Agostina Livia Pietrantoni

Agostina Livia Pietrantoni

(1864-1894)

Beatificazione:

- 12 novembre 1972

- Papa  Paolo VI

Canonizzazione:

- 18 aprile 1999

- Papa  Giovanni Paolo II

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 13 novembre

Vergine, religiosa della Congregazione delle Suore della Carità di S. Giovanna Antida Thouret, morì non ancora 30enne pugnalata da un suo assistito all'ospedale Santo Spirito di Roma

  • Biografia
  • Omelia
  • dio come bussola di vita
  • omelia di beatificazione
Disposta a qualunque sacrificio, testimone eroica della carità, pagò con il sangue il prezzo della fedeltà all'Amore

 

27 marzo 1864: nel piccolo paese di Pozzaglia Sabina, 800 metri di altitudine, nella bella zona geografica tra Rieti, Orvinio, Tivoli, nasce e viene battezzata Livia: seconda di 11 figli! Francesco Pietrantoni e Caterina Costantini, i genitori, piccoli agricoltori, lavorano la loro terra e qualche appezzamento in affitto. L'infanzia e la giovinezza di Livia respirano i valori della famiglia onesta, laboriosa, religiosa, e sono segnati soprattutto dalla saggezza di nonno Domenico, vera icona patriarcale nella casa benedetta, dove "tutti badavano a fare bene e si pregava spesso... ".

A quattro anni, Livia riceve il sacramento della Cresima e intorno al 1876 fa la sua prima comunione, con una consapevolezza certamente straordinaria a giudicare dalla sua vita successiva di preghiera, di generosità, di donazione. Presto impara da mamma Caterina le attenzioni e i gesti della maternità che esprime con dolcezza tra i numerosi fratellini, nella grande famiglia, dove tutti sembrano avere diritto al suo tempo e al suo aiuto. Lavora nei campi e si prende cura degli animali... Conosce perciò poco i giochi e... la scuola, eppure riesce a trarre un grande profitto dalla sua irregolare frequenza, tanto da meritare, dalle sue compagne, il titolo di " professora".

A sette anni inizia a " lavorare ", con altri bambini, trasportando a migliaia, secchi di ghiaia e sabbia per la costruzione della strada Orvinio-Poggio Moiano. A dodici, parte con le altre giovanette " stagionali " che nei mesi invernali si recano a Tivoli, per la raccolta delle olive. Livia, precocemente saggia, assume la responsabilità morale e religiosa delle giovani compagne, le sostiene nella durezza del lavoro, lontano dalla famiglia e dal paese, tiene testa con fierezza e coraggio a " caporali " prepotenti e senza scrupoli.

Livia è una ragazza piacevole per la saggezza, il senso dell'altro, la generosità, la bellezza... e diversi giovani, in paese, hanno gli occhi su di lei. A mamma Caterina non sfuggono gli sguardi di ammirazione e sogna una buona collocazione per la figlia. Ma Livia cosa pensa? Quale segreto custodisce? Perché non sceglie? Perché non decide? "Livia... fatta audace dalla voce che parla dentro, la vocazione, si arrende: Cristo sarà l'amore, Cristo lo Sposo... ". La sua ricerca si orienta verso una vita di sacrificio. A chi, in famiglia e nel paese, vuole distoglierla dalla sua decisione, definendola una fuga dalla fatica, Livia risponde " Voglio scegliere una congregazione dove c'è lavoro per il giorno e la notte " e tutti sono certi dell'autenticità di queste parole. Un primo viaggio a Roma, in compagnia dello zio fra Matteo, si conclude con una delusione cocente: il rifiuto di accoglierla. Qualche mese dopo però, la Superiora generale delle Suore della Carità di S. Giovanna Antida Thouret, la Madre Giuseppina Bocquin, le fa sapere che l'aspetta nella Casa generalizia di Via S. Maria in Cosmedin. Livia avverte che questa volta l'addio è per sempre. Con emozione saluta i paesani, ogni angolo del villaggio, i luoghi di preghiera: la Parrocchia, la Madonna della Rifolta; abbraccia i suoi famigliari; in ginocchio riceve la benedizione di nonno Domenico, " bacia la porta della sua casa, vi traccia un segno di croce, e corre via".

23 marzo 1886. Livia ha 22 anni, quando arriva a Roma, via S. Maria in Cosmedin. Alcuni mesi di Postulato e di Noviziato bastano per provare che la giovane ha la stoffa della Suora della Carità, cioè della " serva dei poveri ", secondo la tradizione di S. Vincenzo de' Paoli e di S. Giovanna Antida. Livia porta infatti in convento, dall'eredità famigliare, un materiale umano particolarmente solido, che offre ogni garanzia. Quando veste l'abito religioso e le viene imposto il nuovo nome di Suor Agostina, si accorge che dovrà essere lei ad incarnare una santa con tale nome: non le risulta infatti una Santa Agostina!

Inviata all'ospedale S. Spirito, glorioso per la sua storia di 700 anni e definito " il ginnasio della carità cristiana ", Suor Agostina aggiunge il suo contributo personale sulle orme dei santi che l'hanno preceduta tra i quali Carlo Borromeo, Giuseppe Calasanzio, Giovanni Bosco, Camillo De Lellis... e in quel luogo di dolore esprime la carità fino all'eroismo.

Il clima in ospedale è ostile alla religione: la questione romana avvelena gli animi: vengono cacciati i Padri Cappuccini, viene bandito il Crocifisso e ogni altro segno religioso... Si vorrebbero allontanare anche le Suore, ma si teme l'impopolarità: a loro si rende la vita " impossibile " ed è proibito parlare di Dio. Suor Agostina però, non ha bisogno della bocca per " gridare Dio " e nessun bavaglio può impedire alla sua vita di annunciare il Vangelo! Il suo servizio, prima nel reparto dei bambini e, dopo il contagio mortale, da cui miracolosamente guarisce, nella corsia di disperazione e di morte dei tubercolosi, esprime la sua totale dedizione e la sua straordinaria attenzione ad ogni paziente, soprattutto ai più difficili, violenti e osceni, come il " Romanelli ".

In segreto, in un piccolo angolo nascosto, ha trovato un posto alla Vergine Maria perchè rimanga nell'ospedale; a lei affida i suoi " raccomandati " e le promette altre veglie, maggiori sacrifici, per ottenere la grazia della conversione per i più ostinati. Quante volte le ha presentato Giuseppe Romanelli? È il peggiore di tutti, il più volgare ed insolente, soprattutto con Suor Agostina che moltiplica, a suo riguardo, le attenzioni ed accoglie con grande bontà la mamma cieca quando viene a visitarlo. Da lui ci si può aspettare di tutto, tutti ne sono infastiditi. Quando, dopo un'ennesima bravata a danno delle donne della lavanderia, il Direttore lo espelle dall'ospedale, la sua rabbia vuole trovare un bersaglio e la inerme Suor Agostina è la vittima designata. " Ti ucciderò con le mie mani! ", " Suor Agostina, non hai più che un mese da vivere! " sono le minacciose espressioni che le fa giungere a più riprese, attraverso biglietti.

Romanelli non scherza affatto, ma neppure Suor Agostina fissa limiti alla sua generosità per il Signore... È pronta a pagare perciò, con la sua vita, il prezzo dell'amore, senza fughe, senza accuse... Quando il Romanelli, la sorprende e la colpisce crudelmente, senza scampo, quel 13 novembre 1894, dalle sue labbra escono solo l'invocazione alla Vergine e le parole del perdono.

PROCLAMAZIONE DI TRE NUOVI BEATI: 
MARCELLINO BENEDETTO CHAMPAGNAT, DON GIOVANNI CALABRIA, 
E SUOR AGOSTINA LIVIA PIETRANTONI

OMELIA DI GIOVANI PAOLO II

Piazza San Pietro - Domenica, 18 aprile 1999

 

1. "Prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero" (Lc 24, 30-31)

Abbiamo poc'anzi riascoltato queste parole del Vangelo di Luca: esse raccontano l'incontro di Gesù con due discepoli in cammino verso il villaggio di Emmaus, il giorno stesso della risurrezione. Quest'inatteso incontro fa scaturire la gioia nel cuore dei due viandanti sconsolati e riaccende in essi la speranza. Il Vangelo riferisce che, quando lo riconobbero, partirono "senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme" (Lc 24, 33). Sentivano il bisogno di informare gli Apostoli di "ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane" (Lc 24, 35).

Il desiderio di rendere testimonianza a Gesù sgorga nel cuore dei credenti dall'incontro personale con Lui. E' quanto è avvenuto per i tre nuovi Santi, che oggi ho la gioia di elevare alla gloria degli altari: Marcellino Benedetto Champagnat, Giovanni Calabria ed Agostina Livia Pietrantoni. Essi hanno aperto i loro occhi dinanzi ai segni della presenza di Cristo: lo hanno adorato ed accolto nell'Eucaristia, lo hanno amato nei fratelli più bisognosi, hanno riconosciuto le tracce del suo disegno di salvezza negli eventi dell'esistenza quotidiana.

Hanno ascoltato le parole di Gesù ed hanno coltivato la sua compagnia sentendosi ardere il cuore in petto. Quale fascino indescrivibile esercita la misteriosa presenza del Signore in quanti lo accolgono! E' l'esperienza dei santi. E' la stessa esperienza spirituale che possiamo fare noi, incamminati sulle strade del mondo verso la patria celeste. Pure a noi il Risorto viene incontro con la sua Parola, rivelandoci il suo amore infinito nel Sacramento del Pane eucaristico, spezzato per la salvezza dell'intera umanità. Possano gli occhi del nostro spirito aprirsi alla sua verità ed al suo amore, come è avvenuto per Marcellino Benedetto Champagnat, per don Giovanni Calabria e per Suor Agostina Livia Pietrantoni.

2. "Notre coeur n'était-il pas tout brûlant au-dedans de nous, quand il nous expliquait les Écritures?". Ce désir brûlant de Dieu qui habitait les disciples d'Emmaüs se manifesta vivement chez Marcellin Champagnat, qui fut un prêtre saisi par l'amour de Jésus et de Marie. Grâce à sa foi inébranlable, il est resté fidèle au Christ, même dans les difficultés, au milieu d'un monde parfois dénué du sens de Dieu. Nous sommes appelés, nous aussi, à puiser notre force dans la contemplation du Christ ressuscité, en nous mettant à l'école de la Vierge Marie.

Saint Marcellin annonça l'Évangile avec un coeur tout brûlant. Il fut sensible aux besoins spirituels et éducatifs de son époque, spécialement à l'ignorance religieuse et aux situations d'abandon que connaissait particulièrement la jeunesse. Son sens pastoral est exemplaire pour les prêtres: appelés à proclamer la Bonne Nouvelle, ils doivent être également pour les jeunes, qui cherchent un sens à leur existence, de véritables éducateurs, accompagnant chacun d'entre eux sur la route et leur expliquant les Écritures. Le Père Champagnat est aussi un modèle pour les parents et les éducateurs, les aidant à porter un regard plein d'espérance sur les jeunes, à les aimer d'un amour total, qui favorise une véritable formation humaine, morale et spirituelle.

Marcellin Champagnat nous invite aussi à être des missionnaires, pour faire connaître et aimer Jésus Christ, comme le firent les frères maristes jusqu'en Asie et en Océanie. Avec Marie pour guide et pour Mère, le chrétien est missionnaire et serviteur des hommes. Demandons au Seigneur d'avoir un coeur aussi brûlant que Marcellin Champagnat, pour le reconnaître et pour être ses témoins.

3. "Questo Gesù Dio l'ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni" (At 2, 32).

"Noi tutti ne siamo testimoni": chi parla è Pietro, a nome degli Apostoli. Nella sua voce riconosciamo quelle di innumerevoli altri discepoli, che nel corso dei secoli hanno fatto della loro vita una testimonianza del Signore morto e risorto. A questo coro si uniscono i santi oggi canonizzati. Si unisce don Giovanni Calabria, testimone esemplare della Risurrezione. In lui risplendono fede ardente, carità genuina, spirito di sacrificio, amore alla povertà, zelo per le anime, fedeltà alla Chiesa.

Nell'anno del Padre, che ci introduce nel Grande Giubileo del Duemila, siamo invitati a dare massimo risalto alla virtù della carità. L'esistenza di Giovanni Calabria è stata tutta un vangelo vivente, traboccante di carità: carità verso Dio e carità verso i fratelli, specialmente verso i più poveri. Sorgente del suo amore per il prossimo erano la fiducia illimitata ed il filiale abbandono che nutriva per il Padre celeste. Ai suoi collaboratori amava ripetere le parole evangeliche: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" (Mt 6, 33).

4. L'ideale evangelico della carità verso il prossimo, specialmente verso i piccoli, i malati, gli abbandonati, ha condotto anche Agostina Livia Pietrantoni alle vette della santità. Formata alla scuola di santa Giovanna Antida Thouret, Suor Agostina comprese che l'amore per Gesù domanda il generoso servizio verso i fratelli. E' infatti nel loro volto, specialmente in quello dei più bisognosi, che brilla il volto di Cristo. "Dio solo" fu la "bussola" che orientò tutte le sue scelte di vita. "Tu amerai", il primo e fondamentale comandamento posto all'inizio della "Regola di vita delle Suore della Carità", fu la fonte ispiratrice dei gesti di solidarietà della nuova Santa, la spinta interiore che la sostenne nel dono di sé agli altri.

Nella prima Lettera di Pietro, poc'anzi ascoltata, leggiamo che la redenzione è avvenuta non "a prezzo di cose corruttibili, come l'argento e l'oro", ma per "il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia" (1Pt 1, 19). La consapevolezza dell'infinito valore del Sangue di Cristo, sparso per noi, indusse santa Agostina Livia Pietrantoni a rispondere all'amore di Dio con un amore altrettanto generoso e incondizionato, manifestato nell'umile e fedele servizio ai "cari poveri", come essa soleva ripetere.

Disposta a qualunque sacrificio, testimone eroica della carità, pagò con il sangue il prezzo della fedeltà all'Amore. Possano il suo esempio e la sua intercessione ottenere per l'Istituto delle Suore della Carità, che celebra quest'anno il secondo centenario di fondazione, un rinnovato slancio apostolico.

5. "Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino" (Lc 24, 29). I due stanchi viandanti supplicarono Gesù di sostare nella loro casa per condividere la loro stessa mensa.

Resta con noi, Signore risorto! E' questa anche la nostra quotidiana aspirazione. Se tu rimani con noi, il nostro cuore è in pace.

Accompagnaci, come hai fatto con i discepoli di Emmaus, nel nostro cammino personale ed ecclesiale.

Aprici gli occhi, affinché sappiamo riconoscere i segni della tua ineffabile presenza.

Rendici docili all'ascolto del tuo Spirito. Nutriti ogni giorno del tuo Corpo e del tuo Sangue, sapremo riconoscerti e ti serviremo nei nostri fratelli.

Maria, Regina dei Santi, aiutaci a tenere la nostra fede e la nostra speranza fisse in Dio (cfr 1 Pt 1, 21).

San Marcellino Benedetto Champagnat, san Giovanni Calabria e santa Agostina Livia Pietrantoni pregate per noi!

"Dio solo" fu la "bussola" che orientò tutte le sue scelte di vita. "Tu amerai", il primo e fondamentale comandamento posto all'inizio della "Regola di vita delle Suore della Carità"

SOLENNE BEATIFICAZIONE DI SUOR AGOSTINA PIETRANTONI

OMELIA DI PAOLO VI

Domenica, 12 novembre 1972

 

O Fratelli! O Sorelle! Poesia dovrebbe essere il nostro discorso! Parola che cede al silenzio la pienezza ineffabile del suo significato.

Poiché l’atto liturgico e ufficiale che noi ora abbiamo compiuto, quello di autorizzare la Famiglia religiosa delle Suore della Carità, e con lei la Chiesa Romana e la Chiesa di Dio a celebrare Beata l’umile Suora Agostina Pietrantoni, ci riempie di ammirazione e di commozione, che superano la capacità espressiva del linguaggio ordinario, e narrando una storia, che pare leggenda, tanto è semplice, limpida, pura, amorosa, e alla fine tanto è dolorosa e tragica, anzi, ancor più, tanto è simbolica, la parola vorrebbe farsi canzone, come quella che lascia intravedere il profilo di una fanciulla innocente, di una vergine candida e taciturna, di una sposa votata all’Amore assoluto, d’una donna forte, che fa dono della propria vita alla carità dei poveri e degli infermi, d’una vittima inerme del proprio quotidiano eroico servizio, paga che a soli trent’anni si compia il suo intimo voto di fare della propria vita martirio a Gesù, testimonianza a quanti hanno occhi per vedere, cuore per comprendere, a noi, dunque, a noi tutti.

Ma poeti non siamo. Ciascuno di voi, che conosca il profilo biografico della nuova Beata, e ciascuna di voi Sorelle sue specialmente, che per tanti titoli ne seguite gli esempi e ne condividete le esperienze, può comporre questo cantico dolce e pio.

La prima strofa è un ritmo georgico. C’era una volta, e ancora c’è con volto nuovo, un villaggio chiamato Pozzaglia, nei colli della Sabina, circondato da poveri campi e da ulivi d’argento; c’era una Parrocchia, oggi gloriosa, che dava a quel popolo buono fede e preghiera, un’anima cristiana; e c’era là una casa benedetta, nido pieno di voci infantili, tra le quali, precocemente saggia, quella di Oliva, chiamata poi Livia, che cambierà il nome domestico in quello religioso di Agostina, la nostra Beata; una casa dove, secondo una rustica, ma espressiva testimonianza, «tutti badavano a far bene e si pregava spesso». Qui piacerebbe sostare, e ascoltare la lezione del paesaggio e quella del focolare, e incontrare lei, vederla e conoscerla alla scuola della vita vissuta; quadro idilliaco, se non sapessimo quanto aggravato di cure familiari e di pesante lavoro.

Poi il canto si fa sommesso, e sembra un segreto respiro, un monologo, un dialogo da innamorati. Dobbiamo attingerlo alla Sacra Scrittura per indovinarne alcune sillabe: «La voce del mio diletto! Ecco egli viene, a salti per i monti, a balzi per i poggi . . . Parla il mio diletto e mi dice: sorgi, affrettati, amica mia, colomba mia, bella mia, e vieni!» (Cant. 2, 8, 10). Il «Cantico dei Cantici» ci insegna certi sentieri della lirica amorosa, che trascendono dall’orizzonte dei sentimenti umani a quello del colloquio contemplativo. Livia schiva, timida e pudica, ma fatta audace dalla voce che parla dentro, la vocazione, si arrende: Cristo sarà l’amore, Cristo lo Sposo. Qui la vostra attenzione si fa più avida, e quasi indiscreta! Livia, Suor Agostina, dì a noi qualche cosa di cotesto segreto: che cosa è una vocazione? come sorge? come si ascolta, come può una vocazione tutto chiedere, tutto dare e riempire il cuore d’una ragazza pia, onesta, laboriosa, ma priva di cultura più che elementare e senz’altra assistenza spirituale che quella ordinaria e comune ad una fedele parrocchiana, come riempirlo di tanta sicurezza, di tanto coraggio, di tanta incomprensibile felicità?

L’interesse di questo caso agiografico sveglia in noi quello d’ogni altro caso simile, e non più poetico, ma un interesse psicologico e scientifico. La vocazione religiosa, che qui troviamo quasi in un pronunciamento spontaneo, come si spiega? incantesimo devoto, favorito dalla estrema semplicità dell’esperienza esteriore? follia giovanile, sempre predisposta a scelta fuori della normalità? intuizione dell’Amore assoluto, che supera il linguaggio nativo dell’istinto, della passione, dell’imitazione, dell’interesse, e si pone come necessario e sufficiente? donde questa magia interiore e che spinge, fuori d’ogni pavidità, al rischio e all’avventura dell’eroismo? quali sono i vincoli dell’amore, i funiculi caritatis (Cfr. Os. 11, 4), che hanno spezzato i vincoli della vanità, i funiculi vanitatis (Is. 5, 18), che sembrano per un cuore di giovane donna infrangibili? L’interrogazione rimane sospesa e attende erudita adeguata risposta dei maestri di spirito; ma intanto riprenderemo il nostro canto menzionando, non fosse che con note troppo fugaci, due coefficienti d’una vocazione virginale e generosa, quale ammiriamo nella Beata Agostina; uno esteriore, l’ambiente propizio, per Livia Pietrantoni, arcaico ed agreste, nel quale il costume cristiano aveva espressione tanto spoglia di agi moderni, quanto adorna di umane virtù; l’altro coefficiente è interiore e misterioso, la grazia; la grazia specifica della vocazione, un carisma, una voce, «che non tutti sanno cogliere» (Matth. 10, 11; 1 Cor. 7, 7).

Oggi questi due coefficienti difficilmente si accordano; ambiente esteriore e voce interiore; ed è il loro disaccordo una delle cause che fanno registrare la diminuzione delle anime valorose, che offrono a Dio e al servizio del prossimo la loro vita. Ma non è da sperare che l’esempio di Suor Agostina renda sensibili, anche in mezzo al fragore febbrile e alle provocazioni profane del costume moderno, anime nuove al richiamo incessante e incomparabile del divino Maestro da un lato, del fratello bisognoso dall’altro?

Livia aveva ascoltato e partì. Qui il canto intreccia l’elegia al salmo. Livia bacia la porta della sua casa, vi traccia un segno di croce, e corre via. Sembra che l’eco delle parole di Gesù risuoni nell’aria: Se uno non lascia «suo padre e sua madre e la moglie e i figli e i fratelli e le sorelle, e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo». Questo primo momento è il più acutamente sentito per chi vuol essere seguace della vocazione; e la piaga dello strappo rimarrà quèta, ma aperta tutta la vita. E a tanto dolore non è, lì per lì, rimedio il genere di esistenza che comincia e che non finirà più, la vita religiosa, con l’abito impossibile, con l’orario inflessibile, con l’obbedienza implacabile, con la vita comune spesso intollerabile, con il lavoro umiliante e incessante. L’eco continua: «e chi non porta la sua croce e non mi segue, non può essere mio discepolo» (Luc. 14, 26-28).

Ma dov’è arrivata questa ingenua fuggitiva? Oh! chi non lo sa? è arrivata fra le Suore della Carità di S. Giovanna Antida Thouret. E qui il canto squilla di vivacità, di entusiasmo e di gioia. Sono le Suore che ben conosciamo, della Carità, le quali, anch’esse nel nome di San Vincenzo de’ Paoli, emule e sorelle delle Figlie della Carità, hanno, com’è stato ben detto, «l’intelligenza del Povero»! Parola del Salmo: «Beato colui che ha l’intelligenza del misero e del Povero» (Ps. 40, 2). Vaticinio che precede le beatitudini evangeliche e ne prolunga nei secoli la risonanza suscitando nella Chiesa di Cristo opere come questa della Thouret, educatrice delle sue Religiose, col grido di «Dio solo!» ad un paradossale proposito: volare! «Le Suore - dice la Santa Fondatrice - voleranno a soccorrere l’indigenza con tutto il loro potere!».

Ed ecco sorgere una delle più fiorenti famiglie religiose del cattolicesimo in questi ultimi tempi, che col benessere della nuova società hanno ad essa svelato ed anche in parte prodotto innumerevoli sofferenti, bisognosi, derelitti, piccoli ed anziani, da assistere, da ospitare, da curare, da amare e, come suona l’impegno delle Suore della Carità, da glorificare. Il programma non era nuovo nella Chiesa; l’ospedale di Santo Spirito, primo nel suo genere, lo attesta; e qui, eredi d’una tradizione secolare, le Suore della Carità trovarono un campo di lavoro estremamente fecondo di dolore umano, di perizia medica e di amore evangelico. Qui Agostina ebbe ciò che desiderava: consumarsi nel sacrificio di sé per il bene del prossimo sofferente; qui condivise con i suoi malati tubercolotici la loro condanna, allora inguaribile, qui per sette anni si prodigò, umile, gentile, indefessa, col presentimento, anzi col preannuncio, della sua perfida e tragica fine: il 13 novembre 1894.

Conoscete la barbara storia che spegne sotto le coltellate la sua giovane e candida vita, e intreccia sul suo capo la duplice corona di vergine e martire.

Ritornano alla mente le parole celebri di Sant’Ambrogio in onore di Sant’Agnese: «(oggi) è il giorno natalizio d’una vergine; seguiamone la purezza. È il giorno natalizio d’una martire: offriamo il nostro culto al Signore» (S. AMBR. De virginibus, 2). Roma allora si scosse, ritrovò il suo epico fervore, e tributò all’ignota Agostina, vittima del suo dovere, del suo amore a Cristo ed alla sofferenza degli altri, un improvviso trionfo. Oggi la Chiesa lo ratifica e lo celebra, e autorizzando il culto dell’umile ed impavida Agostina Pietrantoni presenta in lei chi sia la Suora di Carità. Sì, è il giorno della Suora di Carità, il vostro giorno, seguaci di Santa Giovanna Antida, e con voi di quante Religiose, con pari pietà religiosa, con pari cuore generoso s’immolano fino a totale sacrificio di sé, per la vita e per la morte, sull’altare di Cristo con la formula evangelica sua propria: servire per amore, sacrificarsi per il bene altrui, nulla chiedere per sé, se non quel centuplo, che solo la vita oltre questa vita garantisce per l’eternità.

Onoriamo Agostina. Salutiamo tutte le sue Sorelle, e quante figlie della santa Chiesa, con analoga oblazione, fanno sacrificio di sé per conforto dell’umano dolore. Invitiamo il popolo a riconoscere in queste povere e grandi donne, tanto spesso deprezzate e disprezzate, le più pure, le più valenti, le più buone figlie della nostra terra, resa ancora da loro piae hostiae castitatis (IDEM Exh. Virg., 94) altare della fede e della carità.

* * *

Aux filles de sainte Jeanne-Antide Thouret, qui se réjouissent aujourd’hui de voir l’une des leurs élevée sur les autels, sont venus se joindre aujourd’hui des religieuses de divers instituts - que nous encourageons avec affection à suivre la voie des conseils évangéliques - et de nombreux pèlerins que nous tenons également à saluer. Nous savons leur souci de fidélité à la foi catholique, à l’Eglise, au Siège de Pierre. Aussi est-ce de grand cœur que nous les invitons à rejoindre, parmi leurs frères et sœurs catholiques et en collaboration confiante avec leurs Evêques - qui gardent la responsabilité de l’ensemble de la pastorale - l’immense effort conciliaire auquel toute l’Eglise est invitée. Celui-ci doit s’accomplir dans la vérité et la charité, avec une volonté de ressourcement spirituel et de témoignage apostolique, pour redonner sans cesse à l’Eglise son authentique visage et lui permettre d’annoncer la Bonne Nouvelle du Sauveur à ceux qui sont proches d’elle comme à ceux qui sont loin (Cfr. Act. 2, 39).