Carlo Gnocchi

Carlo Gnocchi

(1902-1956)

Beatificazione:

- 25 ottobre 2009

- Papa  Benedetto XVI

Ricorrenza:

- 25 ottobre

Sacerdote diocesano, cappellano militare, fondatore dell’Opera Pro Juventute, oggi Fondazione Don Gnocchi, con lo scopo di assistere le vittime della guerra, nella ricerca del riscatto del loro "dolore innocente"

  • Biografia
  • fama di santità
  • omelia di beatificazione
“Comprendo che oggi solo la carità può salvare il mondo e che ad essa bisogna assolutamente consacrarsi”

 

Carlo Gnocchi nacque il 25 ottobre 1902 a San Colombano al Lambro, Milano. Finiti gli studi al Seminario Minore di S. Pietro martire, entrò nel Seminario di Monza e il 6 giugno 1925 fu ordinato sacerdote. La sua prima esperienza pastorale, un anno a Cernusco sul Naviglio, già fa presagire il suo impegno pastorale nel campo giovanile.

Dal 1926 al 1936 è coadiutore nella Parrocchia di S. Pietro in Sala, la più vasta della Diocesi di Milano. Dovunque ci siano giovani è presente, tanto da non ricusare l’impegnativo incarico di Cappellano dei Balilla e dei Giovani Avanguardisti nel 1936. Durante l’epoca del fascismo sente con urgenza la necessità di portare la Parola di Dio senza confondersi con l’indottrinamento ideologico del regime.

La sua passione pastorale per la gioventù viene notata dai Fratelli delle Scuole Cristiane, che il 22 settembre 1936 ottengono che venga nominato Padre Spirituale all’Istituto Gonzaga, da loro diretto. Gli eventi bellici della Seconda Guerra Mondiale lo vedono Cappellano Militare fra gli alpini sul fronte greco – albanese e nella campagna di Russia.

La tragedia della campagna di Russia matura ulteriormente la sua capacità di amore ai sofferenti, che giunge ad episodi di vero eroismo. L’intera vicenda, vissuta sui campi di battaglia e l’immediato dopoguerra, lo aiutano ad avere quella larghezza di vedute necessaria per poter affrontare la ricostruzione. La nomina ad Assistente ecclesiastico dell’Università Cattolica del S. Cuore lo impegnerà fino al 1948, ma il Venerabile Servo di Dio Carlo Gnocchi ormai ha intuito che i danni materiali della guerra hanno ripercussioni interiori ancora più incalcolabili e nasce in lui una esigenza incontenibile di aiutare i più deboli ed indifesi.

Già nel 1945 il Prefetto di Como lo aveva nominato Cappellano dell’Istituto Grandi Invalidi di Arosio. In questo contesto di sofferenza aveva incontrato i primi bambini orfani di guerra, poi quelli mutilati. Aveva promesso ai moribondi del fronte russo che avrebbe pensato ai loro figli e il momento era dunque arrivato.

Il 12 ottobre 1948 nasce la Fondazione Pro Infanzia Mutilata, poi diventata Pro-iuventute e, in tempi incredibilmente brevi, si aprono i collegi di Pessano, Inverigo, Torino, Parma e Roma. Con il Venerabile Servo di Dio operano alcuni sacerdoti ed è aiutato dall’Opera Don Orione, dai Fratelli delle Scuole Cristiane e da numerosi laici. Il suo genio organizzativo ed il suo innegabile carisma attrae e trascina. L’opera cresce, allarga i suoi orizzonti: ora raccoglie non solo mutilatini, ma anche orfani, emarginati, abbandonati di ogni tipo.

La carità si diffonde senza frontiere. Infaticabile nella sua opera, ardente di fede, speranza e carità, sempre fidando nella Divina Provvidenza, dovrà lasciare il testimonio ben presto: nel gennaio del 1956 si manifesterà una grave malattia, che lo porterà all’incontro con il Signore il 28 febbraio, non senza aver disposto la donazione delle sue cornee a due giovani non vedenti.

Il costante aumento della fama di santità presso il Popolo di Dio, fece sì che l’Arcidiocesi di Milano iniziasse l’Inchiesta diocesana sulla fama di santità e le virtù nel 1987. Riconosciuta la validità giuridica dell’Inchiesta, con Decreto del 29 ottobre 1993, il 22 ottobre 2002, il Congresso Peculiare dei Consultori Teologi diede parere favorevole in merito all’esercizio eroico delle virtù del Servo di Dio e così fu il giudizio dei Padri Cardinali e Vescovi nella Sessione Ordinaria del 3 dicembre dello stesso anno.

Giovanni Paolo II autorizzò la Congregazione delle Cause dei Santi ad emettere il Decreto sull’eroicità delle virtù il 20 dicembre 2002. Osservato quanto stabilito dal diritto, è stato autorizzata dalla Congregazione delle Cause dei Santi la promulgazione del Decreto sul miracolo il 17 gennaio 2009, stabilendo che il rito della beatificazione avvenisse a Milano, il 25 ottobre 2009.

OMELIA DI BEATIFICAZIONE

 

Carissimi fratelli e sorelle, a tutti rinnovo il saluto liturgico: la grazia, la pace e la gioia del Signore Gesù sia nel cuore di ciascuno di voi. Insieme vogliamo rendere grazie a Dio per il dono fatto alla Chiesa di un nuovo beato nella persona di don Carlo Gnocchi.
Una gratitudine che estendiamo a quanti il Signore si è scelto come “strumenti” di questo evento di grazia: in particolare il Santo Padre Benedetto XVI - cui vanno la nostra preghiera e il nostro affetto - e l’arcivescovo mons. Angelo Amato, che oggi lo rappresenta in mezzo a noi; l’immensa schiera delle persone che hanno incontrato, conosciuto, stimato, amato Don Carlo e ne hanno testimoniato il cammino di santità; quanti hanno tenuto viva la memoria di questo sacerdote ambrosiano continuandone le opere e lasciandosi ispirare dal suo carisma di carità intelligente e coraggiosa verso i giovani, i soldati, i piccoli, i malati, i sofferenti, i poveri, gli emarginati; tutti noi presenti e partecipi a questo solenne rito di beatificazione, compresi quanti ci seguono grazie ai mezzi di comunicazione.

Questo rendimento di grazie al Signore, mentre dice la nostra gioia spirituale, diventa per noi un richiamo particolarmente forte a riscoprire la fondamentale e comune vocazione alla santità: questo e non altro è il grande progetto d’amore e di felicità che dall’eternità Dio ha stabilito per tutti e per ciascuno di noi: ci vuole santi, come lui è santo!
Questo è il progetto che abita il cuore di Dio e di conseguenza non ci può essere nel nostro cuore un desiderio, un’aspirazione, un bisogno più forti e radicali che di fare nostro questo progetto e con la massima generosità possibile. Così cammineremo sulla strada della santità: una strada divina ma al tempo stesso umana e umanizzante.
Beatificando don Carlo la Chiesa dichiara autorevolmente che il desiderio di farsi santo è stato il sentimento dominante del suo cuore e insieme il principio fecondo della sua comunione d’amore con Dio e della sua infaticabile attività al servizio dell’uomo: una santità mistica e umanamente contagiosa e missionaria; una santità che lo conduceva a vivere nell’intimità di Dio e ad aprirsi e donarsi agli uomini in ogni ambito della loro esistenza.
Di questo progetto divino di amore e di felicità don Carlo era profondamente convinto e non temeva affatto di proporlo, peraltro in modo affascinante ed esigente, ai suoi giovani: "Nulla è più santificante e salvifico della santità. Credetelo. La santità irradia tacitamente Fede e bontà. Ben più e ben meglio delle discussioni e delle industrie umane, la santità ha il magico potere di convertire. Credetelo!"
Così parlava ai giovani dei suoi oratori di Cernusco sul Naviglio e di San Pietro in Sala a Milano, ripetendo quasi come slogan la celebre frase di Leon Bloy: «Non vi è al mondo che una tristezza: quella di non essere santo».
E questo sia il richiamo che vogliamo accogliere dal Rito che stiamo celebrando: la sfida che tutti ci interpella, la missione che come credenti ci viene affidata è quella di portare nel nostro mondo il fuoco della santità, il fuoco dell’amore, il fuoco della vera gioia. Ma come portarlo? È una domanda che trova risposta nella prima lettura della liturgia ambrosiana che oggi celebra la Domenica detta del “Mandato missionario”.

Gli Atti degli Apostoli (8, 26-39) ci presentano un ministro della regina Candace d’Etiopia: è alla ricerca di Dio ed è affascinato dal Dio d’Israele. Dal tempio di Gerusalemme sta tornando verso la sua terra e in viaggio legge il libro del profeta Isaia.
È inquieto perché non ne comprende il contenuto. Proprio in quel momento gli si accosta il diacono Filippo, che si era messo in cammino obbedendo alla voce dell’angelo. Senza alcuna paura Filippo intavola il discorso, sale sul carro dell’etiope, prende il libro, ne spiega il senso e annuncia Gesù. Questo ministro e questo diacono incarnano alcuni tratti che caratterizzano il nuovo beato.
Anche don Carlo, come l’eunuco etiope, è stato inquieto cercatore di Dio e come Filippo fu coraggioso cercatore dell’uomo. È nella ricerca del volto di Cristo impresso nel volto d’ogni uomo che don Carlo ha consumato la sua vita.
Lo ha cercato in ogni soldato, in ogni alpino - ferito o morente -, in ogni bimbo violato dalla ferocia della guerra, in ogni mutilatino vittima innocente dell’odio, in ogni frutto della violenza perpetrata sull’innocenza della donna, in ogni poliomielitico piegato nel corpo dal mistero stesso del dolore.
Sta qui il segreto dell’amore di don Carlo per l’uomo: la vivissima coscienza che nel cuore di ogni essere umano abita lo splendore del volto di Dio. Ma ogni cristiano è chiamato ad amare sino alla fine e senza paura ogni essere umano, sapendo che in tutti è l’impronta incancellabile del volto di Dio, di tutti Creatore e Padre.

La seconda lettura, tratta dalla lettera di Paolo a Timoteo (1 Timoteo 2,1-5), ci rimanda ad un tratto caratteristico della carità di Don Gnocchi. L’Apostolo raccomanda, in particolare, “che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio”.

don Carlo ha saputo coinvolgersi con dedizione entusiasta e disinteressata non solo nella vita della Chiesa, ma anche in quella della società.
E lo ha fatto coltivando con grande intelligenza e vigore l’intimo legame tra la carità e la giustizia: una carità che “tende le mani alla giustizia”, egli diceva. Noi possiamo continuare la sua opera chiedendo oggi alla giustizia di tendere le mani alla carità.
Don Carlo è stato mirabile nell’operare una sintesi concreta di pensiero e di impresa, appellando alle diverse istituzioni pubbliche e insieme alle molteplici forme di volontariato, ponendo come criterio necessario e insuperabile la centralità della persona umana sempre onorata nell’inviolabilità della sua dignità e nella globalità unitaria delle sue dimensioni - fisiche, psichiche e spirituali -, insistendo sull’opera educativa e culturale come decisamente prioritaria per lo sviluppo autentico della società. Mai egli ha dimenticato il privilegio e comandamento evangelico del servizio agli “ultimi”.
don Carlo ha vissuto la sua vocazione come impegno leale nel mondo, senza sminuire - anzi arricchendo - il suo essere di sacerdote. Impegno nel mondo così come si presentava al suo tempo: lontano dalle nostalgie del passato, calato cordialmente nel presente, aperto, profetico e anticipatore del futuro, mai nel segno del pessimismo o della paura. Egli era convinto che il tempo nel quale Dio lo aveva chiamato a vivere era il migliore possibile.
Nell’opera "Educazione del cuore scrisse": "Amiamo di un amore geloso il nostro tempo, così grande e così avvilito, così ricco e così disperato, così dinamico e così dolorante, ma in ogni caso sempre sincero e appassionato. Se avessimo potuto scegliere il tempo della nostra vita e il campo della nostra lotta, avremmo scelto… il Novecento senza un istante di esitazione".
Al mondo moderno don Carlo augurava un tempo nuovo, un nuovo tipo di umanità; augurava la personalità cristiana, cioè *“cristianesimo e cristiani attivi, ottimisti, sereni, concreti e profondamente umani; che guardano al mondo, non più come a un nemico da abbattere o da fuggire, ma come a un (figlio) prodigo da conquistare e redimere con l’amore…”.
Sono parole preziose anche per noi: amiamo il nostro tempo; impegniamoci nel nostro mondo; portiamo in tutti gli ambienti della nostra vita le speranze umane e la “speranza grande” che ci viene da Cristo, il vincitore della morte e di ogni male.

Un ultimo pensiero vogliamo trarre dal Vangelo che ci ripropone il mandato missionario di Gesù risorto: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura”. A questo mandato hanno obbedito gli apostoli e tutti gli autentici discepoli del Signore.

Ha obbedito il beato Carlo Gnocchi. Vogliamo obbedire anche noi. Sì, siamo pienamente consapevoli della nostra debolezza e talvolta della nostra infedeltà: come nella pagina evangelica è stato per gli Undici, anche noi veniamo rimproverati dal Signore Gesù per la nostra “incredulità e durezza di cuore”. Ma siamo altrettanto consapevoli di non essere lasciati soli, perché possiamo beneficiare dello stesso aiuto che ha sostenuto gli Apostoli: “Allora essi partirono per predicare dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”.
Ritorna la questione iniziale: si tratta di dire di “sì” con tutto il cuore al progetto di santità voluto da Dio per ciascuno di noi e di viverlo nella fiducia e nell’umile e generosa carità d’ogni giorno, dalla quale dipende la salvezza del mondo.
Ci doni il Signore di condividere la convinzione e la decisione di don Gnocchi, che così scriveva nel 1945 ad un confratello nel sacerdozio: “Non desidero che la mia santificazione, dalla quale sono infinitamente lontano. Forse mi manca il coraggio delle decisioni supreme eppure comprendo che oggi solo la carità può salvare il mondo e che ad essa bisogna assolutamente consacrarsi”.
Una santità che oggi con il Rito di beatificazione la Chiesa dichiara ufficialmente.
Una santità che in questa piazza, cinquant’anni fa, nel giorno dei funerali di don Carlo Gnocchi, un ragazzo scelto dall’allora Arcivescovo Montini per portare il suo saluto al “papà di tutti i mutilatini e poliomielitici” profeticamente riconobbe. Tutti noi oggi facciamo nostre le sue parole: «Prima ti dicevo: “Ciao don Carlo”. Oggi ti dico: “Ciao, san Carlo”.

Card. Dionigi Tettamanzi
arcivescovo di Milano