Anacleto González Flores e 8 compagni

Anacleto González Flores e 8 compagni

(†1927/1928)

Beatificazione:

- 20 novembre 2005

- Papa  Benedetto XVI

Ricorrenza:

- 1 aprile

Anacleto González Flores, padre di famiglia e 8 compagni, martiri messicani

  • Biografia
  • i compagni
  • omelia di beatificazione
"La perdono di cuore, presto ci rivedremo dinanzi al Tribunale Divino, lo stesso giudice che mi giudicherà, sarà il suo giudice, allora lei troverà, in me, un intercessore presso Dio"

 

José Anacleto González Flores nacque a Tepatitlán, Jalisco, il 13 luglio 1888. Laico, coniugato e avvocato di professione.

Era nato in un ambiente di estrema povertà. Fu una persona di nobili sentimenti, alti ideali e grande intelligenza. Nel 1908 entrò nel seminario ausiliare di San Juan de los Lagos. Comprese però di non avere la vocazione al sacerdozio ministeriale, per cui lasciò il seminario ed entrò nella Escuela Libre de Leyes (facoltà di giurisprudenza). Insigne pedagogo, oratore, catechista e leader sociale cristiano.

Dotato di una vasta cultura, scrisse diversi libri pervasi di spirito cristiano, e anche centinaia di articoli giornalistici. Nell'ottobre del 1922 contrasse matrimonio con María Concepción Guerrero; fu uno sposo modello e un padre responsabile di due figli.

Alla fine del 1926, dopo aver esaurito tutte le sue risorse legali e civili, e in vista dell'imminente organizzazione della resistenza attiva dei cattolici, sostenne con il suo prestigio, la sua oratoria e la sua vita, i progetti della Lega Nazionale in Difesa della Libertà Religiosa.

Alimentandosi con la preghiera e la comunione quotidiana, rafforzò il suo spirito per offrire il suo sangue per la libertà della Chiesa cattolica. All'alba del 1° aprile 1927 fu arrestato nel domicilio privato della famiglia Vargas González, fu quindi trasferito alla caserma Colorado, dove venne sottoposto a crudeli torture. I carnefici gli provocarono slogature agli arti, gli spezzarono un braccio a colpi, e gli scuoiarono le piante dei piedi. Prima di morire disse a Ferreira:  "La perdono di cuore, presto di rivedremo dinanzi al Tribunale Divino, lo stesso giudice che mi giudicherà, sarà il suo giudice, allora lei troverà, in me, un intercessore presso Dio". Il militare ordinò che fosse trafitto con la lama di una baionetta

José Dionisio Luis Padilla Gómez

Nacque a Guadalajara, Jalisco, il 9 dicembre 1899. Laico, celibe, professore.

Ricevette un'accurata educazione in seno a una famiglia distinta e cristiana. Nel 1917 entrò nel seminario conciliare di Guadalajara ma nel 1921 lo abbandonò, nutrendo alcuni dubbi sulla sua vocazione.

Abbandonò anche l'attività docente per impartire gratuitamente lezioni ad alcuni bambini e giovani poveri. Fu socio fondatore e membro attivo dell'Associazione Cattolica della Gioventù Messicana (ACJM), dove svolse un intenso apostolato, soprattutto nel campo della promozione sociale. Praticava la sua pietà apertamente:  in casa, nelle strade e in chiesa. Fu un fervente devoto alla Santissima Vergine.

Quando ebbe inizio la persecuzione religiosa, si affiliò all'Unione Popolare per partecipare con mezzi pacifici alla difesa della religione. In diverse occasioni espresse il desiderio di seguire Gesù fino al dolore, alla sofferenza e al dono totale della vita.

Il 1° aprile 1927, alle due di mattina, la sua casa fu circondata da un gruppo di soldati dell'esercito federale, che la saccheggiarono e poi arrestarono quanti vi abitavano ossia, oltre a Luis, l'anziana madre e una delle sorelle.

Luis fu condotto alla caserma Colorado. Lungo il tragitto dovette sopportare colpi, insulti e vessazioni. Poco dopo furono arrestati e condotti alla stessa caserma Anacleto González Flores e i fratelli Jorge, Ramón e Florentino Vargas González. Presentendo la sua imminente fine, Luis espresse il desiderio di confessarsi. Il suo compagno di apostolato e di prigione, Anacleto González Flores, lo confortò dicendogli:  "No, fratello, non è più l'ora di confessarsi, ma di chiedere perdono e di perdonare. È un Padre e non un giudice che ti attende. Il tuo stesso sangue ti purificherà".
I quattro coraggiosi cristiani recitarono quindi l'Atto di Dolore. Mentre Luis, in ginocchio, offriva la sua vita a Dio con una fervente preghiera, i carnefici scaricarono le loro armi contro di lui, che compì così, all'età di 26 anni, la sua oblazione a Dio fino allo spargimento del proprio sangue.
  

Jorge Ramón Vargas González

Nacque ad Ahualulco, Jalisco, il 28 settembre 1899. Laico, celibe.

Era figlio di un onorato medico e di una donna coraggiosa, integra e compassionevole, paragonabile alla madre dei Maccabei. Quando era ancora bambino, la sua famiglia si trasferì a Guadalajara. Jorge condivise gli aneliti e le preoccupazioni di quanti soffrivano a causa della persecuzione religiosa.

Durante questa persecuzione, nel 1926, quando Jorge lavorava per la Compagnia Idroelettrica, la sua casa funse da rifugio per molti sacerdoti perseguitati. Alla fine di marzo del 1927, i Vargas Gonzáles accolsero a casa loro Anacleto González Flores. Sapevano benissimo quanto poteva costare loro questo gesto. Anacleto divideva la camera con Jorge.

Improvvisamente, il 1° aprile 1927, tutti, uomini, donne, bambini, fra vessazioni e soprassalti, furono arrestati e trasferiti alla caserma Colorado. I fratelli Vargas González - Florentino, Jorge e Ramón - furono rinchiusi nella stessa cella. Il loro crimine era di aver dato alloggio a un cattolico perseguitato.
Alcune ore dopo furono rinchiusi nella cella accanto alla loro Luis Padilla Gómez e Anacleto González Flores. Jorge, dalle sbarre della sua prigione fece capire a Luis Padilla che sarebbero stati fucilati. Si lamentò quindi perché non poteva ricevere la comunione quel venerdì, ma suo fratello Ramón gli rispose:  "Non temere, se moriremo, il nostro sangue laverà le nostre colpe". L'integrità d'animo dei fratelli non venne meno. Per un ordine ricevuto all'ultimo momento, Florentino fu separato dagli altri. La morte di Jorge fu certamente preceduta da torture, visto che il suo corpo inerme presentava una spalla slogata e contusioni e lividi sul volto. La cosa certa è che, giunta l'ora, con un crocifisso in mano, e questa mano sul petto, ricevette la scarica congiunta del 201° battaglione, che eseguì la sentenza. Durante le esequie, la madre delle vittime, stringendo fra le sue braccia Florentino, gli disse:  "Figlio mio! Quanto è stata vicina a te la corona del martirio! Devi essere più buono per meritarla". E il padre, venuto a conoscenza di come erano morti gli altri suoi due figli, esclamò. "Ora so che non sono le condoglianze che mi devono dare, ma felicitazioni perché ho la fortuna di avere due figli martiri".
  

Ramón Vicente Vargas González

Nacque a Ahualulco, Jalisco, il 22 gennaio 1905. Laico, celibe, studente universitario, praticante di medicina.

Era il settimo di undici fratelli. Tre caratteristiche lo distinsero dagli altri:  il colore rosso dei capelli, che gli valse il soprannome di Colorado, la sua elevata statura e la sua giovialità. Stabilitosi con la sua famiglia a Guadalajara, Ramón seguì le orme di suo padre entrando nella facoltà di Medicina, dove si distinse per il suo buon umore, il suo cameratismo e la sua chiara identità cattolica.
Appena poté farlo, si occupò gratuitamente della salute dei poveri. A 22 anni, prossimo a concludere gli studi universitari, accolse nella sua casa Anacleto González Flores, che si rese subito conto delle doti di Ramón, e gli propose di lavorare negli accampamenti della resistenza come infermiere. "Per lei faccio qualsiasi cosa, Maestro, ma darmi alla macchia no", gli rispose.

La mattina del 1° aprile 1927 qualcuno bussò alla porta di casa dei Vargas González. Ramón aprì e un gruppo di poliziotti prese possesso della casa. La perquisirono e arrestarono quanti vi si trovavano dentro. Ramón mantenne la calma nonostante la sua indignazione. In strada, approfittando del tumulto, riuscì a fuggire senza che i suoi sequestratari se ne accorgessero, ma poco dopo tornò sui suoi passi e si consegnò.

Quando seppe che era stato destinato a morire, il suo senso dell'onore e la sua speranza cristiana gli bastarono per unire il suo sacrificio a quello di Cristo. A un'esclamazione di suo fratello Jorge rispose:  "Non aver paura, se moriamo il nostro sangue laverà le nostre colpe". Per mitigare la sentenza, il generale di divisione Jesús María Ferreira, propose di liberare il minore dei fratelli Vargas González. L'indulto riguardava quindi Ramón che però, senza ammettere repliche, cedette il posto a Florentino. Prima di essere fucilato, Ramón flettendo le dita della mano destra fece il segno della croce.
  

José Luciano Ezequiel Huerta Gutiérrez

Nacque a Magdalena, Jalisco, il 6 gennaio 1876. Laico, coniugato, cantante e organista di professione. Fu martirizzato a Guadalajara, il 3 aprile 1927.

Sposo e padre esemplare di una numerosa prole, possedeva un magnifica voce da tenore drammatico. Molto devoto alla Sacra Eucaristia, faceva spesso la comunione. Molto caritatevole, condivideva i suoi beni con i bisognosi.

Fu arrestato la mattina del 2 aprile 1927. Aveva due fratelli presbiteri, Eduardo e José Refugio, molto rispettati a Guadalajara. Quando fu arrestato aveva appena visitato la camera ardente allestita per Anacleto González Flores. Nelle celle del comando della polizia lo torturarono fino a fargli perdere conoscenza. Quando rinvenne, espresse il suo dolore cantando l'inno eucaristico:  "Che viva il mio Cristo, che viva il mio Re".

All'alba del giorno dopo, 3 aprile, fu portato, insieme a suo fratello, nel cimitero municipale. Lì si formò il plotone per l'esecuzione, era giunta l'ora. Ezequiel disse a suo fratello Salvador:  "Li perdoniamo, vero?". "Sì, che il nostro sangue serva per la salvezza di molti", rispose Salvador. Una scarica di proiettili interruppe il loro dialogo. Vicinissima al luogo dell'esecuzione, la moglie di Ezequiel udì gli spari. Non sapeva però chi fossero le vittime. Comunque, riunì tutti i suoi figli e disse:  "Figli miei, recitiamo il rosario per queste povere persone che hanno appena fucilato".

  
J. Salvador Huerta Gutiérrez

Nacque a Magdalena, Jalisco, il 18 marzo 1880. Laico, coniugato, meccanico tornitore di professione.

Meccanico per vocazione, si dedicò interamente a questo mestiere, divenendo uno dei più competenti meccanici di Guadalajara. Amante di Gesù Sacramentato, partecipava tutti i giorni all'Eucaristia e adorava spesso il Santissimo Sacramento. La sua condotta come figlio, sposo e padre, fu sempre esemplare. Possedeva un intuito particolare dinanzi al pericolo, che affrontava con forza singolare. All'inizio del 1927 la situazione religiosa divenne insostenibile per i cattolici. I chierici venivano perseguitati senza tregua perché ritenuti istigatori della resistenza armata. Il 2 aprile 1927, consumato l'assassinio di Anacleto González e dei suoi tre compagni, Salvador si recò al cimitero per accomiatarsi dalla salma del noto leader.

Di ritorno alla sua officina, trovò ad attenderlo agenti di polizia, che, avvalendosi di uno stratagemma, lo arrestarono. Nella caserma generale fu sottoposto a crudeli torture. Lo appesero per i pollici. I carnefici volevano sapere dove si trovavano i presbiteri Eduardo e José Refugio. Esanime, fu gettato in una cella. All'alba del giorno dopo, il 3 aprile, lo condussero, con suo fratello Ezequiel, nel cimitero di Mezquitán. Di fronte al plotone di esecuzione, chiese una candela accesa, e illuminò il suo petto scoperto. Gridò:  "Viva Cristo Re e la Vergine di Guadalupe! Sparate, muoio per Dio, che amo molto".
  

Miguel Gómez Loza

Nacque a Tepatitlán, Jalisco, l'11 agosto 1888. Laico, coniugato, avvocato di professione. Fu martirizzato a Atotonilco el Alto, Jalisco, il 21 marzo 1928.

Figlio di contadini, fin da bambino si occupò di sua madre, rimasta vedova, nel modesto paese di Paredones. Nutrì però sempre il desiderio di superare se stesso nel campo della scienza e delle virtù. Fin da giovane fu un promotore instancabile della dottrina sociale della Chiesa. Insieme al suo grande amico Anacleto González Flores, nelle fila dell'Associazione Cattolica della Gioventù Messicana (ACJM), di Guadalajara trovò l'ambiente adatto alla sua formazione religiosa e morale e al suo anelito apostolico.

Affrontando mille difficoltà, si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza, perseverando nei suoi studi fino a ottenere la laurea. Uomo coraggioso, dalle convinzioni profonde, nulla lo spaventava nei suoi propositi sapendo che erano giusti, leciti e dovuti. Per difendere i diritti dei bisognosi, fu arrestato cinquantanove volte, e molte altre malmenato.

Nel 1922 contrasse matrimonio con María Guadalupe Sánchez Barragán. Ebbero tre figli. Nel 1927, durante la persecuzione religiosa, Miguel si unì alla Lega in Difesa della Libertà Religiosa, utilizzando tutti i mezzi pacifici consentiti per resistere agli attacchi dello Stato alla libertà di credo. Per difendere la libertà e la giustizia, accettò la nomina di Governatore di Jalisco, conferitogli dai cattolici della resistenza. Perseguitato dalle forze federali, fu fucilato dall'esercito federale.

  
Luis Magaña Servín

Nacque a Arandas, Jalisco, il 24 agosto 1902. Laico, coniugato. Fu martirizzato a Guadalajara, il 9 febbraio 1928.

Luis Magaña fu un cristiano integro, sposo responsabile e sollecito. Non rinnegò mai le sue convinzioni cristiane, anche nei momenti di prova e di persecuzione. Fu membro attivo dell'Associazione Cattolica della Gioventù Messicana (ACJM) e della arciconfraternita dell'Adorazione Notturna del Santissimo Sacramento, nella parrocchia di Arandas. Contrasse matrimonio con Elvira Camarena Méndez il 6 gennaio 1926. Ebbero un primogenito maschio, Gilberto, e una figlia, Maria Luisa, nata dopo la morte del padre. Il 9 febbraio 1928, un gruppo di soldati dell'esercito Federale occupò il paese di Arandas. Ordinò subito che fossero arrestati i cattolici che simpatizzavano con la resistenza attiva contro il Governo. Fra questi vi era Luis.

Quando giunsero a casa sua, non lo trovarono poiché si era nascosto molto bene. Allora lo sostituirono con il fratello più piccolo.

Quando Luis lo venne a sapere, si presentò dinanzi al generale, chiedendo la libertà di suo fratello in cambio della sua. Queste furono le sue parole:  "Io non sono mai stato un ribelle cristero come voi credete, ma se mi si accusa di essere cristiano, allora sì, lo sono, e se per questo devo essere ucciso, ben venga. Viva Cristo Re e Santa Maria di Guadalupe!" Senza indugi, il militare decretò la sua morte. Poco prima che fosse eseguita la sentenza, nell'atrio della chiesa parrocchiale, Luis chiese la parola e disse. "Plotone che mi devi uccidere:  desidero dirvi che da questo momento vi perdono e vi prometto che appena sarò alla presenza di Dio sarete i primi per i quali intercederò".

Detto questo, esclamò con voce potente:  "Viva Cristo Re e Santa Maria di Guadalupe!". Erano le 15.00 del 9 febbraio 1928.

 

  

José Sánchez del Río   

José Sánchez del Río era un adolescente di appena 14 anni. Nacque infatti il 28 marzo 1913 a Sahuayo, Mich. e fu assassinato per "odio alla fede" il 10 febbraio 1928.

A causa della difficile situazione sociale di quel tempo, José si trasferì con la sua famiglia a Guadalajara, dove frequentò la scuola elementare della parrocchia. Partecipò attivamente alla vita della parrocchia e si distinse per la sua particolare devozione alla Santissima Vergine María.
Volendo seguire l'esempio dei suoi due fratelli, quando stava per compiere quattordici anni, espresse il desiderio di lottare in difesa della fede e dei diritti dei cattolici. Così rispose a sua madre, che si opponeva ai suoi desideri, vista la sua giovane età:  "Mamma, mai come adesso è facile conquistare il cielo". Dopo aver insistito a lungo, fu accettato e gli furono affidati i compiti di trombettiere e portabandiera.

Il 6 febbraio 1928, durante uno scontro, fu catturato e rinchiuso nel presbiterio della parrocchia di Santiago Apostol. Quando vide alcuni galli e il cavallo del deputato Picazo Sánchez nel perimetro della chiesa, non potè sopportare una simile profanazione e decise di difendere l'onore della Casa di Dio. Fu condannato a morte dopo un processo sommario. Durante la sua prigionia, si fece forza pregando e poté ricevere il Sacro Viatico.

La sera del 19 febbraio fu portato nel cimitero del paese per esservi giustiziato. Lungo il cammino si rifiutò di bestemmiare e quando i soldati lo colpirono, disse:  "Viva Cristo Re! Viva la Vergine di Guadalupe!".

I militari cercarono di ucciderlo a pugnalate, per evitare che si udissero gli spari, ma José, sebbene ferito, continuava a cantare inni e lodi a Cristo Re e alla Santissima Vergine, per cui il capo del plotone d'esecuzione perse la pazienza e gli sparò, uccidendolo.

SANTA MISA DE BEATIFICACIÓN DE 13 MÁRTIRES MEXICANOS

HOMILÍA DEL CARD. JOSÉ SARAIVA MARTINS

Estadio Jalisco de Guadalajara
Domingo 20 de noviembre de 2005
Solemnidad de Cristo Rey

 

1. Saludo, especialmente, a los eminentísimos señores cardenales, a los excelentísimos señores obispos, a las respetables autoridades, a los sacerdotes y fieles que son de las diócesis en donde estos mártires nacieron o derramaron su sangre. Además, dirijo mi saludo también a los familiares de estos nuevos beatos, y me uno a su acción de gracias.

"El Señor es mi pastor, nada me faltará" (Sal 22, 1). La Iglesia en este día proclama a Jesucristo como Rey del Universo. La imagen de rey-pastor que recoge el profeta Ezequiel, se identifica plenamente con Jesucristo, el buen Pastor que da la vida por sus ovejas (Jn 10, 11), quien consumada su misión, entregará el Reino a su Padre para que Dios sea todo en todas las cosas (cf. 1 Cor 15, 24-28). Él es el Pastor y Rey de la humanidad que conduce a su rebaño hacia fuentes tranquilas, mostrando especial solicitud por aquellas ovejas heridas y extraviadas.

Además, Cristo es Rey, pues Él es el "primogénito de toda la creación, porque en Él fueron creadas todas las cosas... Él es el principio... pues Dios tuvo a bien hacer residir en Él toda la plenitud y reconciliar por Él y para Él todas las cosas" (Col 1, 15.17-20), tal como lo afirma el apóstol San Pablo.

2. Esta Solemnidad de Cristo Rey tiene un significado muy especial para el pueblo mexicano. El Papa Pío XI, al finalizar el Año santo de 1925, proclamó esta fiesta para la Iglesia Universal. Pocos meses después, iniciaría en estas tierras la persecución contra la fe católica, y bajo el grito de ¡Viva Cristo Rey! morirían muchos hijos de la Iglesia, reconocidos como mártires, de los cuales 13 hoy han sido beatificados.

Los mártires son los testigos privilegiados de la realeza de Cristo. En ellos había una conciencia clara de que el reinado de amor de Cristo debía ser instaurado, aun a costa de su propia vida. Igualmente, la fe de los mártires es una fe probada, como atestigua la sangre que por ella han derramado (San Agustín, Sermón 329). Ellos, junto con todos los santos, son los benditos que han de tomar posesión del Reino preparado para ellos, desde la creación del mundo (cf. Mt 25, 34), como escuchamos en el Evangelio apenas proclamado.

3. Además, esta fiesta adquiere en este día un significado particular. Hoy la Iglesia de México contempla, con singular alegría, la fe y la fortaleza de estos 13 varones, quienes en el reconocimiento del reinado de Cristo ofrecieron sus vidas de una manera heroica entre los años de 1927 y 1928. En situaciones adversas y en diferentes Iglesias particulares, estos hijos fieles de la Iglesia dieron un testimonio loable de los compromisos adquiridos el día de su bautismo, logrando ser capaces de derramar su sangre por amor a Cristo y a su Iglesia, que era injustamente perseguida.

De entre estos trece nuevos beatos, es significativo que diez fueron laicos, originarios de los estados de Jalisco, Michoacán y Guanajuato. La mayor parte de estos laicos eran casados y formaron familias cristianas; los demás, si bien no fueron casados, eran miembros de familias cristianas piadosas y de recias costumbres.

Asimismo, este nuevo grupo de mártires cuenta con tres sacerdotes, que murieron por desempeñar heroicamente su ministerio sacerdotal y misional, como fue el caso del misionero claretiano español, Andrés Solá Molist, c.m.f., quien murió, después de una larga y penosa agonía, junto con el padre José Trinidad Rangel y el laico Leonardo Pérez Larios, en las tierras del Estado de Guanajuato. De igual manera y en circunstancias similares, el sacerdote veracruzano, Ángel Darío Acosta, quien no escatimó sus mejores esfuerzos para ejercer su ministerio sacerdotal en un clima adverso y de persecución, y recibió el martirio. A ejemplo de Jesucristo, el Buen Pastor, estos sacerdotes, junto con los 22 sacerdotes mexicanos diocesanos canonizados en Roma durante el Gran Jubileo de la Encarnación del Año 2000, por el Papa Juan Pablo II, son un modelo y ejemplo de caridad y celo pastoral heroicos, principalmente para todos los sacerdotes mexicanos.

4. La lista de estos beatos está encabezada por Anacleto González Flores, quien derramó su sangre junto con los hermanos Jorge y Ramón Vargas González, al igual con Luis Padilla Gómez, en esta ciudad. Bajo el grito "Yo muero, pero Dios no muere". ¡Viva Cristo Rey!". Anacleto González Flores entregaba su vida al Creador después de una vida de intensa piedad y de un fecundo y audaz apostolado. Durante su vida, después de recibir una sólida formación humana y cristiana, se dedicó a luchar por los derechos de los más desprotegidos. Conocedor fiel de la Doctrina Social de la Iglesia buscó, a la luz del Evangelio, defender los derechos elementales de los cristianos, en una época de persecución.

Dentro de los derechos que más defendió Anacleto González y sus compañeros mártires, se encontraba el de la libertad religiosa; derecho que se desprende de la misma dignidad humana.
Como señala el Concilio Vaticano II, "esta libertad consiste en que todos los hombres han de estar inmunes de coacción, tanto por parte de individuos como de grupos sociales y de cualquier potestad humana, y esto de tal manera que, en materia religiosa, ni se obligue a nadie a obrar contra su conciencia, ni se le impida que actúe conforme a ella en privado y en público, solo o asociado con otros, dentro de los límites debidos" (Dignitatis humanae, 2).

Movidos por un profundo amor a Jesucristo y al prójimo, estos nuevos beatos defendieron pacíficamente este derecho, aun con su propia sangre. Ellos, lejos de avivar los enfrentamientos sangrientos, buscaron la vía pacífica y conciliadora que les reconociera este y otros derechos fundamentales, que habían sido negados a los católicos mexicanos. Por el contrario, Anacleto González y compañeros mártires, buscaron ser, en la medida de sus posibilidades, agentes de perdón y factores de unidad en una época en que el pueblo se encontraba dividido.

5. Convencidos de que "la vida es Cristo, y la muerte una ganancia" (Flp 1, 21) nuestros mártires alimentaron ese deseo por la frecuente participación y adoración de la Sagrada Eucaristía. Efectivamente, la profunda devoción eucarística es uno de los rasgos comunes de estos 13 mártires.
Todos ellos, sacerdotes y laicos, mostraron un singular amor a Jesucristo en la Eucaristía. Es de especial mención que tres de los nuevos beatos, los hermanos Ezequiel y Salvador Huerta Gutiérrez, al igual que Luis Magaña Servín, fueron miembros de la Asociación Nocturna del Santísimo Sacramento; Asociación de larga tradición en el pueblo mexicano. De la oración frecuente y ferviente delante del Santísimo Sacramento, estos hermanos nuestros obtuvieron la fortaleza sobrenatural de soportar cristianamente el martirio, llegando, incluso, a perdonar a sus mismos verdugos.

La intensa vida eucarística de estos beatos debe ser para nosotros un ejemplo y aliento para acrecentar, cada vez más nuestra propia vida eucarística. A pocos días de haber concluido el Año de la Eucaristía, y a un año de la gozosa celebración del XLVIII Congreso Eucarístico Internacional, llevado a cabo en esta querida ciudad de Guadalajara, pedimos la intercesión de estos fieles hijos de la Iglesia para que nos ayuden a acrecentar el respeto, la activa participación y la digna recepción de Jesucristo presente en la Eucaristía. A ellos les pedimos, además, la gracia de ser humildes adoradores del Santísimo Sacramento, tal ellos lo fueron. Que el ejemplo de su vida de entrega hasta el martirio, sea para nosotros un modelo privilegiado de auténtica espiritualidad y de profunda vida eucarística.

6. Por su valentía y corta edad, merece una especial mención el adolescente José Sánchez del Río, originario de Sahuayo, Michoacán, quien a la edad de 14 años, supo dar un testimonio valeroso de Jesucristo. Fue un ejemplar hijo de familia, que se distinguió por su obediencia, piedad y espíritu de servicio. Desde los comienzos de la persecución en él se despertó el deseo de ser mártir de Cristo.
Era tal su convicción de querer derramar su sangre por Cristo, que admiraba a quienes lo conocían. Pudo recibir la palma del martirio, después de ser torturado y de dirigir a sus padres estas últimas palabras:  "nos veremos en el cielo. ¡Viva Cristo Rey! ¡Viva la Virgen de Guadalupe!".

El joven beato José Sánchez del Río nos debe animar a todos, principalmente a ustedes jóvenes, para ser capaces de dar testimonio de Cristo en nuestra vida diaria. Queridos jóvenes, probablemente Cristo no les pida el derramamiento de su sangre, pero sí les pide, desde ahora, dar testimonio de la verdad en sus vidas (cf. Jn 18, 37); en medio de un ambiente de indiferencia a los valores trascendentales y de un materialismo y hedonismo que busca sofocar las conciencias. Cristo espera, además, su apertura para poder recibir y acoger un proyecto vocacional por Él preparado. Sólo Él tiene, para cada uno de ustedes, las respuestas a los interrogantes de sus vidas; y los invita a seguirlo en la vida matrimonial, sacerdotal o religiosa.

7. "Vengan benditos de mi Padre, tomen posesión del Reino preparado para ustedes desde la creación del mundo" (Mt 25, 34).

Nuestros mártires deben ser también para nosotros un modelo de amor incondicional a Dios y al prójimo. El ejemplo de su vida e intercesión deben ayudarnos a vivir generosamente nuestra vida, de cara a los demás, recordándonos siempre de las palabras de Jesús:  "Cuando lo hicieron con el más insignificante de mis hermanos, conmigo lo hicieron" (Mt 25, 50).

La caridad que estamos llamados a vivir, el mandamiento nuevo (Jn 13, 34), supera todo límite impuesto por una lógica humana y egoísta. Se trata de una caridad que se traduce en unidad, respeto, servicio, ayuda eficaz y efectiva al necesitado; de una caridad vivida, muchas veces, de manera heroica, dentro de la misma familia y fuera de ella; de una caridad que, a ejemplo de Cristo y de sus mártires, está siempre dispuesta a perdonar.

Asimismo, nuestros nuevos beatos también merecen el reconocimiento de haber sido hijos fidelísimos de la Iglesia Católica y de la persona del Romano Pontífice. Les pedimos, también para nosotros, una fidelidad heroica a la Iglesia y a la persona y enseñanzas del Romano Pontífice, pues ellos son para nosotros una legítima expresión de la frase que tanto gustaba repetir al Papa Juan Pablo II:  México, siempre fiel!".

"Todos los tiempos son de martirio" —advierte San Agustín de Hipona (Sermón 6)— pues, "todos los que quieren vivir piadosamente en Cristo Jesús, padecerán persecución(2 Tim 3, 12). Queridos hermanos:  vivir plenamente nuestra entrega fiel y de todos los días a Cristo, y por amor Él a todos los hombres, implica muchos sacrificios y renuncias. No obstante, Cristo estará siempre dispuesto a darnos la fortaleza necesaria para poder servirlo y amarlo en nuestros hermanos, principalmente en los más desvalidos y necesitados de nuestro amor, comprensión y perdón.

7. Finalmente, estos 13 hijos fieles de la Iglesia, tenían otro rasgo en común. Además de su intensa vida eucarística, se distinguieron por su filial devoción a la Madre de Dios, en su advocación de Santa María de Guadalupe. La mayoría de ellos, como los otros santos mártires mexicanos ya canonizados, murieron con su nombre en los labios. A ella le pedimos su maternal protección, muy especialmente por todo el pueblo mexicano, al igual que por todo el continente, para que el entusiasmo se conserve y acreciente.

Junto con ella, la Madre de la Nueva Evangelización, damos gracias al Padre por estos nuevos beatos. De la misma manera, demos gracias por la Iglesia de México, que no deja de dar frutos de santidad. Que Cristo Rey, el buen Pastor, reine en cada uno y en todos nuestros corazones. ¡Viva Cristo Rey! ¡Viva Santa María de Guadalupe!

Amén.