Angelo da Acri

Angelo da Acri

(1669-1739)

Beatificazione:

- 18 dicembre 1825

- Papa  Leone XIII

Canonizzazione:

- 15 ottobre 2017

- Papa  Francesco

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 30 ottobre

Sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che, percorrendo instancabilmente il regno di Napoli, predicò la parola di Dio con un linguaggio adatto ai semplici

  • Biografia
  • Omelia
  • Lettera Apostolica
Uno stile di vita santo poggia su cinque gemme: l’austerità, la semplicità, l’esatta osservanza della serafica Regola e delle Costituzioni cappuccine, l’innocenza di vita e la carità inesauribile

 

 

VITA  E  OPERE

 

 

    Luca Antonio Falcone nacque ad Acri (Cosenza) il 19 ottobre 1669 da Francesco Falcone, contadino, e da Diana Errico, fornaia. Fu battezzato il giorno successivo nella chiesa di San Nicola di Belvedere dal parroco Bernardino La Gaccia.

    Della sua fanciullezza, plasmata positivamente dalla devozione della madre per la Vergine Addolorata e per San Francesco d’Assisi, non conosciamo quasi nulla.

    Il 24 giugno 1764, quando non aveva ancora compiuto i cinque anni, nella chiesa di Santa Maria Maggiore di Padia, ricevette il sacramento della Confermazione. Apprese a leggere e scrivere da un vicino di casa, che aveva aperto una scuola di grammatica. I primi elementi della dottrina cristiana li imparò frequentando la parrocchia di San Nicola e la chiesa conventuale dei frati cappuccini di Santa Maria degli Angeli. Successivamente uno zio sacerdote, don Dome­nico Errico, fratello della madre, lo avviò allo studio delle umane lettere, nella speranza di poter fare di lui una persona colta e istruita, capace di essere d’aiuto alla madre, rimasta prematuramente vedova.

    Luca Antonio sentì però la chiamata alla vita consacrata, sen­timento contrastato dalla famiglia, soprattutto dallo zio sacerdote, andando così incontro a prove e tentennamenti. A suscitare tale vocazione fu determinante l’incontro con padre Antonio da Olivadi, un frate cappuccino allora famoso e apprezzato in tutto il meridione d’Italia per la sua santità. Non ascoltando le implorazioni della madre e le minacce dello zio, Luca Antonio decise di diventare cappuccino.

    A diciannove anni entrò nel noviziato dei frati cappuccini a Dipignano. Trascorsi però solo alcuni giorni, deluso per non aver trovato quella povertà che si aspettava, se ne allontanò per rientrare in famiglia. Ritornato alla vita del secolo, si accorse, ancora una volta, che non era fatta per lui. Con umiltà e coraggio si ripre­sentò ai frati cappuccini del convento di Acri e chiese di essere riammesso alla vita religiosa. Ottenuta la necessaria autorizzazione dal Ministro provin­ciale, padre Francesco Caracciolo da Scalea, l’8 novembre 1689 rientrò nel convento di Belvedere. Ancora una volta, oppresso dalle incertezze non riuscì a resistere abbandonando per la seconda volta il noviziato.

    Ben presto però comprese di avere sbagliato e trepidante si ripresentò per la terza volta ai frati cappuccini. Inaspettatamente la risposta fu positiva e con l’aiuto di padre Francesco d’Acri, guar­diano del convento di Montalto, e di padre Antonio d’Acri, al tempo Ministro provinciale, ottenne dal Ministro generale dell’Ordine, padre Carlo Maria da Macerata, il Nulla osta per poter rivestire l’abito cappuccino. Era il 12 novembre 1690 quando, nel convento di Belvedere, Luca Antonio iniziava per la terza volta il noviziato.

    Le giornate furono scandite dalla continua preghiera, dalla contemplazione della Passione di Cristo e dalle attività domestiche per l’utilità della fraternità. La tentazione di lasciare il noviziato non lo aveva completamente abbandonato e di tanto in tanto riaffiorava. Un giorno, colpito in refettorio dalla lettura di alcuni brani della biografia del cappuccino Bernardo da Corleone (1605-1667), di cui era in corso la Causa di beatificazione (sarà beatificato il 29 aprile 1768 e canoniz­zato il 10 giugno 2001), elevò una forte supplica al Signore per essere aiutato nella sua lotta. Si racconta che fu rincuorato dal Signore che gli indicava di comportarsi come si era comportato fra Bernardo da Corleone. Era il segnale atteso. Da quel momento iniziò una nuova vita incoraggiato dall’esempio di Bernardo da Corleone e sostenuto dal maestro dei novizi, padre Giovanni da Orsomarso. Luca Antonio portò così a compimento l’anno di noviziato e il 12 novembre 1691 emise i voti di professione.

    Destinato al sacerdozio, pur avendo espresso il desiderio di rimanere nell’Ordine come fratello laico, intraprese gli studi nei conventi di Acri e Saracena  e successivamente a Rossano di Corigliano Calabro e di Cassano allo Jonio. Il 10 aprile 1700, giorno di Pasqua, fu ordinato sacerdote nel duomo di Cassano allo Jonio e incaricato della predicazione.

    Dal 1702 al 1739, anno della sua morte, percorse instancabil­mente tutta la Calabria e buona parte dell’Italia meridionale, predi­cando quaresimali, esercizi spirituali, missioni popolari. Consapevole che il predicatore che non attende al confessionale è simile al seminatore che non provvede alla mietitura, trascorreva molte ore nel confessionale non stancandosi mai di ascoltare e di usare miseri­cordia con i peccatori. Era sua convinzione che con la carità si potevano risolvere le situazioni più difficili e che con la misericordia gli sarebbe stato più facile ricondurre alla grazia di Dio tutti i peccatori che la carità di Dio spingeva a inginocchiarsi al suo confessionale.

    Il suo zelo lo spinse molte volte alla ricerca dei peccatori restii alla riconciliazione e lo rendeva sollecito ad accorrere, in ogni ora del giorno e della notte, presso gli infermi che richiedevano la sua assistenza spirituale.

    Nel 1724 iniziò la costruzione di un convento delle Cappuc­cinelle in Acri, inaugurato il 1° giugno 1726. Padre Angelo d’Acri fu anche più volte maestro dei novizi, guardiano nei conventi di Mormanno, Cetrano e Acri, Visitatore e Definitore provinciale, Ministro provinciale dal 1717 al 1720 e, infine, nel 1735 Provisitatore generale. In tutti questi incarichi, accettati in obbedienza, fu sempre solerte nel far rispettare la Regola e le Costituzioni dell’Ordine. Profondo conoscitore delle Sacre Scritture e delle opere dei santi Padri, ebbe anche una buona cultura umanistica e filosofica. Di lui ci restano pochissimi scritti. Ebbe i doni carismatici dei miracoli, delle estasi, della profezia, delle bilocazioni, delle guarigioni e della penetrazione dei cuori. Adorno di tutte le virtù, visse nell’esercizio eroico dell’amore verso Dio e verso il prossimo: dai contemporanei fu chiamato “l’apostolo delle Calabrie”. Morì in Acri il 30 ottobre 1739.

 

 

"ITER" DELLA CAUSA

 

 

a) In vista della Beatificazione

 

    Subito dopo la morte, da tante parti della Calabria e dell’Italia meridionale, dalla Corte di Napoli e dallo stesso re Ferdinando di Borbone, incominciarono a pervenire le richieste e le sollecitazioni affinché padre Angelo d’Acri venisse proclamato santo. A soli cinque anni dalla sua morte, il 10 ottobre 1744 ebbe inizio il Processo di “non culto”, al quale seguirono i Processi Informativi di Bisignano (1748-1759), di Cosenza (1764-1769; 1786-1789; 1791-1792; 1793-1795) e di nuovo a Bisignano (1793-1796).

    La Causa di beatificazione fu introdotta il 27 maggio 1778 e, dopo i processi apostolici, si concluse il 17 giugno 1821 con la dichiarazione di eroicità delle virtù con decreto di papa Pio VII.

    Il 20 novembre 1825 Leone XII autorizzava la promulgazione del decreto super miraculis, attribuiti all’intercessione del Venerabile Servo di Dio Angelo d’Acri. Tre furono i miracoli sottoposti al giudizio: lo scam­pato pericolo in un caduta da un precipizio; la perfetta guarigione da una artrite molto grave; la repentina risoluzione di un processo infiammatorio purulento.

    Leone XII, il 9 dicembre 1825, autorizzava il Breve di Beati­ficazione ed il 18 dicembre successivo nella Basilica di San Pietro si celebrava il rito della Beatificazione.

 

b) In vista della Canonizzazione

 

    Venne presentata alla Congregazione delle Cause dei Santi l’asserita guarigione miracolosa di un giovane da «politrauma; trauma cranico con focolai lacero contusivi; frattura fronto-temporale dx; frattura toraco-addominale con contusione polmonare: trauma maxillo-facciale con ferite al cuoio capelluto ed escoriazioni multiple», avvenuta nel marzo del 2010.

    L’Inchiesta diocesana si svolse presso la Curia arcivescovile di Cosenza-Bisignano (Italia) dal 29 marzo al 15 dicembre 2014.

    La sua validità giuridica fu riconosciuta dalla Congrega­zione delle Cause dei Santi con decreto del 20 marzo 2015.

    La Consulta Medica della Congregazione, il 15 dicembre 2016, riconobbe l’evento come scientificamente inspiegabile.

    Il caso venne esaminato, con esito positivo all’unanimità, dai Consultori Teologi il 21 febbraio 2017.

    Gli Eminentissimi Cardinali e gli Eccellentissimi Vescovi, riuniti in sessione Ordinaria il 14 marzo 2017, giudicarono la menzionata guarigione come un vero miracolo attribuito all’interces­sione del Beato.

    Il Santo Padre Francesco autorizzò la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il Decreto sul miracolo.

SANTA MESSA E CANONIZZAZIONE DEI BEATI:
ANDREA DE SOVERAL, AMBROGIO FRANCESCO FERRO, MATTEO MOREIRA E XXVII COMPAGNI;
CRISTOFORO, ANTONIO E GIOVANNI; FAUSTINO MÍGUEZ; ANGELO DA ACRI

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Piazza San Pietro
Domenica, 15 ottobre 2017

 

La parabola che abbiamo ascoltato ci parla del Regno di Dio come di una festa di nozze (cfr Mt 22,1-14). Protagonista è il figlio del re, lo sposo, nel quale è facile intravedere Gesù. Nella parabola, però, non si parla mai della sposa, ma dei molti invitati, desiderati e attesi: sono loro a vestire l’abito nuziale. Quegli invitati siamo noi, tutti noi, perché con ognuno di noi il Signore desidera “celebrare le nozze”. Le nozze inaugurano la comunione di tutta la vita: è quanto Dio desidera con ciascuno di noi. Il nostro rapporto con Lui, allora, non può essere solo quello dei sudditi devoti col re, dei servi fedeli col padrone o degli scolari diligenti col maestro, ma è anzitutto quello della sposa amata con lo sposo. In altre parole, il Signore ci desidera, ci cerca e ci invita, e non si accontenta che noi adempiamo i buoni doveri e osserviamo le sue leggi, ma vuole con noi una vera e propria comunione di vita, un rapporto fatto di dialogo, fiducia e perdono.

Questa è la vita cristiana, una storia d’amore con Dio, dove il Signore prende gratuitamente l’iniziativa e dove nessuno di noi può vantare l’esclusiva dell’invito: nessuno è privilegiato rispetto agli altri, ma ciascuno è privilegiato davanti a Dio. Da questo amore gratuito, tenero e privilegiato nasce e rinasce sempre la vita cristiana. Possiamo chiederci se, almeno una volta al giorno, confessiamo al Signore il nostro amore per Lui; se ci ricordiamo, fra tante parole, di dirgli ogni giorno: “Ti amo Signore. Tu sei la mia vita”. Perché, se si smarrisce l’amore, la vita cristiana diventa sterile, diventa un corpo senz’anima, una morale impossibile, un insieme di princìpi e leggi da far quadrare senza un perché. Invece il Dio della vita attende una risposta di vita, il Signore dell’amore aspetta una risposta d’amore. Rivolgendosi a una Chiesa, nel Libro dell’Apocalisse, Egli fa un rimprovero preciso: «Hai abbandonato il tuo primo amore» (2,4). Ecco il pericolo: una vita cristiana di routine, dove ci si accontenta della “normalità”, senza slancio, senza entusiasmo, e con la memoria corta. Ravviviamo invece la memoria del primo amore: siamo gli amati, gli invitati a nozze, e la nostra vita è un dono, perché ogni giorno è la magnifica opportunità di rispondere all’invito.

Ma il Vangelo ci mette in guardia: l’invito però può essere rifiutato. Molti invitati hanno detto no, perché erano presi dai loro interessi: «non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari», dice il testo (Mt 22,5). Una parola ritorna: proprio; è la chiave per capire il motivo del rifiuto. Gli invitati, infatti, non pensavano che le nozze fossero tristi o noiose, ma semplicemente «non se ne curarono»: erano distolti dai loro interessi, preferivano avere qualcosa piuttosto che mettersi in gioco, come l’amore richiede. Ecco come si prendono le distanze dall’amore, non per cattiveria, ma perché si preferisce il proprio: le sicurezze, l’auto-affermazione, le comodità... Allora ci si sdraia sulle poltrone dei guadagni, dei piaceri, di qualche hobby che fa stare un po’ allegri, ma così si invecchia presto e male, perché si invecchia dentro: quando il cuore non si dilata, si chiude, invecchia. E quando tutto dipende dall’io – da quello che mi va, da quello che mi serve, da quello che voglio – si diventa pure rigidi e cattivi, si reagisce in malo modo per nulla, come gli invitati del Vangelo, che arrivarono a insultare e perfino uccidere (cfr v. 6) quanti portavano l’invito, soltanto perché li scomodavano.

Allora il Vangelo ci chiede da che parte stare: dalla parte dell’io o dalla parte di Dio? Perché Dio è il contrario dell’egoismo, dell’autoreferenzialità. Egli – ci dice il Vangelo –, davanti ai continui rifiuti che riceve, davanti alle chiusure nei riguardi dei suoi inviti, va avanti, non rimanda la festa. Non si rassegna, ma continua a invitare. Di fronte ai “no”, non sbatte la porta, ma include ancora di più. Dio, di fronte alle ingiustizie subite, risponde con un amore più grande. Noi, quando siamo feriti da torti e rifiuti, spesso coviamo insoddisfazione e rancore. Dio, mentre soffre per i nostri “no”, continua invece a rilanciare, va avanti a preparare il bene anche per chi fa il male. Perché così è l’amore, fa l’amore; perché solo così si vince il male. Oggi questo Dio, che non perde mai la speranza, ci coinvolge a fare come Lui, a vivere secondo l’amore vero, a superare la rassegnazione e i capricci del nostro io permaloso e pigro.

C’è un ultimo aspetto che il Vangelo sottolinea: l’abito degli invitati, che è indispensabile. Non basta infatti rispondere una volta all’invito, dire “sì” e basta, ma occorre vestire l’abito, occorre l’abitudine a vivere l’amore ogni giorno. Perché non si può dire: “Signore, Signore” senza vivere e mettere in pratica la volontà di Dio (cfr Mt 7,21). Abbiamo bisogno di rivestirci ogni giorno del suo amore, di rinnovare ogni giorno la scelta di Dio. I Santi canonizzati oggi, i tanti Martiri soprattutto, indicano questa via. Essi non hanno detto “sì” all’amore a parole e per un po’, ma con la vita e fino alla fine. Il loro abito quotidiano è stato l’amore di Gesù, quell’amore folle che ci ha amati fino alla fine, che ha lasciato il suo perdono e la sua veste a chi lo crocifiggeva. Anche noi abbiamo ricevuto nel Battesimo la veste bianca, l’abito nuziale per Dio. Chiediamo a Lui, per l’intercessione di questi nostri fratelli e sorelle santi, la grazia di scegliere e indossare ogni giorno quest’abito e di mantenerlo pulito. Come fare? Anzitutto, andando a ricevere senza paura il perdono del Signore: è il passo decisivo per entrare nella sala delle nozze a celebrare la festa dell’amore con Lui.

 

 

LITTERAE APOSTOLICAE

de peracta Beatificatione

 

LEO  PP. XII

ad futuram rei memoriam

 

 

    Conditor ac Redemptor Noster Iesus Christus nullam umquam patitur aetatem, qua ad excolendam vineam suam, universalem scilicet Ecclesiam suo sanguine acquisitam, operarios non conducat, qui erudiendo fideles contra impios hominis superseminantis zizaniam conatus admirabilis eius dexterae virtutem, potentiam, praesidiumque experiuntur. Qua vero caritate in hac vinea laborantes ferveant oportet, ex ipsa evangelica lectione colligitur, ubi eiusdem Servatoris Nostri discipuli jubentur «bini ante faciem eius in omnem civitatem et locum quo erat ipse venturus» accedere. Hinc S. Gregorius Magnus, gloriosus praedecessor Noster, docet «praedicationis officium suscipere illum nullatenus posse qui caritatem erga alterum non habet».

    Cum autem unus idemque sit habitus caritatis erga Deum, et proximum, qui spirituali proximorum saluti procurante se penitus devovent, quique exemplo suo, quod praedicant, confirmant, eorum cor fervidissima in Deum aestuat caritate, iique quippe quod «fecerint et docuerint, magni vocabuntur in regno caelorum». Hoc solo caelesti igne mentes hominum, terrenis cupiditatibus plane edomitis, in Dei amorem abreptae renovantur, in eiusque similitudinem ac imaginem trasformantur. Dei autem ineffabilis ac immensa bonitas hoc etiam providit ut qui «in coelo fulgent sicut sol» ii ad militantem quoque Ecclesiam radios suos effundant, eorumque patrociniis terra laetetus, triumphis Ecclesia sancta coronetur.

    Coelestis huius gloriae ac divinae potentiae locupletissimum habemus Testem in Venerabili Dei Servo Angelo ab Acrio sacerdote professo ac missionario Ordinis Fratrum Minorum Sancti Francisci Capuccinorum nuncupatorum, qui dum in terris degebat, vetere homine exuto, novum induit, et ducem ac antesignanum Franciscum per avunculi sui impedimenta fortiter superata, per summam paupertatem, per omnimodam sui abnegationem, per orationis nullo non tempore intermissae studium, per assiduam Crucis meditationem, carnisque macerationem imitari contendit. Is enim in Oppido Acri citerioris Calabriae XIV kal. Novembris anno humanae reparationis MDCLXIX in lucem editus est. Huius viri sanctitas quanta future esset, iam ad ineunte aetate apparuit. Nam adhuc puer ab aliorum consortio remotus, Divinarum rerum studio jugique oratoni vacabat. Adolescens factos Ordini Minorum Sancti Francisci Capuccinorum nomen dare cogitat; enixas idcirco ad Deum preces effundit; ac ne quid temere aggrederetur, virorum sapientia et prudentia praestantium concilium exquirit, qui illum in sancto proposito confirmant: quo factum, ut fortiter reluctante avunculo suo, quin et minante eius matrem domo expellere, eundem Ordinem ingressus fuerit, ubi tyrocinium, studio­rum curriculum summa cum laude, omniumque admiratione explevit.

    Tum sacerdotio initiatus sodalibus suis, quibuscum vixit, praesertim vero cum iis praefuit, praestantissima virtutum omnium exempla suppeditare numquam destitit. Cum autem intellexisset, nihil sine caritate prodesse, hinc in Dei dilectionem, quod est «maximum et primum mandatum» vehementius incubuit. Ex hac intima cum Deo unione, tanto cor eius divinae caritatis igne exardebat, tantaque colliquescebat dulcedine, ut in extases et raptus aliquando erumpere visus fuerit, ac licet, ut hospes et incola teneretur in terra, ob maximum tamen Dei desiderium, tamquam civis et domesticus haberetur in coelis.

    Hac flamma succensus diutius se certe continere non potuit, quin cum fide recta bonae praedicator actionis existeret, excolendaeque vineae Dei, eius scilicet plebi erudiendae, se omnino devoveret. Cum primum igitur sacerdotio fuit insignitus missionarii munus suscepit, idque sine mora ad obitum usque summo cum animarum lucro exercuit, varias obiens civitates ac oppida, solius Dei gloriae aeternaeque hominum saluti intentus. Tandem laboribus fractus meritisque onustus, dulcissima illa verba proferens «veni bone Jesu, veni» relictis inter sodales suos in coenobio Capucci­norum Acri moratalitatis exuviis III kal. Novembris MDCCXXXIX ad aeterna praemia evolavit.

    Celebratis itaque omnium sermone clarissimis huius Servi Dei virtutibus ac meritis, ad Congregationem Venerabilium Fratrum Nostrorum Sancte Romanae Ecclesiae Cardinalium sacris ritibus praepositorum causa deducta est, ubi cum de virtutibus aexistimandis quaestio ex eiusdem Romanae Ecclesiae praescripto de more haberetus, fel. rec. Pius VII praedecessor Noster XV kal. Iulias MDCCCXXI eius virtutes accurate diligenterque discussas ac perpensas suo decreto approbavit et in gradu heroico eas collocatas esse pronunciavit. Porro coram Nobis inscrutabili divinae bonitatis ac sapientiae consilio ad Ecclesiae Catholicae per universum terrarum orbem diffusae regimen, meritis licet imparibus, evectis tria miracula, quae discutienda proponebantus, Consultorum suffragiis et Venera­bilium Fratrum Nostrorum Sanctae Romanae Ecclesiae praedictae Congregationi praepositorum Cardinalium sententiis consentientibus probanda esse censuimus, et decretum Nostrum super iisdem proferri et promulgari voluimus XIII kal. Decembris MDCCCXXV.

    Quapropter precibus tandem ac supplicationibus totius Ordinis Minorum Capuccinorum, necnon dilecti filii Ludovici a Tuscolo, Ministri Generalis eiusdem Ordinis, sacrae aulae apostolicae concionatoris ac huis causae postulatoris, quibus Ferdinandus utrius­que Siciliae Rex illustris dum viveret, universa dioecesis Bisinianen­sis, aliique dignitate et pietate praestantes Viri sua studia ac postulata iunxerunt, paterna clementia annuentes, de eiusdem Cardinalium Congregationis consilio et assensu, Auctoritate Apostolica tenore praesentium concedimus et indulgemus, ut idem Dei Servus Angelus ab Acrio in posterum Beati nomine nuncupetur, eiusque corpus et reliquae venerationi fidelium (non tamen supplicationibus quae sacras reliquias circumferrendo fiunt) colendae proponantur; imagines quoque radiis seu splendoribus exornentur, officum denique ac sacrificium fiat cum approbatis a Nobis orationibus iuxta Romanas rubricas de communi Confessoris non Pontificis die XXX Octobris, tum in dioecesi Bisiniana, intra cuius fines ortum habuit vitaeque suae extremum clausit diem, tum in universo Ordine Minorum S. Francisci Capuccinorum. Quod autem spectat ad sacrificium, hoc indulto complecti volumus exteros quoque sacerdotes quicumque eo die in memoratae dioecesis ac Ordinis Capuccinorum templis, rem divinam facient.

    Praeterea concedimus et indulgemus ut anno ab hisce datis litteris primo celebrentur solemnia beatificationis Servi Dei Angeli in templis dioecesis ac ordinis, de quibus facta iam mentio est, cum officio ac sacrificiis duplicis maioris ritus; quod quidem fieri praecipimus die ab Ordinariis sacris praesidibus indicenda, ac postea solemnia in basilica Nostra Vaticana fuerint expleta, cui Nos sacrae pompae die XVIII Decembris huius anni statuimus.

    Non obstantibus constitutionibus ac ordinationibus apostolicis ac decretis de non culto editis, caeterisque contrariis quibuscumque. Volumus autem ut harum litterarum exemplis, etiam impressis, dummodo manu secretarii praedictae Congregationis subscripta sint et sigillo praefecti munita, eadem prorsus in disceptationibus quoque judicialibus, fides habeatur quae Nostrae voluntatis significationis, hisce litteris ostensis, haberetur.

    Datum Romae apud Sanctum Petrum sub annulo Piscatoris die IX Decembris MDCCCXXV, pontificatus Nostri anno tertio.

 

                                                                                                                Pro Domino Card. Albani

 

F.  Capaccini  Substitutus

Bullarii Romani Continuatio

tomus VIII, 546-547.