Álvaro del Portillo y Diez de Sollano

Álvaro del Portillo y Diez de Sollano

(1914-1994)

Beatificazione:

- 27 settembre 2014

- Papa  Francesco

Ricorrenza:

- 12 maggio

Vescovo titolare di Vita, prelato della Prelatura personale della Santa Croce e dell’Opus Dei; Per tutta la vita lavorò senza sosta, prima come ingegnere, poi come sacerdote e negli ultimi anni come vescovo, dando sempre un senso sopranaturale al suo operato, nel quale cercava la gloria di Dio e il bene del prossimo.

  • Biografia
  • LETTERA DI PAPA FRANCESCO
  • omelia di beatificazione
"Grazie, perdono, aiutami di più!"

 

Nacque a Madrid (Spagna) l’11 marzo 1914, in una famiglia numerosa dalle profonde radici cristiane.

Era tecnico delle opere pubbliche, dottore in ingegneria civile e dottore in lettere (sezione di storia) e in Diritto canonico.

Dal 1935 fece parte dell’Opus Dei e cercò di vivere sempre con lealtà e fedeltà la vocazione cristiana, nel lavoro e nel compimento dei doveri quotidiani, avvicinando a Dio i compagni di studio, i colleghi e molte altre anime. Il 25 giugno 1944 fu ordinato sacerdote e da allora si prodigò nel compimento del ministero pastorale.

Negli anni in cui guidò l’Opus Dei, Álvaro del Portillo promosse l’inizio delle attività pastorali della prelatura in 20 nuovi paesi e incoraggiò l'avvio di numerose iniziative sociali ed educative nei 5 continenti. La sua attività di governo fu caratterizzata da una profonda comunione con il Papa e con gli altri vescovi, da una fedeltà assoluta al fondatore e al suo messaggio e da un impegno pastorale instancabile.

Morì all’alba del 23 marzo 1994, poche ore dopo il rientro da un pellegrinaggio in Terra Santa, dove aveva seguito con intensa devozione il cammino terreno percorso da Gesù.

LETTERA DI PAPA FRANCESCO
A S. E. MONS. JAVIER ECHEVARRÍA, PRELATO DELL'OPUS DEI,
IN OCCASIONE DELLA BEATIFICAZIONE DI ÁLVARO DEL PORTILLO

 

16 giugno 2014

 

Caro fratello:

La beatificazione del servo di Dio Álvaro del Portillo, collaboratore fedele e primo successore di san Josemaría Escrivá alla guida dell'Opus Dei, è un momento di gioia speciale per tutti i fedeli della Prelatura, come pure per te, che sei stato così a lungo testimone del suo amore a Dio e agli altri, della sua fedeltà alla Chiesa e alla propria vocazione. Desidero unirmi anch'io alla vostra gioia e rendere grazie a Dio che adorna il volto della Chiesa con la santità dei suoi figli.

La sua beatificazione avverrà a Madrid, la città in cui nacque e in cui trascorse l'infanzia e la giovinezza, con un'esistenza forgiata nella semplicità della vita famigliare, nell'amicizia e nel servizio agli altri, come quando si recava nei quartieri estremi per collaborare alla formazione umana e cristiana di tante persone bisognose. Lì, soprattutto, ebbe luogo l'evento che segnò definitivamente l'indirizzo della sua vita: l'incontro con san Josemaría Escrivá, dal quale imparò a innamorarsi di Cristo ogni giorno di più. Sì, innamorarsi di Cristo. Questo è il cammino di santità che deve percorrere ogni cristiano: lasciarsi amare dal Signore, aprire il cuore al suo amore e permettere che sia lui a guidare la nostra vita.

Mi piace ricordare la giaculatoria che il servo di Dio era solito ripetere, specialmente nelle feste e negli anniversari personali: «grazie, perdono, aiutami di più!». Sono parole che ci avvicinano alla realtà della sua vita interiore e del suo rapporto con il Signore e che possono, inoltre, aiutarci a dare nuovo slancio alla nostra vita cristiana.

Anzitutto, grazie. È la reazione immediata e spontanea che prova l'anima dinanzi alla bontà di Dio. Non può essere altrimenti. Egli ci precede sempre. Per quanto ci sforziamo, il suo amore giunge sempre prima, ci tocca e ci accarezza per primo, è primo sempre. Álvaro del Portillo era consapevole dei tanti doni che Dio gli aveva concesso e lo ringraziava per quella dimostrazione di amore paterno. Però, non si fermò lì; il riconoscimento dell'amore del Signore risvegliò nel suo cuore desideri di seguirlo con maggiore dedizione e generosità e di vivere una vita di umile servizio agli altri. Era notorio il suo amore per la Chiesa, sposa di Cristo, che servì con un cuore spoglio di interessi mondani, alieno alla discordia, accogliente con tutti e sempre alla ricerca del buono negli altri, di ciò che unisce, che edifica. Mai un lamento o una critica, nemmeno in momenti particolarmente difficili, piuttosto, come aveva imparato da san Josemaría, rispondeva sempre con la preghiera, il perdono, la comprensione, la carità sincera.

Perdono. Confessava spesso di vedersi davanti a Dio con le mani vuote, incapace di rispondere a tanta generosità. Peraltro, la confessione della povertà umana non è frutto della disperazione, ma di un fiducioso abbandono in Dio che è Padre. È aprirsi alla sua misericordia, al suo amore capace di rigenerare la nostra vita. Un amore che non umilia, non fa sprofondare nell'abisso della colpa, ma ci abbraccia, ci solleva dalla nostra prostrazione e ci fa camminare con più decisione e allegria. Il servo di Dio Álvaro conosceva bene il bisogno che abbiamo della misericordia divina e spese molte energie per incoraggiare le persone con cui entrava in contatto ad accostarsi al sacramento della confessione, sacramento della gioia. Com'è importante sentire la tenerezza dell'amore di Dio e scoprire che c'è ancora tempo per amare.

Aiutami di più. Sì, il Signore non ci abbandona mai, ci sta sempre accanto, cammina con noi e ogni giorno attende da noi un amore nuovo. La sua grazia non ci verrà a mancare e con il suo aiuto possiamo portare il suo nome in tutto il mondo. Nel cuore del nuovo beato pulsava l'anelito di portare la Buona Novella a tutti i cuori. Percorse così molti Paesi dando impulso a progetti di evangelizzazione, senza preoccuparsi delle difficoltà, spronato dal suo amore a Dio e ai fratelli. Chi è profondamente immerso in Dio sa stare molto vicino agli uomini. La prima condizione per annunciare loro Cristo è amarli, perché Cristo li ama già prima. Dobbiamo uscire dai nostri egoismi e dai nostri comodi e andare incontro ai nostri fratelli. Lì ci attende il Signore. Non possiamo tenere la fede per noi stessi, è un dono che abbiamo ricevuto per donarlo e condividerlo con gli altri.

Grazie, perdono, aiutami! In queste parole si esprime la tensione di una vita centrata in Dio. Di chi è stato toccato dall'Amore più grande e di quell'amore vive totalmente. Di chi, pur avendo l'esperienza delle debolezze e dei limiti umani, confida nella misericordia del Signore e vuole che tutti gli uomini, suoi fratelli, ne facciano anch'essi l'esperienza.

Caro fratello, il beato Álvaro del Portillo ci invia un messaggio molto chiaro, ci dice di fidarci del Signore, che egli è il nostro fratello, il nostro amico che non ci defrauda mai e che sta sempre al nostro fianco. Ci incoraggia a non temere di andare controcorrente e di soffrire per l'annuncio del Vangelo. Ci insegna infine che nella semplicità e nella quotidianità della nostra vita possiamo trovare un cammino sicuro di santità.

Chiedo, per favore, a tutti i fedeli della Prelatura, sacerdoti e laici, e a tutti i partecipanti alle vostre attività, di pregare per me, mentre impartisco la Benedizione Apostolica.

Gesù vi benedica e la Santa Vergine vi protegga.

Fraternamente,

 Francesco

Omelia del Card. Angelo Amato, S.D.B. in occasione della beatificazione di Álvaro del Portillo

 (Valdebebas, 27 settembre 2014)

 

 

1. «Pastore secondo il cuore di Gesù, operoso ministro della Chiesa» è questo il ritratto che Papa Francesco fa del Beato Álvaro del Portillo, pastore buono, che, come Gesù, conosce e ama le sue pecore, conduce all'ovile quelle smarrite, fascia le ferite di quelle malate, offre la vita per loro (cf. Ez 34, 11-16; Gv 10,11-16).

Il nuovo Beato, da giovane fu chiamato alla sequela di Cristo per essere dopo zelante ministro della Chiesa e per manifestare a tutti la gloriosa ricchezza del suo mistero salvifico: «È lui [Cristo] che noi annunziamo, ammonendo e istruendo ogni uomo con ogni sapienza, per rendere ciascuno perfetto in Cristo. Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza» (Col 1, 28-29). E la proclamazione di Cristo salvatore egli la fece con una modalità di assoluta fedeltà alla croce e, allo stesso tempo, di esemplare letizia evangelica nelle difficoltà. Per questo oggi la liturgia gli applica le parole dell'apostolo: «Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo quello che nella mia carne manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24).

La letizia nelle prove e nelle sofferenze è una caratteristica dei Santi. Del resto le beatitudini, anche quelle più ardue come le persecuzioni, non sono altro che un inno alla gioia.

2. Sono molte le virtù – come la fede, la speranza, la carità - che il nostro Beato visse con eroismo. Ma questi suoi abiti virtuosi egli li interpretò alla luce delle beatitudini della mitezza, della misericordia, della purezza di cuore. Le testimonianze sono concordi al riguardo. Oltre all'estrema sintonia spirituale e apostolica con il suo santo Fondatore, anch'egli fu una figura di grande umanità.

I testimoni affermano che, fin da piccolo, Álvaro era un ragazzo di carattere allegro e studioso, che mai diede problemi («un chico de carácter muy alegre y muy estudioso, que nunca dio problemas»); era simpatico, semplice, gioioso, responsabile, buono («Era cariñoso, sencillo, alegre, responsable, bueno»)[1].

Dalla mamma Donna Clementina aveva ereditato la proverbiale serenità, la delicatezza, il sorriso, la comprensione, l'attenzione a dir bene delle persone, l'equilibrio nel giudizio. Era un autentico gentiluomo. Non era verboso. La sua formazione scientifica di ingegnere gli permettevano rigore mentale, concisione e precisione per andare subito al cuore dei problemi e risolverli. Ciò incuteva rispetto e ammirazione.

3. Alla squisitezza del tratto univa una eccezionale ricchezza spirituale, nella quale dominava la grazia dell'unità tra vita interiore e instancabile apostolato. Lo scrittore Salvador Bernal afferma che egli trasformava in poesia l'umile prosa del lavoro quotidiano[2].

Era esempio vivente di fedeltà al Vangelo, alla Chiesa, al magistero del Papa. Trovandosi nella basilica di San Pietro, a Roma, era solito recitare il Credo presso la tomba dell'Apostolo e una Salve Regina davanti all'immagine di Maria, Mater Ecclesiae.

Rifuggendo da ogni personalismo, comunicava più che i suoi pareri, la verità del Vangelo e l'integrità della tradizione. La sua vita spirituale era nutrita di pietà eucaristica, di devozione mariana e di venerazione dei Santi. Frequenti giaculatorie e preghiere vocali rendevano viva e continua la presenza di Dio. Abituali erano le invocazioni: Cor Iesu Sacratissimum et Misericors, dona nobis pacem!, come anche Cor Mariae Dulcissimum, iter para tutum. Continue erano le invocazioni mariane, come Santa Maria, speranza nostra, ancella del Signore, sede della Sapienza.

4. Una tappa decisiva della sua vita fu la chiamata all'Opus Dei. A 21 anni, nel 1935, dopo aver incontrato l'allora trentatrenne San Josemaría Escrivá de Balaguer, rispose generosamente alla chiamata del Signore, che per lui significava anche una vocazione alla santità e all'apostolato. Aveva un profondo sentimento di comunione filiale, affettiva ed effettiva con il Santo Padre, del quale accoglieva con riconoscenza il magistero, facendolo conoscere a tutti i fedeli dell'Opus. (Negli ultimi anni della sua vita) Baciava spesso l'anello prelatizio che gli era stato regalato dal Papa, per confermare la sua piena adesione ai desideri del Sommo Pontefice, quando soprattutto chiedeva la preghiera e il digiuno per la pace, per l'unità dei cristiani, per l'evangelizzazione dell'Europa.

Appartenevano al suo abito virtuoso gli atteggiamenti di prudenza e rettitudine nel valutare gli eventi e le persone; di giustizia nel rispetto dell'onore e della libertà delle persone; di fortezza nel resistere alle avversità fisiche e morali; di temperanza, vissuta come sobrietà, mortificazione interiore ed esteriore. Il nostro Beato fu portatore del buon profumo di Cristo (bonus odor Christi: 2Cor 2,15), profumo di santità autentica.

5. Ma c'è una virtù che Mons. Álvaro del Portillo visse in modo del tutto straordinario, ritenendola uno strumento indispensabile di santità e di apostolato: la virtù dell'umiltà, come imitazione e identificazione con Cristo mite e umile di cuore. Amava la vita nascosta di Gesù e non rifuggiva da alcuni semplici atti di devozione popolare, come, ad esempio, salire in ginocchio la Scala Santa a Roma. A un fedele della Prelatura, che aveva visitato lo stesso luogo senza, però, fare a piedi la Scala Santa perché si considerava un cristiano maturo e ben formato, il nostro Beato rispose con un sorriso, aggiungendo che, egli era salito in ginocchio, nonostante l'aria pesante per la molta gente e la scarsa ventilazione[3]. Fu una grande lezione di semplicità e di pietà.

Mons. del Portillo era, infatti, beneficamente contagiato dall'atteggiamento del Signore Gesù, che non era venuto per essere servito ma per servire. Per questo recitava e meditava spesso l'inno eucaristico Adoro Te devote, latens deitas. Così come rifletteva sull'atteggiamento di Maria, l'umile ancella del Signore. Talvolta ricordava un'affermazione del Cervantes in una delle sue Novelas Ejemplares: «Sin humildad, no hay virtud que lo sea» («Senza umiltà non c'è vera virtù»)[4]. E spesso pregava una giaculatoria comune nell'Opus Dei: «Cor contritum et humiliatum, Deus, non despicies».

Anche per lui, come per Sant'Agostino, l'umiltà era la casa della carità[5]. Ripeteva un consiglio che dava spesso il Fondatore dell'Opus Dei, citando le parole di San Giuseppe Calasanzio: «Se vuoi essere santo, sii umile; se vuoi essere più santo, sii più umile; se vuoi essere santissimo, sii umilissimo». Non dimenticava nemmeno che era stato un asino il trono di Gesù all'entrata in Gerusalemme. Anche i suoi compagni di studi, oltre a rilevare la sua straordinaria intelligenza, ne mettono in risalto la semplicità, l'innocenza serena di chi non ha alcun complesso di superiorità nei confronti del prossimo. Riteneva come suo peggior nemico la superbia. Un testimone afferma che era l'umiltà in persona[6].

Si trattava non di una umiltà aspra, appariscente, esasperata, ma amabile, gioiosa. La sua letizia derivava dalla convinzione di non valere molto. All'inizio del 1994, ultimo anno della sua vita terrena, in una riunione disse: «Lo dico a voi e lo dico a me stesso. Occorre lottare tutta la vita per giungere a essere umili. Abbiamo la scuola meravigliosa di umiltà del Signore, della Santissima Vergine e di San Giuseppe. Dobbiamo imparare. Dobbiamo lottare contro il proprio io che si alza costantemente come una vipera, per mordere. Ma siamo sicuri, se rimaniamo vicino a Gesù che è della stirpe di Maria, ed è lui che schiaccerà la testa del serpente» («Os lo digo a vosotros, y me lo digo a mí mismo. Tenemos que luchar tota la vida para llegar a ser humildes. Tenemos la escuela maravillosa de humildad del Señor, de la Santísima Virgen y del San José. Vamos a aprender. Vamos a luchar contra el proprio yo que está costantemente alzándose como una víbora, para morder. Pero estamos seguros si estamos cerca de Jesús que es del linaje de María, y es el que aplastará la cabeza de la serpiente»[7]).

Per lui l'umiltà era la chiave per aprire la porta della santità, mentre la superbia era il grande ostacolo per vedere e amare Dio. Diceva: «L'umiltà ci sottrae la maschera di cartone, ridicola, che portano le persone presuntuose soddisfatte di se stesse» («La humildad nos arranca la careta de cartón, ridícula, que llevan las personas presuntuosas, pagadas de sí mismas[8]»). L'umiltà è il riconoscimento dei nostri limiti ma anche della nostra dignità di figli di Dio. Il miglior elogio della sua umiltà lo scrisse una signora appartenente all'Opus, dopo la morte del Fondatore: «Chi è morto è stato Don Álvaro, perché il nostro Padre continua a vivere nel suo successore» («El que ha muerto ha sido D. Álvaro, porque nuestro Padre sigue vivo en su sucesor[9]»).

Un cardinale testimonia che quando leggeva il tema dell'umiltà nella Regola di San Benedetto o negli Esercizi Spirituali di Sant'Ignazio di Loyola, gli sembrava di contemplare un ideale altissimo, inarrivabile all'essere umano. Ma quando incontrò e conobbe il nostro Beato capì che l'umiltà spinta fino alla radice era possibile.

6. Si possono applicare al nostro Beato le parole che l'allora Cardinale Ratzinger pronunciò nel 2002 in occasione della canonizzazione del Fondatore dell'Opus Dei. Parlando della virtù eroica, l'allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede disse: «Virtù eroica propriamente non significa che uno ha fatto grandi cose da sé, ma che nella sua vita appaiono realtà che non ha fatto lui, perché lui è stato trasparente e disponibile per l'opera di Dio [...]. Questa è la santità[10]».

È questa la consegna che fa a noi oggi il Beato Álvaro del Portillo «Pastore secondo il cuore di Gesù, operoso ministro della Chiesa». Ci invita a essere santi come lui, vivendo una santità amabile, misericordiosa, gentile, mite e umile.

La Chiesa e il mondo hanno bisogno del grande spettacolo della santità, per bonificare, con il suo buon profumo, i miasmi dei tanti vizi ostentati con arrogante insistenza.

Abbiamo oggi più che mai bisogno di una ecologia della santità, per contrastare l'inquinamento del malcostume e della corruzione. I Santi ci invitano a immettere nel seno della Chiesa e della società l'aria pura della grazia di Dio, che rinnova la faccia della terra.

Maria Ausiliatrice dei Cristiani e Madre dei Santi ci aiuti e ci protegga.

Beato Álvaro del Portillo, prega per noi.

Amen.

 

[1] Positio (2010) I p. 27.

[2] Ib. p. 30.

[3] Ib. p. 662.

[4] Ib. p. 663.

[5] Agostino, De sancta virginitate, 51.

[6] Ib. p. 668.

[7] Positio I p. 675.

[8] Ib.

[9] Ib. p. 705.

[10] Ib. p. 908.