiane quando le si chiedeva se restare o meno in Algeria. Nativa di Tunisi, suor Angèle-Marie era particolarmente amorevole con le giovani alle quali cercava di infondere l’amore per l’arte e del lavoro ben fatto. Poco prima di morire, a una religiosa che aveva condiviso con lei la propria paura aveva detto: “Non dobbiamo avere paura. Dobbiamo solo vivere bene il momento presente... Il resto non ci appartiene”.

Suor Odette Prévost

Poco più di due mesi dopo, il 10 novembre, ad Algeri, un terrorista spara a suor Odette Prévost, piccola sorella del Sacro Cuore. Di origini francesi, era stata in missione in diverse città del Maghreb e per comprendere meglio l’islam – la religione di quanti frequentava ogni giorno – leggeva il Corano e si era inserita in gruppi di preghiera di cristiani e musulmani. Consapevole del fatto che la sua vita fosse in pericolo, definiva il contesto socio-politico in cui si era ritrovata un “momento privilegiato per vivere con più verità, fedeltà a Gesù Cristo e al Vangelo”.

I sette padri trappisti di Tibhirine 

La storia dei sette monaci di Tibhirine è forse la più atroce. Rapiti la notte del 26 marzo 1996 nel loro monastero di Notre-Dame de l’Atlas, a una sessantina di km da Algeri, circa due mesi dopo, il 25 maggio, vengono ritrovate solo le loro teste nei pressi di Medea. Fratel Paul Favre-Miville, fratel Luc Dochier, p. Christophe Lebreton, fratel Michel Fleury, p. Bruno Lemarchand, p. Célestin Ringeard e p. Christian de Chergé sono stati sepolti nel cimitero del loro monastero il 4 giugno. La loro storia è stata narrata anche nel film Uomini di Dio, del 2010. La scelta di rimanere in Algeria, nonostante il crescente clima di terrore, l’avevano maturata in comune, dopo essersi confrontati a lungo e aver condiviso il loro personale e doloroso discernimento. Una decisione, la loro, che esprimeva il desiderio di stare insieme alla gente – che li considerava amici – e di condividere, soprattutto con i più poveri, i pericoli della violenza. Pur diversi tra loro, i religiosi di Tibhirine erano uniti dall’amore per il popolo algerino, dal rispetto per l’islam e dal desiderio di povertà. 

“ Dobbiamo prendere parte alla sofferenza e alla speranza dell’Algeria, con amore, rispetto, pazienza e lucidità ”

Mons. Pierre Claverie, vescovo di Orano

L’ultimo dei martiri cristiani in Algeria è il vescovo di Orano mons. Pierre Claverie, religioso domenicano. Viene ucciso l’1 agosto 1996 da un’autobomba, insieme al suo autista ed amico musulmano Mohammed Bouchikhi, davanti alla Curia della diocesi. Non si stancava mai di esortare i credenti a una convivenza pacifica nel rispetto dell’altro e l’impegno a favore del dialogo era al centro della sua vita. Nell’icona della Beatificazione dei 19 martiri d’Algeria c’è anche Mohammed, che aveva deciso di restare al fianco di mons. Claverie mettendo a rischio la propria vita. Un modo per ricordare che, negli anni bui del terrorismo, cristiani e musulmani sono morti per la stessa causa: non volevano far prevalere il terrore nella vita di tutti i giorni e desideravano rendere testimonianza a un dialogo possibile. Diceva mons. Claverie: “È ora che dobbiamo prendere parte alla sofferenza e alla speranza dell’Algeria, con amore, rispetto, pazienza e lucidità”. E ancora: “Il martirio è la più grande testimonianza d’amore. Non si tratta di correre verso la morte, né di cercare la sofferenza per la sofferenza... ma è versando il proprio sangue che ci si avvicina a Dio”.

Beatificazione dei martiri Mons. Pierre Claverie, O.P., Vescovo di Oran, e 18 compagni (religiosi e religiose) in Algeria

(8 dicembre 2018, Santuario di Notre-Dame de Santa Cruz, Oran, Algeria)

Omelia del Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi Card. Angelo Becciu

 

Cari fratelli e sorelle!

Il brano dell’Apocalisse (cfr Ap7,9-17), proclamato nella seconda lettura, ci presenta idealmente la «moltitudine immensa» (v.9) di coloro che hanno già raggiunto la meta dell’eterna salvezza verso cui noi tutti siamo incamminati: il regno della speranza, il regno di coloro che vedono Dio così come egli è. L’apostolo Giovanni nella sua visione ricca di simbologia li vede in piedi, davanti al trono di Dio, «avvolti in vesti candide», colore della luce divina e della gloria pasquale. Ma il candore delle vesti è ottenuto immergendole nel sangue rosso del Cristo: questi eletti hanno sperimentato la «grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello» (v.14). Lo splendore è raggiunto attraverso il crogiuolo della sofferenza, della donazione di sé, della croce. Partecipando alla passione e morte di Gesù, il re dei martiri, si giunge alla luce: per crucem ad lucem recita l’antico adagio cristiano. In questo modo viene completato nella «nostra carne quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24).

Nelle loro mani, questi salvati stringono una palma, che nell’antico Testamento è il segno del trionfo e dell’acclamazione; il dolore, l’impegno rigoroso della testimonianza, la rinuncia a se stessi non generano morte ma gloria, non producono fallimento ma vita e felicità. La scena dell’Apocalisse mostra poi il coro potente dei santi che cantano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello» (Ap7,10). Il testo dell’Apocalisse ci ha, così, delineato il ritratto del beato e del santo: egli appartiene solo a Dio, appare in ogni angolo della terra e in ogni epoca della storia, vive con fedeltà anche nella prova percorrendo la via della croce, giunge alla meta gloriosa dell’eternità ove per sempre vivrà nella gioia, nel canto, nella gloria, in quell’infinito gorgo di luce e di pace che è Dio.

Tra queste moltitudini che hanno raggiunto un destino di gloria, la Chiesa desidera chiamare oggi per nome 19 nuovi Beati, uccisi tra il 1994 e il 1996 in luoghi e tempi diversi ma nello stesso contesto turbolento. In questa terra, qui in Algeria, essi hanno annunciato l’amore incondizionato del Signore verso i poveri e gli emarginati, testimoniando la loro appartenenza a Cristo e alla Chiesa fino al martirio. E’ bello pensarli ora tra coloro che sono passati attraverso «la grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide col Sangue dell’Agnello» (v.10). Provenienti da otto Istituti diversi, questi nostri fratelli e queste nostre sorelle vivevano in questo Paese svolgendo diverse missioni e furono forti e perseveranti nel loro servizio al Vangelo e alla popolazione, nonostante il clima minaccioso di violenza e di oppressione che li circondava. Nel leggere le loro biografie si rimane colpiti nell’apprendere come tutti, pur consapevoli del rischio che li assediava, decisero coraggiosamente di restare al loro posto fino alla fine; in essi si sviluppò una forte spiritualità martiriale radicata nella prospettiva di sacrificare se stessi e offrire la propria vita per una società riconciliata e di pace.

I Beati Pierre Claverie e 18 compagni martiri portano su di sé il sigillo salvifico della Redenzione di Cristo. La Chiesa, iscrivendo i loro nomi nel libro dei salvati e dei Beati, desidera riconoscere l’esemplarità della loro vita virtuosa, l’eroismo della morte di questi straordinari operatori di pace e testimoni di fraternità e, al tempo stesso, rendere il supremo omaggio a Gesù, redentore dell’uomo. In Cristo, la Chiesa desidera adorare il Dio vivo: poiché la gloria di Dio è l’uomo che da Lui ha la pienezza di vita.

Questa pienezza di vita l’ha sperimentata in modo incomparabile la Vergine Maria - della quale oggi celebriamo l’Immacolata concezione - quando l’Arcangelo Gabriele le ha annunciato che Ella aveva trovato grazia presso Dio e che per opera dello Spirito Santo avrebbe concepito Gesù, il Figlio dell’Altissimo. «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,28). Anche noi oggi, contemplando questi nuovi Beati siamo invitati a rallegrarci ed esultare, perché in essi vediamo risplendere il mistero dell’eterna santità di Dio uno e trino, che a noi viene riproposta in una nuova attualizzazione del Vangelo che questi nostri martiri hanno testimoniato fino all’effusione del sangue. Li ricordiamo come fedeli discepoli di Cristo che sono stati amanti della povertà, sensibili verso la sofferenza, premurosi con gli abbandonati, partecipi dell’angoscia e dell’afflizione dei loro fratelli. Questi eroici testimoni dell’amore di Gesù si sono spinti fino alla radice dell’esperienza che l’uomo fa del proprio limite: l’umiliazione, il pianto, la persecuzione.

Si sono conformati pienamente al sacrificio di Cristo, identificato in Isaia con il Servo sofferente di Jahvè che, come abbiamo sentito nella prima lettura, offrendo «se stesso in sacrificio di riparazione […] dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e giustificherà molti» (Is 53,10b.11). Ciò avviene proprio mediante la Croce, poiché nella morte di Gesù Dio si è definitivamente avvicinato all’umanità e l’uomo ha acquistato piena coscienza della sua dignità ed elevazione. Con la loro morte da martiri, anche i nuovi Beati sono entrati nella luce di Dio e dall’alto vegliano sulle persone che hanno servito e amato, pregando incessantemente per tutti, anche per coloro che li hanno colpiti. Continuano così quella profetica missione della misericordia e del perdono, di cui sono stati testimoni nel corso della loro vita terrena. Il loro esempio susciti in tutti il desiderio di promuovere quella che il Santo Padre Francesco ha definito la «cultura della misericordia che dà vita ad una vera rivoluzione» (Lettera apostolica Misericordia et misera, n. 20). Considerando la dinamica del perdono, insita nel messaggio cristiano e vissuta mirabilmente dai nuovi Beati, noi auspichiamo e preghiamo che l’Algeria possa superare definitivamente quel terribile periodo di violenza e di afflizione.

La morte tragica dei Beati Pietro Claverie e dei 18 compagni martiri è un seme sparso nei momenti difficili, fecondato dalla sofferenza che porterà frutti di riconciliazione e di giustizia. Questa è la nostra missione di cristiani: seminare ogni giorno il seme della pace evangelica, per gioire dei frutti della giustizia. Con questa Beatificazione noi vorremmo dire all’intera Algeria solo questo: la Chiesa non desidera altro se non servire il popolo algerino, testimoniando amore verso tutti.

In ogni angolo della terra, i cristiani sono animati dal desiderio di portare il loro concreto contributo per costruire un futuro luminoso di speranza con la saggezza della pace, per edificare una società fondata sul rispetto reciproco, sulla collaborazione, sull’amore. Questa società potrà diventare realtà piena se ognuno si sforzerà di sviluppare la pedagogia del perdono, tanto necessaria anche in questo Paese.

La comunità cristiana in questo Paese sparge piccoli ma significativi semi di pace. Da questa Beatificazione, essa possa sentirsi rafforzata nella sua presenza in Algeria; da questi 19 martiri si rafforzi nella convinzione che la preziosa presenza presso questo popolo è giustificata dal desiderio di essere luce e segno dell’amore di Dio per l’intera popolazione.

La testimonianza luminosa di questi Beati costituisce un esempio vivo e vicino per tutti. La loro vita e la loro morte è un appello diretto a tutti noi cristiani e in particolare a voi, fratelli o sorelle di vita Religiosa, ad essere fedeli ad ogni costo alla propria vocazione, servendo il Vangelo e la Chiesa in una vita di vera fraternità, nella perseveranza e nella testimonianza della scelta radicale di Dio.

Non posso terminare senza esprimere un vivo ringraziamento alle Congregazioni religiose a cui questi nostri fratelli appartenevano come pure alle loro famiglie naturali che tanto hanno sofferto per la loro perdita, ma che ora possono gioire con tutta la Chiesa per saperli Beati in Cielo. Siamo tutti confortati dalla certezza che questi nostri fratelli e queste nostre sorelle Martiri, con il loro sacrificio, con la loro costante intercessione e con la loro protezione faranno crescere in questa terra copiosi frutti di bontà e di condivisione fraterna.

Per questo ci rivolgiamo a loro e diciamo: Beati Pietro Claverie e 18 compagni e compagne martiri, pregate per noi!