Bernardo Tolomei

Bernardo Tolomei

(1272-1348)

Beatificazione:

- 24 novembre 1664

- Papa  Alessandro VII

Canonizzazione:

- 26 aprile 2009

- Papa  Benedetto XVI

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 20 agosto

Abate, fondatore della Congregazione di Santa Maria di Monte Oliveto dell’Ordine di San Benedetto, si applicò con premura all’osservanza della disciplina monastica e, durante una epidemia di peste diffusasi in tutta l’Italia, morì presso i monaci di Siena che ne erano stati colpiti

  • Biografia
  • Omelia
  • un eroe di penitenza
Eroe di penitenza e martire di carità, iniziatore di un singolare movimento monastico benedettino

 

Bernardo Tolomei nacque a Siena  il 10 maggio 1272. Ricevette al battesimo il nome di Giovanni. Fu educato dai Frati Predicatori, nel Collegio di S. Domenico di Camporeggio, in Siena; fu promosso cavaliere (miles) dall’imperatore Rodolfo I d’Asburgo († 1291). Studiò materie giuridiche nella sua città di origine, dove fece anche parte della Confraternita dei Disciplinati di Santa Maria della Notte, attivi nell’ospedale della Scala al servizio dei ricoverati. Una progressiva quasi totale cecità provocò la rinuncia ad una carriera pubblica.

In un’epoca di lotte fra le fazioni cittadine, per realizzare in modo più assoluto il proprio ideale cristiano ed ascetico, nel 1313, ormai quarantenne, insieme a due concittadini impegnati nella mercatura e nel commercio (il Beato Patrizio Patrizi † 1347 e il Beato Ambrogio Piccolomini † 1338), nobili senesi anch’essi appartenenti alla predetta Confraternita, allontanandosi da Siena, si ritirò nella solitudine di Accona, a circa 30 km. a sud-est della città. In quella regione Giovanni (che nel frattempo aveva assunto il nome di Bernardo, per venerazione nei confronti del santo abate cistercense), insieme con i suoi compagni condusse vita eremitica in alcune grotte scavate nel tufo. La vita penitente di questi laici eremiti era caratterizzata dalla preghiera, dalla lectio divina, dal lavoro manuale e dal silenzio. Altri compagni venuti da Siena, da Firenze e dalle regioni circostanti, si unirono presto a loro; il loro modello era la forma di vita degli Apostoli e dei primi monaci della Tebaide.

Verso la fine del 1318 o all’inizio del 1319, mentre un giorno era immerso nella preghiera, egli ebbe la percezione oculare di una scala sulla quale vide salire, aiutato dagli angeli, monaci vestiti di bianco, attesi da Gesù e Maria. Questa reminiscenza biblica costituisce un tema noto nella tradizione monastica, ma il cronista olivetano Antonio da Barga (nel 1450 ca.) assicura che Bernardo chiamò gli altri fratelli ed essi pure videro il segno della volontà divina nei loro riguardi, nella visione della “scala di Giacobbe”. Non erano sacerdoti, tuttavia, in base alla testimonianza di Antonio da Barga, “essi facevano celebrare i divini misteri da presbiteri devoti da loro conosciuti”.

Il cardinale Bertrando di Poyet, legato di Giovanni XXII allora residente in Avignone, venne a controllare l’osservanza del gruppo (tra il 1316 e il 1319). In ottemperanza alla Costituzione 13 del IV Concilio Lateranense (1315) che proibiva la fondazione di nuovi Ordini religiosi fino ad allora non approvati, per consolidare la posizione giuridica del nuovo gruppo, Bernardo, con Patrizio Patrizi, si recò dal vescovo di Arezzo Guido Tarlati di Pietramala, nella cui giurisdizione si trovava in quel tempo Accona. Ne ottenne un decreto di erezione per il futuro monastero di S. Maria di Monte Oliveto, da istituire “sub regula sancti Benedicti” (26 marzo 1319), con alcuni privilegi ed esenzioni; il vescovo accolse, tramite un legato (il presbitero Restauro, affiliato alla Confraternita dei Fustigati presso la chiesa della SS. Trinità in Arezzo), la loro professione monastica. Scegliendo la Regola di S. Benedetto, Bernardo dovette temperare la primitiva scelta eremitica, con l’adozione del cenobitismo benedettino; per il desiderio di onorare la Madonna, i fondatori indossarono un abito bianco: questa devozione mariana rimase in eredità alla spiritualità della Congregazione.

Il 1 aprile 1319 nacque dunque il monastero di Santa Maria di Monte Oliveto Maggiore, con la posa della prima pietra della chiesa, evento registrato da regolare documento steso dal notaio senese Giovanni del fu Ventura: il deserto di Accona era diventato “Monte Oliveto”, a ricordo del Monte degli Ulivi, su cui il Signore amava ritirarsi con i suoi discepoli e dove pregò prima della sua passione, e sito tradizionale dell’Ascensione. Gli eremiti divennero monaci secondo lo spirito della Regola di S. Benedetto, pur con alcuni mutamenti istituzionali, in un’epoca di relativa decadenza dell’Ordine monastico. L’elemento più caratteristico dell’evoluzione istituzionale fu la temporaneità della carica di abate: all’abate che doveva durare per sempre (semel abbas, semper abbas), il Capitolo Generale deliberò che il governo dell’abate dovesse durare solo un anno; inoltre l’eletto doveva essere confermato dal vescovo di Arezzo (documento del vescovo, 28 marzo 1324). Quando fu necessario eleggere un abate, Bernardo riuscì ad allontanare da sé la scelta dei monaci a causa della propria infermità visiva; pertanto fu eletto Patrizio Patrizi il 1° settembre 1319. Per altre due volte una scelta analoga fu ripetuta con l’elezione di Ambrogio Piccolomini, il 1° settembre 1320, e il 1° settembre 1321 con quella di Simone di Tura, da Siena († 1348). Il 1° settembre 1322, Bernardo non poté opporsi al desiderio dei suoi confratelli e divenne abate del monastero di cui era fondatore, funzione di governo che ricoprì fino alla morte. Un atto del 24 dicembre 1326 attesta che il Cardinale Giovanni Caetani Orsini († 1339), legato della Sede Apostolica, dispensò dal difetto visivo l’abate Bernardo, eletto nel 1322 a succedere a Simone di Tura.

Da Avignone, Clemente VI approvò la Congregazione allora formata da 10 monasteri, con due bolle (Vacantibus sub religionis: approvazione formale e canonica del nuovo Istituto; Sollicitudinis pastoralis officium: facoltà di erigere nuovi monasteri in Italia) del 21 gennaio 1344; per quella necessità, Bernardo non si era recato personalmente in Avignone, ma vi aveva inviato i monaci Simone Tendi e Michele Tani. Le direttive pontificie, emanate dalla bolla Summi magistri (20 giugno 1336) dal papa cistercense Benedetto XII, per riformare i monasteri benedettini, furono pienamente recepite dai Capitoli Generali olivetani.

Una prova significativa della eccezionale personalità spirituale di Bernardo consiste nel fatto che i monaci, pur avendo stabilito di non rieleggere l’abate al termine del suo mandato annuale, misero da parte tale disposizione, e per ventisette anni consecutivi fino alla morte, lo vollero nell’ufficio abbaziale, rieleggendolo alla scadenza di ogni anno: anzi, un atto estremo di fiducia nella paternità abbaziale si ebbe nel Capitolo Generale del 4 maggio 1347, quando i monaci gli concessero ampia facoltà di disporre di tutto senza dover previamente consultare il Capitolo e i fratelli, confidando nella sua santità che avrebbe disposto tutto in conformità alla volontà di Dio e per la salvezza di tutti. Ormai il cenobio di S. Maria di Monte Oliveto era diventato il centro di una Congregazione monastica guidata da un solo abate, mentre i singoli monasteri stavano sotto l’autorità di un prior. Bernardo tentò almeno due volte di lasciare l’ufficio abbaziale, nel 1326 e nel 1342, dichiarando al legato pontificio e ad esperti di diritto (Giovanni di Andrea e Arnoldo da Siena, poi Paolo de Hazariis, Andrea de Guarnariis e l’arcivescovo di Pisa, Dino da Radicofani) di non essere sacerdote per aver ricevuto soltanto gli Ordini minori, e adducendo inoltre l’avvenuta dispensa - per svolgere la funzione abbaziale - motivata da una persistente infermità visiva; ma il suo governo fu dichiarato pienamente legittimo anche secondo le norme canoniche di allora. Il suo misticismo ci è raccontato dalla tradizione dei suoi colloqui con il Crocifisso e da apparizioni di santi (per esempio San Michele).

Durante il suo abbaziato molti accorsero nel nuovo monastero da varie città. Il numero crescente dei monaci permise di accogliere le richieste di vescovi e di laici che volevano questi monaci bianchi nelle loro città e contadi, per cui Bernardo poté fondare altri dieci monasteri, strettamente legati all’abbazia principale, dalla quale ripetevano il nome, e retti da un priore. Per assicurare l’avvenire alla sua opera, Bernardo ottenne dal papa Clemente VI, il 21 gennaio 1344, l’approvazione pontificia di una nuova Congregazione benedettina, detta “S. Maria di Monte Oliveto”. In questo modo, Bernardo è l’iniziatore di un movimento monastico benedettino.

Bernardo lasciò ai suoi monaci un esempio di vita santa, di pratica delle virtù in grado eroico e un’esistenza dedita al servizio degli altri e alla contemplazione. Durante la Grande Peste del 1348, Bernardo lasciò la solitudine di Monte Oliveto per recarsi nel monastero di S. Benedetto a Porta Tufi, in Siena. Qui, assistendo i suoi concittadini e i monaci colpiti dall’infezione altamente contagiosa, morì egli stesso vittima della peste, con 82 monaci, in una data che la tradizione fissò al 20 agosto 1348.

CAPPELLA PAPALE
PER LA CANONIZZAZIONE DEI BEATI

Arcangelo Tadini (1846-1912) 
Bernardo Tolomei (1272-1348)
Nuno de Santa Maria Alvares Pereira (1360-1431)
Gertrude Comensoli (1847-1903)
Caterina Volpicelli (1839-1894)  

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Sagrato della Basilica Vaticana 
Domenica, 26 aprile 2009

 

Cari fratelli e sorelle,

in questa terza domenica del tempo pasquale, al centro della nostra attenzione la liturgia pone ancora una volta il mistero di Cristo risorto. Vittorioso sul male e sulla morte, l’Autore della vita, che si è immolato quale vittima di espiazione per i nostri peccati, “continua ad offrirsi per noi ed intercede come nostro avvocato; sacrificato sulla croce più non muore e con i segni della passione vive immortale” (cfr Prefazio pasquale 3). Lasciamoci interiormente inondare dal fulgore pasquale che promana da questo grande mistero, e con il Salmo responsoriale preghiamo: “Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto”.

La luce del volto di Cristo risorto risplende oggi su di noi particolarmente attraverso i tratti evangelici dei cinque Beati che in questa celebrazione vengono iscritti nell’albo dei Santi: Arcangelo Tadini, Bernardo Tolomei, Nuno de Santa Maria Alvares Pereira, Gertrude Comensoli e Caterina Volpicelli. Mi unisco volentieri all’omaggio che a loro rendono i pellegrini, qui convenuti da varie nazioni, ai quali con grande affetto rivolgo un cordiale saluto. Le diverse vicende umane e spirituali di questi nuovi Santi stanno a mostrarci il rinnovamento profondo che nel cuore dell’uomo opera il mistero della risurrezione di Cristo; mistero fondamentale che orienta e guida tutta la storia della salvezza. Giustamente pertanto la Chiesa sempre, ed ancor più in questo tempo pasquale, ci invita a dirigere i nostri sguardi verso Cristo risorto, realmente presente nel Sacramento dell’Eucaristia.

Nella pagina evangelica, san Luca riferisce una delle apparizioni di Gesù risorto (24,35-48). Proprio all’inizio del brano, l’evangelista annota che i due discepoli di Emmaus, tornati in fretta a Gerusalemme, raccontarono agli Undici come lo avevano riconosciuto “nello spezzare il pane” (v. 35). E mentre essi stavano narrando la straordinaria esperienza del loro incontro con il Signore, Egli “in persona stette in mezzo a loro” (v. 36). A causa di questa sua improvvisa apparizione gli Apostoli restarono intimoriti e spaventati, al punto che Gesù, per rassicurarli e vincere ogni titubanza e dubbio, chiese loro di toccarlo – non era un fantasma, ma un uomo in carne ed ossa - e domandò poi qualcosa da mangiare. Ancora una volta, come era avvenuto per i due di Emmaus, è a tavola, mentre mangia con i suoi, che il Cristo risorto si manifesta ai discepoli, aiutandoli a comprendere le Scritture e a rileggere gli eventi della salvezza alla luce della Pasqua. “Bisogna che si compiano – egli dice – tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi” (v. 44). E li invita a guardare al futuro: “nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati” (v. 47).

Questa stessa esperienza, ogni comunità la rivive nella celebrazione eucaristica, specialmente in quella domenicale. L’Eucaristia, il luogo privilegiato in cui la Chiesa riconosce “l’autore della vita” (cfr At 3,15), è “la frazione del pane”, come viene chiamata negli Atti degli Apostoli. In essa, mediante la fede, entriamo in comunione con Cristo, che è “altare, vittima e sacerdote” (cfr Prefazio pasquale 5). Ci raduniamo intorno a Lui per far memoria delle sue parole e degli eventi contenuti nella Scrittura; riviviamo la sua passione, morte e risurrezione. Celebrando l’Eucaristia comunichiamo con Cristo, vittima di espiazione, e da Lui attingiamo perdono e vita. Cosa sarebbe la nostra vita di cristiani senza l’Eucaristia? L’Eucaristia è la perpetua e vivente eredità lasciataci dal Signore nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, che dobbiamo costantemente ripensare ed approfondire perché, come affermava il venerato Papa Paolo VI, possa “imprimere la sua inesauribile efficacia su tutti i giorni della nostra vita mortale” (Insegnamenti, V [1967], p. 779). Nutriti del Pane eucaristico, i santi che oggi veneriamo, hanno portato a compimento la loro missione di amore evangelico nei diversi campi, in cui hanno operato con i loro peculiari carismi.

Lunghe ore trascorreva in preghiera davanti all’Eucaristia sant’Arcangelo Tadini, che, avendo sempre di vista nel suo ministero pastorale la persona umana nella sua totalità, aiutava i suoi parrocchiani a crescere umanamente e spiritualmente. Questo santo sacerdote, uomo tutto di Dio, pronto in ogni circostanza a lasciarsi guidare dallo Spirito Santo, era allo stesso tempo disponibile a cogliere le urgenze del momento e a trovarvi rimedio. Assunse per questo non poche iniziative concrete e coraggiose, come l’organizzazione della “Società Operaia Cattolica di Mutuo Soccorso”, la costruzione della filanda e del convitto per le operaie e la fondazione, nel 1900, della “Congregazione delle Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth”, allo scopo di evangelizzare il mondo del lavoro attraverso la condivisione della fatica, sull’esempio della Santa Famiglia di Nazareth. Quanto profetica fu l’intuizione carismatica di Don Tadini e quanto attuale resta il suo esempio anche oggi, in un’epoca di grave crisi economica! Egli ci ricorda che solo coltivando un costante e profondo rapporto con il Signore, specialmente nel Sacramento dell’Eucaristia, possiamo poi essere in grado di recare il fermento del Vangelo nelle varie attività lavorative e in ogni ambito della nostra società.

Anche in san Bernardo Tolomei, iniziatore di un singolare movimento monastico benedettino, spicca l’amore per la preghiera e per il lavoro manuale. La sua fu un’esistenza eucaristica, tutta dedita alla contemplazione, che si traduceva in umile servizio del prossimo. Per il suo singolare spirito di umiltà e di accoglienza fraterna, fu dai monaci rieletto abate per ventisette anni consecutivi, fino alla morte. Inoltre, per assicurare l’avvenire della sua opera, egli ottenne da Clemente VI, il 21 gennaio 1344, l’approvazione pontificia della nuova Congregazione benedettina, detta di “S. Maria di Monte Oliveto”. In occasione della grande peste del 1348, lasciò la solitudine di Monte Oliveto per recarsi nel monastero di S. Benedetto a Porta Tufi, in Siena, ad assistere i suoi monaci colpiti dal male, e morì egli stesso vittima del morbo come autentico martire della carità. Dall’esempio di questo Santo viene a noi l’invito a tradurre la nostra fede in una vita dedicata a Dio nella preghiera e spesa al servizio del prossimo sotto la spinta di una carità pronta anche al sacrificio supremo.

«Sabei que o Senhor me fez maravilhas. Ele me ouve, quando eu o chamo» (Sal 4,4). Estas palavras do Salmo Responsorial exprimem o segredo da vida do bem-aventurado Nuno de Santa Maria, herói e santo de Portugal. Os setenta anos da sua vida situam-se na segunda metade do século XIV [catorze] e primeira do século XV [quinze], que viram aquela nação consolidar a sua independência de Castela e estender-se depois pelos Oceanos – não sem um desígnio particular de Deus –, abrindo novas rotas que haviam de propiciar a chegada do Evangelho de Cristo até aos confins da terra. São Nuno sente-se instrumento deste desígnio superior e alistado na militia Christi, ou seja, no serviço de testemunho que cada cristão é chamado a dar no mundo. Características dele são uma intensa vida de oração e absoluta confiança no auxílio divino. Embora fosse um óptimo militar e um grande chefe, nunca deixou os dotes pessoais sobreporem-se à acção suprema que vem de Deus. São Nuno esforçava-se por não pôr obstáculos à acção de Deus na sua vida, imitando Nossa Senhora, de Quem era devotíssimo e a Quem atribuía publicamente as suas vitórias. No ocaso da sua vida, retirou-se para o convento do Carmo por ele mandado construir. Sinto-me feliz por apontar à Igreja inteira esta figura exemplar nomeadamente pela presença duma vida de fé e oração em contextos aparentemente pouco favoráveis à mesma, sendo a prova de que em qualquer situação, mesmo de carácter militar e bélica, é possível actuar e realizar os valores e princípios da vida cristã, sobretudo se esta é colocada ao serviço do bem comum e da glória de Deus.

Una particolare attrazione per Gesù presente nell’Eucaristia avvertì sin da bambina santa Gertrude Comensoli. L’adorazione del Cristo eucaristico diventò lo scopo principale della sua vita, potremmo quasi dire la condizione abituale della sua esistenza. Fu infatti davanti all’Eucarestia che santa Gertrude comprese la sua vocazione e missione nella Chiesa: quella di dedicarsi senza riserve all’azione apostolica e missionaria, specialmente a favore della gioventù. Nacque così, in obbedienza a Papa Leone XIII, il suo Istituto che mirava a tradurre la “carità contemplata” nel Cristo eucaristico, in “carità vissuta” nel dedicarsi al prossimo bisognoso. In una società smarrita e spesso ferita, come è la nostra, ad una gioventù, come quella dei nostri tempi, in cerca di valori e di un senso da dare al proprio esistere, santa Gertrude indica come saldo punto di riferimento il Dio che nell’Eucaristia si è fatto nostro compagno di viaggio. Ci ricorda che “l’adorazione deve prevalere sopra tutte le opere di carità” perché è dall’amore per Cristo morto e risorto, realmente presente nel Sacramento eucaristico, che scaturisce quella carità evangelica che ci spinge a considerare fratelli tutti gli uomini.

Testimone dell’amore divino fu anche santa Caterina Volpicelli, che si sforzò di “ essere di Cristo, per portare a Cristo” quanti ebbe ad incontrare nella Napoli di fine Ottocento, in un tempo di crisi spirituale e sociale. Anche per lei il segreto fu l’Eucaristia. Alle sue prime collaboratrici raccomandava di coltivare una intensa vita spirituale nella preghiera e, soprattutto, il contatto vitale con Gesù eucaristico. E’ questa anche oggi la condizione per proseguire l’opera e la missione da lei iniziate e lasciate in eredità alle “Ancelle del Sacro Cuore”. Per essere autentiche educatrici della fede, desiderose di trasmettere alle nuove generazioni i valori della cultura cristiana, è indispensabile, come amava ripetere, liberare Dio dalle prigioni in cui lo hanno confinato gli uomini. Solo infatti nel Cuore di Cristo l’umanità può trovare la sua ‘stabile dimora”. Santa Caterina mostra alle sue figlie spirituali e a tutti noi, il cammino esigente di una conversione che cambi in radice il cuore, e si traduca in azioni coerenti con il Vangelo. E’ possibile così porre le basi per costruire una società aperta alla giustizia e alla solidarietà, superando quello squilibrio economico e culturale che continua a sussistere in gran parte del nostro pianeta.

Cari fratelli e sorelle, rendiamo grazie al Signore per il dono della santità, che quest’oggi rifulge nella Chiesa con singolare bellezza in Arcangelo Tadini, Bernardo Tolomei, Nuno de Santa Maria Alvares Pereira, Gertrude Comensoli e Caterina Volpicelli. Lasciamoci attrarre dai loro esempi, lasciamoci guidare dai loro insegnamenti, perché anche la nostra esistenza diventi un cantico di lode a Dio, sulle orme di Gesù, adorato con fede nel mistero eucaristico e servito con generosità nel nostro prossimo. Ci ottenga di realizzare questa missione evangelica la materna intercessione di Maria, Regina dei Santi, e di questi nuovi cinque luminosi esempi di santità, che oggi con gioia veneriamo. Amen!

Questo eroe di penitenza e martire di carità non passò inosservato, come constatò Pio XII in una Lettera inviata all’Abate Generale D. Romualdo M. Zilianti l’11 aprile 1948, in occasione dell’imminente sesto centenario della morte del Beato. Da giovane, Bernardo aveva servito gli infermi in un ospedale di Siena; da anziano, a 76 anni, aiutò gli appestati senza temere un contagio che si rivelò fatale: una tale generosità non si improvvisa. Il venerato abate fu sepolto nelle vicinanze della chiesa del monastero senese. Tutti i cadaveri degli appestati furono deposti in fosse comuni, nella calce viva, fuori della chiesa; gli scavi successivi non hanno consentito di identificare le reliquie di Bernardo.

Di Bernardo rimangono frammenti di 48 lettere e una omelia. Le lettere emanano la fragranza di una sapienza letteraria e spirituale, rivelano il suo temperamento e lo definiscono implicitamente un uomo che della regola di S. Benedetto si era fatto seguace sincero; consentono di percepire la sua umiltà, la sua sensibilità, il suo spirito ecclesiale e comunitario, e di valutare la sua conoscenza della Sacra Scrittura.

Della sua devozione mariana sono segno la dedicazione alla Natività di Maria Vergine della chiesa di Monte Oliveto Maggiore e l’abito bianco.

Le soppressioni degli Ordini religiosi, nella Repubblica veneta nel 1771, poi nel Granducato di Toscana e nel regno di Napoli, e in seguito nella nuova Repubblica cisalpina nel 1808 e nel Regno d’Italia (periodo napoleonico, 1797-1814), e altrove nel secolo XIX, non consentirono di condurre a termine il Processo di canonizzazione. La restaurazione della Congregazione olivetana, dalla seconda metà del secolo XIX, culminò in un nuovo sviluppo e nella ripresa della Causa nel secolo XX.