Benildo Romançon

Benildo Romançon

(1805-1862)

Beatificazione:

- 04 aprile 1948

- Papa  Pio XII

Canonizzazione:

- 29 ottobre 1967

- Papa  Paolo VI

- Basilica Vaticana

Ricorrenza:

- 13 agosto

Religioso dell’Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, passò la vita dedito alla formazione della gioventù

  • Biografia
  • Omelia
  • sulla beatificazione
"Sarei felice se potessi morire completando la volontà divina"

 

Pierre Romançon nacque a Thuret il 14 giugno 1805; dai lavori campestri il beato passò alle scuole tenute dai Fratelli delle Scuole Cristiane a Riom. Egli avrebbe voluto entrare in quella Congregazione, ma non poté essere ammesso per la sua piccola statura. L'anno seguente, però, rinnovò la domanda, che fu accolta, e poté passare al noviziato, durante il quale la sua vocazione fu posta a dura prova dalle insistenze del padre che lo rivoleva in casa. Il giovane resistette con tenacia, fu ammesso ai voti e prese il nome di Benildo, ponendosi sotto la protezione di s. Benilde. Per venti anni fu addetto a varie scuole (Riom, Moulins, Limoges, Aurillac, Clermont, Billon), facendosi dovunque apprezzare dai confratelli, per la sua dolcezza, e dagli alunni, per la sua sapienza pedagogica. Durante questi anni, Benildo si occupò anche, per breve periodo, della cucina, dell'orto, dimostrando in questi lavori una serena umiltà e una grande cura.

Il 21 settembre 1841 Benildo fu inviato a Saugues, a fondare e dirigere una nuova scuola, richiesta da quel comune e finanziata con pubblica sottoscrizione, ed ivi rimase fino alla morte. Le incomprensioni e le sofferenze furono molte, aggravate da un lavoro massacrante (tre soli fratelli per circa trecento alunni), ma Benildo riuscì ad impiantare e a far funzionare egregiamente la scuola fino alla sua morte, avvenuta il 13 agosto 1862.

Particolare impegno mise sempre nell'insegnamento del catechismo: in questa materia non ammetteva che alcun alunno rimanesse ignorante. Prendeva perciò a parte i più tardivi e con essi insisteva, fino a che avessero imparato a dovere le formule e il loro senso. In questo atteggiamento tipico lo rappresenta appunto, sull'altare a lui dedicato nella cappella della casa generalizia di Roma, un bel gruppo marmoreo dello scultore Ciocchetti; mentre una tela del pittore Mariani lo raffigura nell'atto di consacrare gli alunni a s. Giuseppe, per il quale dimostrò sempre una grande devozione.

Benildo ebbe una tale capacità di penetrare nell'animo dei giovanetti come maestro e più ancora come guida spirituale, che molti pensarono a speciali doni celesti, ottenuti con l'assiduità delle preghiere e delle penitenze. Presso la popolazione di Saugues egli godé sempre di una vera reputazione di santità. Un Crocifisso a lui appartenuto viene, ancora oggi, portato presso gli infermi del luogo, che piamente lo baciano invocando l'intercessione del beato, al quale è consacrata una cappella della chiesa parrocchiale.

 

(fonte: santiebeati.it)

SOLENNE CANONIZZAZIONE DEL BEATO BENILDO

OMELIA DI PAOLO VI

Solennità di Cristo Re
Domenica, 29 ottobre 1967

 

LA GIOIA DELLA COMUNIONE DEI SANTI

Venerabili Fratelli e diletti Figli!

Un Santo, un Santo nuovo Noi abbiamo ora dichiarato appartenere alla Chiesa celeste e doverlo là pensare ed onorare associato alla gloria di Cristo. Un sentimento di gioia invade a buon diritto gli animi nostri, come per una vittoria conseguita, la vittoria della salvezza, come per una luce di Cristo su noi riverberata, come per una parentela acquisita buona e potente. È gioia autentica, è gioia legittima; faremo bene a goderne e a confortare con essa il senso, tanto spesso in noi affievolito, della comunione dei Santi, d’essere noi cioè, come dice San Paolo, «concittadini dei Santi e membri della famiglia di Dio» (Eph. 2, 19). Così che la gioia di questa canonizzazione si muterà nei nostri spiriti nello stupore dapprima del nostro destino escatologico, chiamati come noi pure siamo «ad aver parte nell’eredità dei Santi nella luce» (Col. 1, 12); nello stupore poi si trasformerà la nostra gioia, nell’ammirazione anzi del «fenomeno», del prodigio di Fratel Benildo, che non solo è riuscito a conseguire quella «eredità dei Santi» (Act. 26, 18), retaggio offerto ad ogni fedele cristiano, ma ha potuto raggiungerla con tale grado di splendore e di esemplarità da farsi acclamare Santo dalla Chiesa di Dio.

Sì, Fratelli e Figli, che guardate ora a Fratel Benildo come a figura singolarissima; e sapendola circonfusa durante la sua vita mortale di umiltà, di silenzio, di semplicità e quasi rimpicciolita dal quadro sociale, in cui egli ebbe a trovarsi, voi tutti vi chiedete con Noi quali siano i valori che diedero risalto alla sua nascosta esistenza, quale sia il titolo alla grandezza nella sua piccolezza, quale il segreto della sua esaltazione; e la risposta è facile e pronta: la santità. Ma una nuova e più urgente questione incalza la nostra curiosità: e che cosa è la santità?

Oh, quale tema attraente ed astruso, la santità! Esso sembra dovere ora occupare il nostro spirito desideroso di soddisfare un’impellente e ricorrente curiosità: vediamo ora finalmente che cosa significhi essere santo. Ma non rifaremo ora la sottile ricerca, tentata dai saggi (cf. Socrate, in Platone, Eutifrone), del suo recondito ed apparentemente ovvio significato; ricerca che porterebbe a far convergere in un solo termine assoluto, Dio, «giusto e giustificante» (Rom. 3, 26), alcuni concetti fondamentali della vita umana considerata al suo grado più alto e più vero, quello morale, come il concetto di purezza e di fermezza (cf. S. Th. II-IIæ, 81, 81, quello di esemplarità e imitabilità, cioè di tipicità (cf. S. Ambrogio), quello astratto che tutto riassume di perfezione, e quello concreto e esistenziale di carità.

UNA VITA TUTTA RIFERITA A DIO

Uno sguardo, per quanto rapido e superficiale, alla figura del Santo, che abbiamo davanti, ci lascerà intravedere che la santità è una forma di vita tutta riferita a Dio; S. Tommaso fa coincidere essenzialmente la religione e la santità (ib.): da Dio ci viene la nostra prima ed effettiva santità, la grazia; da lui la norma che ci fa giusti e buoni, cioè la sua volontà; da lui, in Cristo Gesù, l’esempio da contemplare e da ricalcare; da lui ogni aiuto per conservare e per sviluppare il dono della vita nuova; da lui l’invito al colloquio spirituale, che nella preghiera, alimenta la vita interiore; da lui l’amore che ci abilita ad amare e a tendere all’unione con lui, unione perfettibile in questa vita, consumata in pienezza, a lui piacendo, nella vita futura. E questa forma di vita, tutta rivolta a Dio, tutta sospesa nella risposta alla sua vocazione, tutta assorbita nell’orazione e nell’osservanza degli atti propri della religione, tutta impegnata nella trasfusione delle somme verità religiose nelle anime innocenti dei piccoli allievi, tutta pervasa di semplice e spontanea conversazione con Dio, con Cristo presente nell’Eucaristia, con la Madonna, con S. Giuseppe, con i Santi, non è stata forse la forma di vita propria del nostro nuovo Santo, Benildo nostro? È nelle vostre mani, venerati Fratelli e Figli diletti, la sua biografia; se vorrete scorrerne le pagine voi vedrete come questo riferimento a Dio segni il punto focale della sua psicologia ed anche della sua attività. Una testimonianza, sovente ripetuta, ci dice: «Il priait toujours, sa main ne quittait pas son chapelet; on le nommait l’homme du chapelet» (Fr. Niomède).

IL PIÙ LIBERO E VOLENTEROSO DEGLI UOMINI E IL PIÙ DOLCE E PIÙ OBBEDIENTE

Ma la santità presenta altri aspetti. È la santità, potremmo dire, una forma di vita fortemente stilizzata da un singolare gioco di due principi operativi, che la caratterizzano fino quasi a darle una certa evidenza; uno interiore, mediante il quale la coscienza, la libertà, l’iniziativa, la volontà morale, il temperamento personale esplicano una incessante tensione, uno sforzo tranquillo, ma senza tregua, per raggiungere la «virtus», la perfezione nell’operare il bene, fino al rendimento massimo, perfino eroico talvolta, del quale il soggetto è capace; mentre l’altro principio, esteriore, la legge, la regola, offre all’azione virtuosa una concreta osservanza, una disciplina, che vuol essere il riflesso della volontà superiore e sapiente, che dall’ordine trascendente del divino volere deriva la sua ispirazione e la sua effettiva bontà. Risulta così che il santo è il più libero e volontario degli uomini e nello stesso tempo il più docile ed obbediente; ed è proprio da questa originale composizione di spontaneità e di uniformità alla norma stabilita, che la santità traspare come un’arte di vita, come un’armonia invidiabile, come un equilibrio ammirabile, che trasfigura una esistenza, per umile che sia, in un fenomeno morale di umana bellezza.

Così Benildo. Non è chi non vede, osservando il corso silenzioso e modesto della sua vita, come questa fusione delle due volontà, quella propria e quella divina, (notificata dai precetti che improntano la vita cristiana e quella religiosa), sia stata costantemente fedele, quasi a dar saggio d’una austerità, d’una innocenza, d’una serenità, d’una resistenza, che ci ricordano i doni dello Spirito, di cui parla San Paolo (Gal. 5, 22; Eph. 5, 9 ), e da cui proviene l’autentica santità. Citiamo per tutte le testimonianze che si potrebbero addurre a questo proposito, una parola decisiva dello stesso Fratel Benildo: «Je serais heureux si je pouvais mourir en accomplissant un point de Règle»: il Religioso santo traspare da questa semplice dichiarazione.

NUOVA GLORIA DI INSIGNE E BENEMERITO ISTITUTO PER L'EDUCAZIONE DELLA GIOVENTÙ

E ancora. La visione fugace, che stiamo dando alla figura del nuovo Santo, si arresta sopra un altro aspetto, che lo qualifica e investe tutta la sua esistenza. Fu un maestro, un maestro di scuola elementare e popolare, un maestro d’un Istituto quant’altri mai insigne e benemerito dell’istruzione e dell’educazione della gioventù. Un umile maestro, povero, malaticcio, in un paese di montagna. Basta questo titolo per dirlo santo? Siamo tentati di dire che sì. Quale altro titolo rivendicò a se stesso Gesù, che quello di Maestro (cf. Matth. 23, 8; Io. 13, 14)? Potremmo applicare a questo nome sublime l’elogio di S. Ambrogio per S. Agnese: «Vox una praeconium est. Hanc senes, hanc iuvenes, hanc puieri cantant. Nemo est laudabilior, quam qui ab omnibus laudari potest; il solo nome è un elogio. Risuona esso sulle labbra dei vecchi, dei giovani e dei fanciulli. E chi è più degno di lode di colui che può essere lodato da tutti?» (De virg. 1, 6). La professione stessa di Maestro nasconde in se stessa un’esigenza di santità, ed ha in sé una virtù che la genera. Questo è un principio che proietta su tutta la classe magistrale una grande dignità, e su tutta la Famiglia religiosa dei Fratelli delle Scuole Cristiane una fondata presunzione di perfezione cristiana. Ed ecco che il titolo di Maestro, di Maestro di scuola rurale ed elementare, esplode la sua virtuale bellezza nel Santo che noi celebriamo, Fratel Benildo delle Scuole Cristiane, perché Maestro fu, e quale Maestro! La sua biografia lo documenta, specialmente per i meriti che fanno anche d’un oscuro insegnante un uomo grande e benefico; i meriti della sapienza, dell’abnegazione, dell’amore. L’elogio non avrebbe facile termine se volesse illustrare le prove che lo giustificano; ma, per fortuna, voi tutti, Noi pensiamo, conoscete quanto basta della perfetta, totale, felice dedizione che Fratel Benildo consacrò alla sua missione di Maestro, perché Noi Ci dispensiamo dal dirne di più: ci basti la sentenza della Chiesa che lo dichiara Santo per dare gioia al nostro spirito nel vedere associato questo altissimo titolo a quello d’insegnante di scuola elementare e nel poter esclamare di Benildo con tutta la Chiesa: Santo e Maestro!

Ci sia concesso invitare in modo speciale a questa gioia la Francia!

LE SANE AUTENTICHE VIRTÙ SOCIALI E CIVILI DI UN POPOLO

A tette joie, qu’il Nous soit permis d’inviter d’une façon spéciale la France.

La France, qui, une fois encore, montre sa prodigieuse fécondité, la France qui engendre toujours pour l’Eglise et pour le monde de nouvelles et originales figures d’hommes, vivantes personnifications de ses vertus humaines et de ses vertus chrétiennes, dignes d’être proposées à la vénération et à l’imitation de l’Eglise universelle; la France qui, à travers les plus dramatiques vicissitudes historiques et les plus radicales évolutions spirituelles, sait sauvegarder un patrimoine stable de valeurs religieuses et morales, un trésor de traditions ancestrales, Nous dirions volontiers un instinct de fidélité à elle-même, à sa vocation chrétienne, à sa mission civilisatrice; la France, qui, dans l’exaltation d’un humble fils de l’Auvergne, - cœur géographique et ethnique de ce grand Pays -, voit célébrer les simples, les saines, les authentiques vertus sociales et civiles de son peuple. Oui, que la France exulte avec Nous, avec l’Eglise catholique, et qu’elle inscrive dans le livre d’or de ses meilleurs fils le nom d’un Saint, que toute la terre et toute l’histoire future honoreront: Frère Bénilde des Ecoles Chrétiennes!

Et exultez vous aussi, chers, très chers Frères des Ecoles Chrétiennes, qui, à côté du nom glorieux de Saint Jean-Baptiste de La Salle, pouvez enfin ajouter celui d’un de vos confrères; réjouissez- vous d’être, comme il l’a été, maîtres des enfants du peuple, voués à cette si haute mission, à cet apostolat si digne, et à rien d’autre qu’à cela; tout absorbés par cette tâche noble et délicate entre toutes; tout persuadés que l’Ecole, l’Ecole catholique mérite votre sacrifice total, mérite que vous lui donniez avec générosité et génialité votre ministère pédagogique et didactique; tout confiants que l’offrande de votre vie à la cause de l’Ecole empreinte de sagesse chrétienne ne sera pas vaine, ne sera pas rendue superflue par la diffusion de la culture et par le progrès de l’organisation scolaire, mais qu’elle en sera, bien plutôt, honorée et valorisée. Oui, exultez! Un nouveau modèle vient garantir l’excellence de votre vocation; un nouveau protecteur vient assister du Ciel vos personnes et vos institutions; un nouveau Maître vient s’asseoir à vos côtés dans les innombrables classes de vos écoles; et sur toute la jeunesse qui s’honore de votre magistère, Saint Bénilde irradie sa merveilleuse sainteté, apportant à tous, Maîtres et élèves, avec la Nôtre, sa bénédiction.

DISCOURS DU PAPE PIE XII
AUX FIDÈLES RÉUNIS À ROME POUR LA
BÉATIFICATION DE FRÈRE BÉNILDE
*

Lundi 5 avril 1948

 

En venant Nous exprimer la reconnaissance de tout votre Institut pour la glorification du Frère Bénilde, vous Nous offrez à Nous-même, très chers fils, l'occasion de vous en dire Notre grande joie. C'en est une assurément, que de saluer dans son triomphe un nouveau bienheureux, mais c'en est une aussi, et très profonde, que de pouvoir le proposer sans réserve à votre étude et à votre imitation. Sans réserve, car, s'il est juste de louer les élus de Dieu, il est surtout utile de s'appliquer à entendre leurs leçons et à suivre leurs exemples. Or, une condition indispensable pour le faire avec fruit est de les étudier attentivement, chose que, trop souvent, on néglige, soit par simple oubli ou superficialité, soit par un sentiment de sa propre impuissance à reproduire des modèles de leur taille.

Devant le saint dont la vie est un tissu d'actes éclatants de vertus surhumaines, de pénitences horrifiantes et, en même temps, de faveurs célestes des plus rares, on demeure tellement ébloui que, dans cet éblouissement, alléguant l'impossibilité d'atteindre une si haute perfection, on se contente de répéter une fois de plus la formule devenue banale à force d'être commode, que les saints sont plutôt à admirer qu'à imiter. À l'inverse, devant le saint dont la vie se déroule toute unie sans épisodes impressionnants, sans exploits retentissants, plusieurs restent déçus et on la juge trop terne pour valoir la peine d'y chercher des exemples à suivre.

Dans un cas comme dans l'autre, ce qui a échappé à l'examen, c'est précisément l'essentiel. Comme on foule aux pieds, dans l'herbe où elle se cache, la violette, sans la reconnaître à son parfum, on dédaigne le parfum discret d'une vie sans éclat ; pas davantage on ne sait deviner, derrière le décor merveilleux d'une vie à grande allure, la réalité vivante, l'âme, pour s'efforcer non de copier les gestes, mais de vivre du même esprit, dont ces gestes furent animés.

Mieux peut-être que d'autres vies, celle de votre Frère Bénilde se manifeste-t-elle au premier coup d'œil admirable et imitable. Vie simple et uniforme, succession ininterrompue d'actions ordinaires dans un cadre plutôt modeste, non pas vie cachée, mais vie dépensée tout au grand jour, sous les yeux d'une population plus à même de comprendre et d'apprécier l'héroïsme du maître d'école que celui de la contemplative ou de l'étudiant.

Quel est donc le secret de la sainteté de ce Frère Bénilde ? Un grand nombre de témoins ont défilé au procès de sa béatification, et la somme de leurs dépositions en des pages très simples montrerait surtout - en l'illustrant çà et là de quelques traits sans grand relief — l'exécution au jour le jour du programme tracé, par la règle et par la coutume, aux fils et disciples de saint Jean-Baptiste de La Salle. C'est un programme qui peut paraître bien restreint à qui ne lui accorde qu'un regard superficiel, bien mesquin à qui, ne voyant que l'aspect humain des choses, le compare à celui des grands conquérants apostoliques, à celui des grands contemplatifs et des grands pénitents. Telle qu'elle est, cette règle prend l'homme tout entier, à tout instant, sans répit, sans même le soulagement de quelque variété dans l'abnégation et le sacrifice. Ce qui s'est fait hier, se qui se fait aujourd'hui, se fera demain et de la même manière. Aucun évènement saillant n'y fait date et, n'était le front qui insensiblement grisonne, se découvre et se penche chaque jour un peu plus, rien ne dirait que les semaines, les mois, les années ont fait longue cette vie courageuse. Les témoins concordent dans l'impression qu'ils manifestent sur l'héroïcité des vertus telles qu'elles leur apparaissaient dans notre nouveau Bienheureux. « Je considère, disait l'un d'eux qui avait été jadis son élève, que l'héroïcité des vertus consiste non seulement à faire des actes extraordinaires, mais à accomplir son devoir sans se démentir jamais, et c'est à ce dernier titre que je pourrais appeler héroïques la vertu ou les vertus du Frère Bénilde » (Summ. num. VI § 41). « Il ne s'est jamais démenti dans l'accomplissement de notre règle, qui est pourtant sévère, dit un autre, et en cela il a été héroïque » (ibid. § 52). Mais lui-même a indiqué la vraie marque de sa sainteté, lorsqu'il disait, sans se douter qu'il faisait ainsi d'avance son propre panégyrique : « Pour être un saint, il n'y a pas chez nous grand'chose à faire : il n'y a qu'à observer la règle » (ibid. num. XII § 28). La maladie même ne l'empêchait pas d'y être rigoureusement attaché et on le voyait alors « se traîner péniblement jusqu'à l'oratoire pour assister aux exercices. Il n'y a guère manqué que pendant sa dernière maladie » (ibid. num. VI §§ 9-10) : Et alors, et dans la mort même, il se montra passionnément fidèle. Il voulut renouveler ses vœux, bien résolu à être, disait-il, « régulier jusqu'à la fin » (ibid. num. XVIII § 5o). Prenant en main son livre des règles, il se met à pleurer, lui, le modèle des religieux, « de n'avoir pas assez bien observé cette sainte règle » (ibid. §§ II-12)

C'est encore un témoignage, et non le moins convaincant peut-être, la crainte instinctive qu'éprouvaient certaines jeunes Frères d'aller vivre à Saugues, où il était Directeur (ibid. n. § 161). Ils le connaissaient de réputation et lui-même, on le savait, disait : « Je ne suis pas digne d'être directeur, mais aussi longtemps que mes supérieurs me laisseront dans cet emploi j'exigerai que la règle soit scrupuleusement observée » (ibid num. XIII § 21). Ceux qui avaient fait l'expérience de son gouvernement exaltent son immense charité ; il s'appliquait à rendre le joug plus suave, mais pour rien au monde il ne l'eût desserré et cela pouvait faire peur à des débutants encore fragiles (ibid. num. XV § 24). Ils étaient, au reste, fort probablement, bons religieux, mais enfin, on peut sans se dérober à la règle, sans la violer positivement, même de façon légère, la tourner adroitement, tout au moins s'arranger en sorte de n'en pas trop sentir l'étreinte. Il y a de la marge de la simple correction disciplinaire à la pratique exacte de la plus rigoureuse ponctualité, à l'exquise délicatesse des amants de la pauvreté, au renoncement total que suppose la dépendance absolue, à l'abnégation continuelle requise par l'exercice de cette vie commune dans laquelle saint Jean Berchmans trouvait sa grande mortification : « Maxima mea paenitentia vita communis ». Il y a des degrés et, dans une vie sans grands incidents, sans occasion, extraordinaires, c'est à ces degrés que se mesure la sainteté d'un religieux. Celle du Frère Bénilde s'élevait très haut.

L'esprit mondain, trop naturel, se trompe, lorsqu'il méconnaît l'héroïsme d'une vie cachée ; il se trompe, lorsqu'il s'imagine la vie, retirée dans la solitude et le silence de la contemplation ou de l'étude, comme une vie pieusement oisive de repos et de tranquillité. Certes, il ne peut plus conserver cette illusion en regardant notre Bienheureux. Toute simple qu'elle fût, sa vie se déroulait au jour le jour, sous les yeux et dans la fréquentation continuelle de nombreux témoins, les plus variés, dont plus d'un avant de concourir à sa gloire en déposant dans le procès de béatification, avait contribué, durant sa vie d'ici-bas, à lui faire pratiquer les vertus héroïques qui l'ont fait saint. Élèves, familles, population de Saugues et de la région, autorités civiles et religieuses exerçaient sa patience, bien difficile humainement, quand il lui fallait, tout en la gardant douce et charitable, maintenir avec une indomptable fermeté et faire respecter les droits et les exigences de sa condition de religieux, d'instituteur et de directeur. Que d'avanies il eut à supporter, les plus irritantes, dont les exemples se pressent en foule dans votre mémoire : un jour c'est pour soutenir l'autorité d'un de ses subordonnés, dont la juste sévérité a allumé la fureur d'un père trop enclin à voir dans son fils indiscipliné une innocente victime de la tyrannie pédagogique (ibid. num. XIII § 45) ; un autre jour, c'est pour sauvegarder la régularité et le recueillement de sa communauté contre les importunes indiscrétions d'un voisin parmi les mesquines querelles de mur mitoyen (ibid. §§ 9 e 46). Durant un temps plus long, il lui faut assurer, dans le maintien de la paix et de la concorde, les droits et les intérêts de son école tiraillée entre les rivalités, susceptibilités et divisions de partis, qui opposent entre eux les divers représentants de l'administration ecclésiastique et séculière. Les bonnes volontés mêmes le mettaient, par leur maladresse, en fâcheuse posture. Finalement sa bonté, ses vertus réussissaient à vaincre les hostilités, et ses pires adversaires devenaient ses meilleurs amis ; l'un d'eux, un des plus acharnés, mourut sereinement entre ses bras (ibid. num. X § 157). L'ensemble de la population ne pouvait manquer de sentir la salutaire influence de ce serviteur de Dieu.

Lorsque la justice et le devoir ne la forçait pas à se raidir dans la lutte, alors sa charité se donnait libre cours avec une souriante délicatesse. Il était attentif pour découvrir et soulager les nécessités des familles, surtout de ses élèves. Mais il y mettait tant de discrétion et d'ingéniosité, que les plus ombrageux n'auraient pu se sentir humiliés de recevoir ce qui perdait toute apparence d'aumône. Il faisait cadeau de livres et d'autres fournitures classiques ; il prenait soin des malades, surtout de ceux qui pouvaient provoquer quelque répugnance ; il les instruisait en leçons particulières (ibid. num. X §§ 47-49, 71-72, 99-103). Il aimait tant ses enfants ! Et pourtant quelle croix pesante ils mettaient sur ses épaules ! Le martyrologe fait connaître le supplice d'un maître d'école, qui eut d'autant plus à souffrir de la part des écoliers devenus ses bourreaux, que leurs coups impuissants prolongeaient d'autant plus ses tortures (cfr. Martyrol. Rom. Bruxellis 1940, aug. 13, n. 2 ; S. Cassiani mart.). C'est un fait isolé, mais combien de maîtres ont à supporter durant des années, durant toute une longue vie religieuse, comme une sorte de martyre lent de la part d'enfants qui ne se doutent point qu'il font souffrir. Le Frère Bénilde a laissé échapper un mot, qui donne à entrevoir ce qu'il eut à endurer dans sa vie d'instituteur et de directeur : « Si nous n'avions pas la foi, notre profession serait bien pénible, les enfants sont difficiles, mais avec la foi comme toute change » (ibid. num. VII § 52). Les enfants fussent-ils tous sages et bons, la consolation qu'ils donneraient ne les empêcherait pas d'être souvent fatigants par leur étourderie, leur espièglerie, leur difficulté parfois à comprendre les choses les plus simples. Et puis, à peine sont-ils dégrossis qu'ils quittent l'école ou passent en d'autres mains, oubliant leur maître, qui reprend patiemment sa tâche auprès d'une nouvelle génération, et ainsi d'année en année. Si ce n'était que cela, ce serait encore l'idéal ; mais, pour quelques sujets qui correspondent aux soins dont ils sont entourés, combien d'autres qui ne donnent que de la fatigue et de la peine et dont l'éducation ne se fait qu'à grosses gouttes de sueurs et de larmes !

Une si indéfectible constance dans la fidélité aux humbles devoirs de la vie quotidienne, dans la pratique de toutes les vertus et dans toutes les occasions, ne peut être que l'épanouissement au dehors d'une vie intérieure profonde, vigoureuse, débordante de sève divine. Seuls sont capables d'en donner l'exemple avec l'inaltérable sérénité du bienheureux Bénilde ceux qui peuvent faire leur le mot de saint Paul : « Notre chez-nous est dans les cieux»: « Nostra conversatio in caelis est » (Ph 3, 20).

Occupé sans relâche au soin des Frères de sa communauté et de ses enfants, il était pourtant en union permanente avec Dieu. On le rencontrait habituellement le chapelet en main et, sans effort, par un épanchement spontané de sa dévotion, il inspirait à tous l'amour de Jésus, de Marie et de Joseph.

Modèle admirable, mais modèle imitable pour tous, pour vous surtout, ses frères en religion. Que son intercession vous obtienne à tous une nouvelle infusion, toujours plus abondante de l'esprit de votre institut, tel que l'a conçu et établi votre saint fondateur. Soyez les dignes fils de saint Jean-Baptiste de La Salle, les fervents émules du bienheureux Bénilde dans l'exercice de votre difficile mais magnifique apostolat. Il sera également pour vous un protecteur puissant, et non pas seulement pour vous, mais pour tous ceux, religieux et laïques qui, avec une abnégation digne de tout éloge, ont voué leur vie à l'éducation de la jeunesse. Sous son patronage, toutes ces admirables écoles catholiques, sur lesquelles a passé l'orage, ou dont l'existence est plus ou moins menacée ou rendue difficile, verront, Nous en avons la ferme espérance, le soleil briller de nouveau sur elles et elles reprendront ou poursuivront, plus florissantes que jamais, leur tâche, sainte entre toutes, de fournir des citoyens exemplaires et utiles à la société, de vaillants serviteurs au Christ et à l'Église.

Et vous aussi, élèves et anciens des Frères, c'est avec une douce émotion que Nous vous voyons accourus si nombreux pour vous joindre dans la joie et la fierté de ces journées aux éducateurs de votre enfance et de votre adolescence. Nous y voyons une manifestation de plus de cet esprit de famille, qui a toujours fait l'honneur et la force de l'Institut des écoles chrétiennes. Vous êtes venus de bien des nations ; combien d'autres sont ici de cœur ! Vous êtes venus de la France, patrie du bienheureux Bénilde et de son Père saint Jean-Baptiste de La Salle.

***

Estáis presentes también los peregrinos venidos de España, los hijos de ese pueblo, cuya fe y cuyo fervor se diría que el nuevo Beato ha mirado desde el cielo con predilección especial, premiandole con numerosas gracias, dos de las cuales son precisamente las que han servido para glorificarle, verificadas en las afortunadas personas de dos buenos Hermanos españoles.

Vuestro inquebrantable amor y vuestra adhesión ejemplar a Jesucristo y a su Iglesia son sin duda ninguna la mejor recompensa para aquellos — es decir, para los excelentes educadores, los Hermanos de las Escuelas Cristianas — que han contribuido a la formación de los espíritus y de los corazones de una juventud sana, pura y fuerte, dispuesta a dar testimonio de su propia fe hasta con el derramamiento de su sangre.

Y al lado vuestro, en santa y justa hermandad de apellidos, de lengua y de fe saludamos igualmente a los peregrinos hispano-americanos, hijos también de jovenes pueblos cristianos, esperanza de la civilizacién y de la Iglesia.

***

Finalmente il Nostro saluto si volge con particolare affetto a voi, diletti figli, alunni ed ex alunni venuti da tutte le regioni d'Italia, ove l'albero piantato già in terra di Francia ha prodotto così forti virgulti e maturato cosi nobili frutti di virtù religiose e civili. Quale magnifico « libro d'oro » potrebbero formare i nomi di tanti buoni, fedeli e valorosi servitori di Dio, della patria e della umanità, di tanti cattolici saldi, fervorosi e ben istruiti nelle verità della fede, usciti dalle scuole elementari, tecniche e superiori dei « cari Fratelli », scuole ove, al pari di un tempio, entra l'onestà e il decoro, risplende il sapere e presiede quella religione, che, mentre sospinge e guida gli animi fervidi della gioventù sui diversi sentieri dell'azione, del lavoro, dello studio, dell'ardimento sociale, li innalza e li sublima in Dio. Il nostro Beato aveva ben ragione quando affermava che la fede trasfigura e fa gradita e dolce una professione la quale per se stessa può essere non di rado penosa. Questo spirito di fede, attinto dalla regola del santo Fondatore, rendeva a lui l'insegnamento soprattutto catechistico così soave e pregevole, che, dopo averlo esercitato per lunghi anni con amorosa diligenza, continuò ad impartirlo, pur con respiro affannoso, ai fanciulli fin quasi al termine della sua santa vita.

Con tali sentimenti e con tali auguri, invochiamo su tutto il benemerito Istituto, sparso nelle cinque parti del mondo, le più elette grazie del Cielo, mentre di gran cuore impartiamo a quanti siete qui presenti, religiosi, alunni ed ex-alunni, conte anche alle vostre famiglie e alle persone e cose che vi sono care, la Nostra paterna Apostolica Benedizione.

 

* Discours et messages-radio de S.S. Pie XII, X,
Dixième année de pontificat, 2 mars 1948- 1er mars 1949, pp. 37-43
Typographie Polyglotte Vaticane.