Charles Joseph Eugène de Mazenod

Charles Joseph Eugène de Mazenod

(1782-1861)

Beatificazione:

- 19 ottobre 1975

- Papa  Paolo VI

Canonizzazione:

- 03 dicembre 1995

- Papa  Giovanni Paolo II

- Basilica Vaticana

Ricorrenza:

- 21 maggio

Vescovo di Marsiglia, che, per portare il Vangelo tra i poveri, istituì la Congregazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata e per circa venticinque anni diede lustro alla sua Chiesa con le virtù, le opere, la predicazione e gli scritti; a causa del suo zelo fu soprannominato "un secondo Paolo" e i vescovi missionari andavano da lui per domandargli Oblati per i loro vasti campi di missione

  • Biografia
  • Omelia
  • omelia di beatificazione
"Tra di voi la carità, la carità, la carità; e al di fuori lo zelo per le anime"

 

Charles Joseph Eugène de Mazenod fece la sua entrata in un mondo destinato a cambiare molto rapidamente. Nato a Aix in Provenza, nel sud della Francia il 1° agosto 1782 sembrava che avesse ereditato sia rango che ricchezza dalla sua famiglia, entrata non da molto tempo nella nobiltà di toga. Lo scompiglio della rivoluzione francese venne a rovesciare tutto ciò per sempre. All'età di otto anni fu costretto a fuggire dalla Francia con la sua famiglia, abbandonando tutte le proprietà e cominciando così un periodo di undici anni di esilio sempre più penoso.

La famiglia de Mazenod, rifugiati politici, si trascinò attraverso una serie di città in Italia. Il padre, che in patria era Presidente della Corte dei Conti, fu costretto a cimentarsi nel commercio per mantenere la sua famiglia. Ben presto però si accorse di non aver la stoffa del commerciante e col passar degli anni la famiglia giunse alle soglie della miseria. Dopo Nizza, Eugène studiò per poco tempo nel Collegio dei Nobili a Torino e quindi lo spostamento a Venezia significò per lui la fine dell'istruzione scolastica regolare. Nella città della laguna si imbatté in un bravo prete, vicino di casa, Don Bartolo Zinelli, che si fece maestro del giovane emigrato. Don Bartolo diede all'adolescente Eugène un'istruzione fondamentale accompagnata da un profondo senso di Dio e da un regime di pietà che conservò per tutta la vita, nonostante gli alti e bassi di un certo periodo.

Un ulteriore spostamento a Napoli, per motivi finanziari lo fece piombare nella noia e nel disorientamento. Ma la peregrinazione non era ancora terminata. Fu Palermo ad accogliere i rifugiati e qui Eugène intraprese un periodo di tranquillità grazie soprattutto al Duca e alla Duchessa di Cannizzaro. La frequentazione di questa famiglia nobile e della vita di corte lo indusse ad assumere il titolo di Conte facendogli assaporare un futuro brillante.

Nel 1802, all'età di 20 anni, Eugène poté tornare nella sua patria. Questo contatto fece svanire i suoi sogni come d'incanto. Si accorse di essere un semplice cittadino. La Francia era totalmente cambiata; i suoi genitori si separarono; sua madre stava lottando per riavere le sue proprietà e allo stesso tempo si affannava a procurargli in moglie una ricca ereditiera. Cadde in una triste depressione, con un futuro incerto. Fu in questo periodo che si risvegliarono in lui il senso di altruismo insieme ai sentimenti di fede provati a Venezia. Guardandosi attorno osservò la situazione disastrosa della Chiesa in Francia, umiliata e decimata dalla rivoluzione. Sentì la chiamata al sacerdozio e la prese in considerazione. Nonostante l'opposizione della madre entrò nel seminario di S. Sulpizio a Parigi e il 21 dicembre 1811 fu ordinato prete ad Amiens.

Ritornato ad Aix non si rinchiuse in una parrocchia, ma mise il suo sacerdozio al servizio dei più abbandonati: detenuti, giovani, servi contadini. Il clero locale gli fece una dura opposizione, ma egli continuò la sua strada. Dopo qualche anno cercò dei collaboratori, ugualmente motivati, che lasciarono le vecchie strutture per unirsi a lui. Eugène e i suoi compagni predicavano in provenzale, la lingua del popolino, non nel francese ufficiale. Di villaggio in villaggio rievangelizzavano la gente passando anche lunghe ore in confessionale. Tra una missione e l'altra il gruppo viveva un'intensa vita di comunità dedita alla preghiera e allo studio. Si chiamarono " Missionari di Provenza ". Per assicurare più continuità al suo lavoro, pensò di andare a Roma e domandare al Papa che il suo gruppo fosse riconosciuto come Istituto di diritto Pontificio.

La sua fede e costanza furono premiate. Il 17 febbraio 1826 il Papa Leone XII approvò la Congregazione col nome di " Oblati di Maria Immacolata ". Fu eletto Superiore Generale e continuò ad ispirare e guidare i suoi uomini per 35 anni fino alla sua morte. Di pari passo con il lavoro apostolico, predicazioni, gioventù, santuari, cappellani di carceri, confessori, direzione di seminari, parrocchie, inculcò una profonda formazione spirituale e una autentica vita di comunità. Fu uno che amò Cristo con passione e fu sempre pronto a rispondere alle necessità della Chiesa in varie forme di apostolato. La " gloria di Dio, il bene della chiesa e la santificazione della anime " erano in cima ai suoi pensieri.

La diocesi di Marsiglia era stata soppressa dopo il Concordato del 1802 e quando fu ristabilita, il vecchio zio di Eugène , Canonico Fortunato de Mazenod, ne divenne vescovo. Egli nominò Eugène suo Vicario Generale e così la maggior parte del lavoro nella ricostruzione della diocesi cadde sulle sue spalle. Dopo pochi anni, nel 1832, Eugène venne nominato vescovo ausiliare.

L'ordinazione episcopale ebbe luogo a Roma, non badando alle pretese del governo francese che si arrogava diritti di approvazione su tali nomine. Ne venne fuori un'amara battaglia diplomatica. Eugène si trovò nel mezzo della bufera frastornato da accuse, malintesi, minacce e recriminazioni.

Fu per lui un tempo di dure prove, accresciute anche dalle difficoltà della sua famiglia religiosa. Anche se scosso, seguì il suo corso con determinazione e finalmente riapparve la calma. Cinque anni più tardi, dopo le dimissioni dello zio, fu nominato vescovo di Marsiglia.

Anche se aveva fondato gli Oblati di Maria Immacolata principalmente per la povera gente di campagna, il suo zelo per il Regno di Dio e il suo attaccamento alla Chiesa spinsero gli Oblati verso nuove frontiere. I suoi uomini si avventurarono in Svizzera, Inghilterra, Irlanda. A causa del suo zelo fu soprannominato "un secondo Paolo" e i vescovi missionari andavano da lui per domandargli Oblati per i loro vasti campi di missione. Eugène rispose a cuore aperto nonostante il loro piccolo numero e mandò i suoi uomini nel Canada, Stati Uniti, Ceylon (attuale Sri Lanka) Sud Africa, Basutoland (attuale Lesotho). I missionari, della stessa sua tempra, si aprirono a ventaglio predicando, battezzando, curando. Spesso scoprirono nuove terre, fondarono nuove diocesi e, in una parola "non lasciarono nulla di intentato per l'avanzamento del Regno di Cristo". Negli anni che seguirono, la spinta della missione oblata continuò e anche oggi l'impulso di Eugène de Mazenod è vivo nei suoi uomini in 68 paesi diversi.

Durante questo fermento di attività missionaria, Eugène era allo stesso tempo un pastore di primo piano nella Chiesa di Marsiglia, dando alla diocesi le strutture necessarie: seminario modello, nuove parrocchie, cattedrale, santuario di Nostra Signora della Guardia, santità dei sacerdoti, presenza di altre Congregazioni Religiose, difesa dei diritti del Papa. Era diventato una figura di spicco nella Chiesa di Francia. Nel 1856 Napoleone III lo nominò senatore e alla sua morte era il decano dei vescovi di Francia.

Il 21 maggio 1861 Eugène ritornò al suo Dio, all'età di 79 anni, dopo una vita colma di opere, molte di esse nate nella sofferenza. Per la sua famiglia religiosa e la diocesi fu una sorgente di vita; per Dio e per la Chiesa fu un figlio fedele e generoso. Sul letto di morte lasciò agli Oblati il suo testamento: "Tra di voi la carità, la carità, la carità; e al di fuori lo zelo per le anime". La Chiesa, dichiarandolo santo il 3 dicembre 1995, incorona questi due cardini della sua vita: amore e zelo.

CANONIZZAZIONE DI EUGÈNE DE MAZENOD, 
FONDATORE DEI MISSIONARI OBLATI DI MARIA IMMACOLATA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

I Domenica di Avvento, 3 dicembre 1995

 

1. La venuta del Figlio dell’uomo è il tema dell’Avvento. Inizia, così, il tempo del nuovo Anno Liturgico. Guardiamo già verso la notte di Betlemme. Pensiamo a quella venuta del Figlio di Dio che ormai appartiene alla nostra storia, anzi in un modo mirabile l’ha formata come storia dei singoli individui, delle nazioni e dell’umanità. Sappiamo, inoltre, con certezza che, dopo quella venuta, abbiamo per sempre davanti a noi una seconda venuta del Figlio dell’uomo, di Cristo. Viviamo nel secondo Avvento, nell’Avvento della storia del mondo, della storia della Chiesa, e nella Celebrazione eucaristica ripetiamo ogni giorno la nostra fiduciosa attesa della sua venuta.

Il Beato Eugenio de Mazenod, che la Chiesa oggi proclama santo, fu un uomo dell’Avvento, uomo della Venuta. Egli non soltanto guardò verso quella Venuta, ma, come Vescovo e Fondatore della Congregazione degli Oblati di Maria Immacolata, dedicò tutta la sua vita a prepararla. La sua attesa raggiunse l’intensità dell’eroismo, fu caratterizzata cioè da un grado eroico di fede, di speranza e di carità apostolica. Eugenio de Mazenod fu uno di quegli apostoli, che prepararono i tempi moderni, i tempi nostri.

2. Il Decreto Ad Gentes del Concilio Vaticano II tratta anche di questa attività, di cui fu colma la vita e la vocazione episcopale del Fondatore degli Oblati.

Fu inviato come Vescovo nella città di Marsiglia, a quella Chiesa delle coste meridionali della Francia. Contemporaneamente però egli aveva la consapevolezza che la missione di ogni Vescovo, in unione con la Sede di Pietro, ha carattere universale. La certezza che il Vescovo è mandato nel mondo, come gli Apostoli, si fonda sulle parole del Cristo: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16, 15). De Mazenod fu consapevole che il mandato di ogni Vescovo e di ogni Chiesa locale è in se stesso missionario e fece in modo che anche l’antichissima Chiesa di Marsiglia, i cui inizi risalgono al periodo subapostolico, potesse adempiere in maniera esemplare la sua vocazione missionaria, sotto la guida del suo Pastore.

In questo consistette l’impegno di sant’Eugenio, in ordine alla seconda venuta di Cristo, che tutti attendiamo con viva speranza. Si può dire che la sua canonizzazione, oggi, nella prima Domenica di Avvento, ci aiuta a comprendere meglio il significato della stagione dell’Anno Liturgico che oggi inizia.

3. Nella Liturgia di questa prima Domenica di Avvento comincia a parlare il profeta Isaia. Ne ascolteremo la parola ispirata durante tutto questo tempo. “Visione di Isaia, figlio di Amoz, riguardo a Giuda e a Gerusalemme. Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà elevato sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: “Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri”. Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore” (Is 2, 1-3).

Nella luce dello Spirito Santo, il Profeta ha una visione universalistica e molto acuta della salvezza. Gerusalemme, la città collocata in mezzo a Israele, Popolo della elezione divina, ha davanti a sé un grande futuro. Quando il Profeta dice che “uscirà... da Gerusalemme la parola del Signore”, già molti secoli prima della venuta di Cristo annunzia l’ampiezza dell’opera messianica.

Lo sguardo di Isaia arricchisce la nostra consapevolezza dell’Avvento. Colui che deve venire, che deve rivelarsi “sino alla fine” proprio in mezzo alla santa città di Gerusalemme, mediante la parola del suo Vangelo, e specialmente mediante la sua croce e la sua risurrezione, sarà inviato a tutte le nazioni del mondo, all’intera umanità. Egli sarà l’Unto di Dio, il Redentore dell’uomo. La sua visita durerà poco, ma la missione da Lui trasmessa agli Apostoli e alla Chiesa durerà fino alla fine dei secoli. Egli sarà mediatore tra Dio e gli uomini, ed a gran voce esorterà le nazioni alla pace, invitando tutti a “forgiare le loro spade in vomeri, le loro lance in falci” (cf. Is2, 4). Proprio così inizia l’esortazione di Isaia, rivolta alle genti di tutta la terra, perché dirigano gli occhi e i passi verso Gerusalemme.

A questa esortazione fa eco il Salmo responsoriale, canto dei pellegrini verso la Città Santa. “Quale gioia quando mi dissero: “Andremo alla casa del Signore”. E ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme. Là salgono insieme le tribù, le tribù del Signore” (Sal 122, 1. 4). E ancora: “Domandate pace per Gerusalemme: sia pace a coloro che ti amano, sia pace sulle tue mura, sicurezza nei tuoi baluardi” (Sal 122, 6-7).

4. C’est précisément dans cette perspective offerte par la liturgie du premier dimanche de l’Avent que s’inscrit la canonisation du fondateur de la Congrégation des Oblats de Marie Immaculée. Eugène de Mazenod avait, en effet, senti de manière très profonde l’universalité de la mission de l’Église. Il savait que le Christ voulait unir à sa personne le genre humain tout entier. C’est pourquoi il porta toute sa vie une attention particulière à l’évangélisation des pauvres, où qu’ils se trouvent.

Née en Provence, dans sa région d’origine, la Congrégation ne tarda pas à essaimer “jusqu’aux extrémités de la terre”.  Par une prédication fondée sur la méditation de la parole de Dieu, elle mettait en pratique les exhortations de saint Paul: “Comment croire sans avoir entendu la parole du Seigneur? Comment entendre sa parole si personne ne l’a proclamée?”.  Annoncer le Christ, c’était, pour Eugène de Mazenod, devenir en plénitude l’homme apostolique dont toute époque a besoin avec la ferveur spirituelle et le zèle missionnaire qui le configurent peu à peu au Christ ressuscité.

5. Par un patient travail sur lui–même, il sut discipliner un caractère difficile et gouverner son diocèse avec une sagesse éclairée et une ferme bonté. Monseigneur de Mazenod amenait les fidèles à accueillir le Christ dans une foi toujours plus généreuse pour vivre pleinement leur vocation d’enfants de Dieu. Toute son action fut animée par une conviction qu’il exprimait en ces termes: “Aimer l’Église, c’est aimer Jésus Christ et réciproquement”.

Frères et Sœurs, Eugène de Mazenod nous invite à le suivre pour nous présenter tous ensemble au Sauveur qui vient, à l’Enfant de Bethléem, au Fils de Dieu fait homme.

Ecco le parole del Papa in una nostra traduzione italiana.

4. Proprio in questa prospettiva presentata dalla liturgia della prima domenica d’Avvento si iscrive la canonizzazione della fondazione della Congregazione degli Oblati di Maria Immacolata. L’universalità della missione della Chiesa fu, infatti, profondamente avvertita da Eugenio de Mazenod. Egli sapeva che Cristo desiderava unire alla sua persona tutto il genere umano e per questo motivo in tutto il corso della sua vita rivolse particolare attenzione all’evangelizzazione dei poveri, ovunque fossero.

Nata in Provenza, regione d’origine del suo Fondatore, la Congregazione non tardò a diffondersi “fino agli estremi confini della terra” (At 1, 8), per mettere in pratica, mediante una predicazione fondata sulla meditazione della parola di Dio, le esortazioni di San Paolo: “Come potranno credere, senza aver sentito la parola del Signore? E come potranno sentire la sua parola, se nessuno l’annuncia?” (cf. Rm 10, 14). Annunciare Cristo significò per Eugenio de Mazenod diventare in pieno l’uomo apostolico di cui ogni epoca ha bisogno, dotato di quel fervore e di quello zelo missionario che a poco a poco lo configurano al Cristo risorto.

5. Attraverso un paziente lavoro su se stesso, egli seppe disciplinare un carattere difficile e dirigere la sua diocesi con illuminata saggezza e ferma bontà. Monsignor de Mazenod guidava i fedeli ad accogliere Cristo con fede sempre più generosa, perché vivessero pienamente la loro vocazione di figli di Dio. Ad animare ogni sua azione fu il convincimento, da lui così espresso, che: “Amare la Chiesa significa amare Cristo e viceversa”.

Fratelli e sorelle, Eugenio de Mazenod ci invita a seguirlo perché possiamo presentarci tutti insieme al Salvatore che viene, al Bambino di Betlemme, al Figlio di Dio fatto uomo.

6. Il messaggio dell’Avvento è unito alla venuta del Figlio dell’uomo che sempre più si approssima. A questa consapevolezza corrisponde l’esortazione alla vigilanza. Nel Vangelo di san Matteo Gesù dice a chi lo ascolta: “Vegliate, dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà... Perciò anche voi state pronti, perché nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’uomo verrà” (Mt 24, 42. 44). A questa esortazione, ripetuta più volte nel Vangelo, corrisponde in modo eccellente il passo dalla Lettera di san Paolo ai Romani. L’Apostolo ci scrive in qual modo potremo essere “consapevoli del momento” (cf. Rm 13, 11). L’attesa, volta verso il futuro, ci viene sempre presentata come un “momento” già vicino e presente. Nell’opera della salvezza nulla può essere lasciato per il dopo. Ogni “ora” è importante! L’Apostolo scrive che “la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti” (Rm13, 11) e paragona questo momento presente all’alba, al momento culminante del passaggio tra la notte e il giorno.

San Paolo trasferisce sul terreno dello spirito il fenomeno che accompagna il risveglio della luce diurna. “La notte è avanzata, – egli scrive – il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indos- siamo le armi della luce” (Rm 13, 12). Dopo aver chiamato per nome le opere delle tenebre, l’Apostolo indica a che cosa alludano “le armi della luce”: “Indossiamo le armi della luce”, cioè “rivestitevi... del Signore Gesù Cristo” (Rm 13, 14). Egli diventi la norma della vostra vita e del vostro agire, così che in Lui possiate diventare una nuova creazione. Così rinnovati, potrete rinnovare il mondo in Cristo, in virtù della missione, innestata in voi già dal Sacramento del Battesimo.

Oggi la Chiesa rende grazie a Dio per sant’Eugenio de Mazenod, apostolo del suo tempo, il quale, rivestitosi del Signore Gesù Cristo, spese la sua vita nel servizio al Vangelo di Dio. Rendiamo grazie a Dio per la grande trasformazione compiutasi mediante l’opera di questo Vescovo. Il suo influsso non si limita all’epoca in cui egli visse, ma continua ad agire anche sul nostro tempo. Infatti il bene compiuto in virtù dello Spirito Santo non perisce, ma dura in ogni “ora” della storia.

Ne siano rese grazie a Dio!

SOLENNE RITO DI BEATIFICAZIONE DI QUATTRO SERVI DI DIO

OMELIA DEL SANTO PADRE PAOLO VI

19 ottobre 1975

     

Venerabili Fratelli, Figlie e Figli carissimi,

grande è la vostra e la nostra gioia per la beatificazione di quattro nuovi eroi, umili e grandi, della fede: Monsignor Charles-Joseph-Eugène de Mazenod; P. Arnoldo Janssen; P. Giuseppe Freinademetz; Maria Theresia Ledóchowska!

I

Questa nuova, splendente tappa dell'Anno Santo avviene intenzionalmente nella Giornata Missionaria Mondiale. E questa circostanza è sottolineata qui, oggi, in modo particolare, dalla presenza di numerosi Vescovi missionari, che hanno speso tutta la vita a servizio della Chiesa, e di 400 catechisti dei Paesi di missione. Tutti li salutiamo con specialissimo affetto. Oggi la Chiesa è tutta unita in preghiera e in fervore di generosità per la causa missionaria. È l'occasione annuale in cui essa, Popolo di Dio in cammino, riflette su la sua fisionomia essenziale e la sua missione costitutiva. È la parola di Gesù, che così la definisce e così la vuole: «Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi » (Io. 20-21). «Andate e ammaestrate tutte le nazioni» (Matth. 28, 19). Il Concilio Vaticano II ha ribadito, nel Decreto su l'attività missionaria, che «la Chiesa peregrinante è per sua natura missionaria» (Ad Gentes, 2); ed ha proseguito tracciando una mirabile ed ampia sintesi teologica, che inquadra la missione nel piano salvifico del Padre: essa parte «dall'amore nella sua fonte» (Ibid.), si realizza nell'invio del Figlio Unigenito, con cui Dio «entra in maniera nuova e definitiva nella storia umana» (Ibid. 3), e si prolunga nella effusione dello Spirito Santo a Pentecoste, il quale in tutti i tempi infonde «nel cuore dei fedeli quello spirito missionario, da cui era stato spinto Gesù stesso» (Ibid. 4). Come inviata da Cristo, la Chiesa continua nel tempo e nello spazio questo suo fondamentale dovere, che essa non potrebbe sminuire o alterare senza tradire la propria costitutiva natura, la propria originaria vocazione.

II

Ecco, Fratelli e Figli, l'ideale missionario che oggi fa vibrare i nostri cuori; ed è proprio questo ideale ciò che unifica e rende simili le pur tanto diverse figure dei quattro nuovi Beati, che in questo giorno la Chiesa propone al culto e all'imitazione dei suoi figli. Ne ricordiamo brevemente le caratteristiche essenziali nelle lingue proprie di ognuno di essi. 

1) Nous dirons d'abord aux Fils du Père de Mazenod, aux membres de sa famille, à ses compatriotes d'Aix-en-Provence, aux diocésains de Marseille, à tous les pèlerins venus pour le fêter: soyez très fiers, exultez de joie! C'était un passionné de Jésus-Christ et un inconditionnel de l'Eglise! Aux lendemains de la Révolution française, la Providence allait en faire un pionnier du renouveau pastoral. Dès son retour à Aix, après son ordination, l'Abbé de Mazenod est saisi par les urgences du diocèse: les jeunes, le menu peuple, les marginaux, les populations rurales. II se veut le prêtre des pauvres et gagne des compagnons à son idéal. C'est le début d'une petite société: les Missionnaires de Provence qui deviendront les Oblats de Marie Immaculée. Nommé Vicaire général puis Evêque de Marseille, Mgr de Mazenod donne sa pleine mesure.

Il bâtit des Eglises, crée de nouvelles paroisses, veille avec vigueur et tendresse à la vie de ses prêtres, multiplie les visites pastorales et les prédications percutantes, souvent en langue provençale, développe l'instruction catéchétique et les oeuvres de jeunesse, fait appel aux congrégations enseignantes et hospitalières, défend les droits de l'Eglise et du Siège de Pierre. A partir de mille huit cent quarante et un, les Oblats de Marie embarquent vers les cinq continents et vont jusqu'au bout des terres habitées. Notre Prédécesseur Pie XI dira d'eux: «Les Oblats, voilà les spécialistes des Missions difficiles!». Et le Père de Mazenod voulait qu'ils soient de parfaits religieux! Ce Pasteur et ce Fondateur, témoin authentique de l'Esprit Saint - comme l'a si bien dit Mgr l'Archevêque de Marseille dans son Bulletin diocésain -, lance à tous les baptisés, à tous les apôtres d'aujourd'hui un rappel capital: laissez-vous envahir par le feu de la Pentecôte et vous connaîtrez l'enthousiasme missionnaire!

2) Im neuen deutschen Seligen P. Arnold Janssen ehrt die Kirche einen unermüdlichen Apostel der Frohbotschaft Jesu Christi, den Gründer der Steyler Missionare und der Steyler Missions- und Anbetungsschwestern. Sein tiefgläubiges Leben und Wirken galt vor allem der getreuen Verwirklichung des Missionsauftrages Christi: «Gehet hin in alle Welt und predigt das Evangelium allen Geschöpfen» (Marc. 16, 15). Das große Missionswerk, das der selige Stifter Arnold Janssen fast ohne menschliche Mittel aufbaute, ist die kostbare Frucht seines persönlichen apostolischen Einsatzes und seines unerschütterlichen Vertrauens in Gottes Willen und Vorsehung. Er war ein Mann des unablässigen Gebetes und ein Eiferer des Gebetsapostolates. In besonderer Weise verehrte er das Heiligste Herz Jesu, das Göttliche Wort und den Heiligen Geist. Durch die Förderung der Exerzitienbewegung und die Gründung eines intensiven Presseapostolates leistete P. Janssen einen bedeutsamen Beitrag zur Erneuerung des religiösen Lebens in der Heimat. Seine segensreichen Ordensgründungen weiteten schließlich den Horizont seines fruchtbaren seelsorglichen Wirkens zu den Dimensionen eines weltweiten Missionsapostolates. Daß seine Seligsprechung jetzt im 100. Gründungsjahr der Gesellschaft des Göttlichen Wortes zusammen mit der des Dieners Gottes P. Joseph Freinademetz vollzogen wird, ist eine gnädige Fügung Gottes.

3) Dieser zweite selige Steyler Glaubenspionier aus Südtirol, dem Gebiet der ladinischen Sprache südlich der Dolomiten, das damals sowohl staatlich wie kirchlich zu Österreich und heute zum italienischen Territorium Alto Adige gehört, war der erste Missionar seiner Ordensgemeinschaft im großen chinesischen Volk, dem unsere besondere Liebe und Sorge gilt. Er ist den Chinesen ein Chinese geworden, um sie für Christus zu gewinnen. Das hohe Ideal des christlichen Missionars, das zur Gründung der Steyler Missionsinstitute geführt hatte, fand somit schon gleich zu Anfang im seligen P. Joseph Freinademetz eine erste Verwirklichung. Er ist Vorbild und Fürsprecher aller jener, die in fernen Ländern unter vielerlei Gefahren, von denen der heilige Paulus im zweiten Korintherbrief spricht (2 Cor. 11, 22-33), den Glauben verkünden. E salutiamo, in questa occasione, con cordialissimo affetto, i numerosi pellegrini di Bolzano-Bressanone, che, con le forti e fedeli popolazioni dell'Alto Adige, giubilano per l'elevazione agli Altari del loro condiocesano, eroico esempio di generosità assoluta Verso Dio che chiama.

4) Unter den wegen ihres missionarischen Wirkens von uns am heutigen Weltmissionssenntag seliggesprochenen Glaubenszeugen fehlt auch nicht ein leuchtendes Beispiel für die Mitwirkung der Frau im Missionsauftrag der Kirche. Es ist die ehrwürdige Dienerin Gottes Maria Theresia Ledóchowska. Sie stammte aus einem Adelsgeschlecht polnischen Ursprungs, wie es ihr Name anzeigt, jedoch österreichischer Nationalität in Salzburg; sie ist die Nichte des Kardinals Ledóchowski, die Schwester des späteren Generaloberen der Gesellschaft Jesu, des so geschätzten P. Wladimir Ledóchowski, wie auch die Schwester einer anderen auserlesenen Seele, Ursula, der Gründerin der Schwestern vom Heiligsten Herzen Jesu in der Todesangst (die hier in Rom in Primavalle gut bekannt sind). Die neue Selige, Maria Theresia Ledóchowska, vernahm den dringlichen Aufruf von Kardinal Lavigerie für Afrika und stellte ihre hervorragenden Fähigkeiten hochherzig in den Dienst der Kirche und des Missionsapostolates. Sie gründete die Petrus-Claver-Sodalität für die afrikanischen Missionen, die heutigen «Missionsschwestern vom hl. Petrus Claver», deren Ziel es ist, die apostolische Tätigkeit der Missionare in Afrika durch Gebet, Almosen, religiöse Schriften und sonstige erforderliche Hilfen tatkräftig zu unterstützen. Die selige Maria Theresia Ledochowska förderte den Missionsgedanken insbesondere auch durch Vorträge, Abhandlungen und die Verbreitung von Zeitschriften, die noch heute erscheinen. Sie war aus dem Geist des Evangeliums und der christlichen Nächstenliebe auf vorzügliche Weise eine Pionierin der modernen Forderung nach Alphabetisation.

III

La ristrettezza del tempo ci impedisce di soffermarci più a lungo, come pur vorremmo, sullo specifico messaggio che ciascuna di queste grandi figure propone a noi, uomini del nostro tempo. Tuttavia non tralasciamo di cogliere un triplice invito, che da tutte e quattro insieme ci viene, come un unico concerto di voci.

a) Anzitutto l'invito a sentire e a vedere negli uomini il nostro fratello, che con noi e come noi vive, ama, spera, piange; ad aiutarlo ad elevarsi, a raggiungere la pienezza del suo sviluppo umano, sociale, culturale, spirituale. Tutto questo non certo soltanto per una sia pure legittima simpatia, per un affiatamento, per una, diciamo così, «compassione» che nasca da motivi soltanto naturali, ma prima e soprattutto dalla luce della Rivelazione, che ci indica, misteriosamente presente e nascosto nel volto dei fratelli, specialmente se sofferenti, il volto stesso di Cristo (Cfr. Matth. 25, 31-46).

b) Ci viene poi l'invito a cogliere i segni dei tempi per testimoniare e rendere sempre attuale la presenza della Chiesa nel mondo, in tutti quei modi che ci vengono offerti sia dalle circostanze del kairòs (redimentes tempus, «profittando del tempo» - Eph. 5, 16), sia dalle inclinazioni del genio proprio di ciascuno. I nuovi Beati ci danno infatti l'immagine di persone non certo ripiegate su se stesse in sterili narcisismi o nella soluzione di problemi o pseudo-problemi individuali, ma che si sono messe a lavorare sul serio, e sodo, per il Regno di Dio, dove e come e quando hanno intuito le enormi possibilità di rendersi utili. Ed essi insegnano a tanti spiriti inquieti o malcontenti o demoralizzati a spendersi per gli altri con più fatti e forse con meno parole, perché gli operai della vigna sono attesi a tutte le ore (Cfr. Matth. 20, l-16).

c) In terzo luogo, essi ci invitano a prendere sempre maggiore coscienza che «nella situazione attuale, in cui va profilandosi una nuova condizione per l'umanità - usiamo ancora le parole del Concilio - la Chiesa, che è sale della terra e luce del mondo, è chiamata in maniera più urgente a salvare e a rinnovare ogni creatura, affinché tutte le cose siano instaurate in Cristo e gli uomini in Lui costituiscano una sola famiglia e un solo Popolo di Dio» (Ad Gentes, 1). L'alimento insostituibile di quest'opera di suprema importanza è: la fede; l'amore; la preghiera, nel cuore di valorosi Missionari.

¿Qué fuerza misteriosa impulsó a los nuevos Beatos a seguir el ideal misionero? Una fe sin límites en Dios, que se traduce en un apasionado amor a Cristo. Fe y amor que se despliegan en un desbordante deseo de difundir entre los hombres el mensaje de salvación. Al exaltar hoy gozosos el ejemplo de santidad de los nuevos Beatos, pidamos también su ayuda e intercesión para cuantos, movidos por estos mismos ideales, dedican sus vidas a la evangelización del mundo.

Prayer has been, finally, the secret force of the astonishing fruitfulness of action of these souls. Prayer has sustained them in difficulties and enabled them to perform works that surpass human strength. And their example teaches all the apostles-today and for ever-that the interior life is, and remains, «the soul of every apostolate». This is the secret and prerequisite of the missionary influence at all levels of the Church in the world. As these new Beati-so different and yet so similar-show us the way to follow, may they also obtain God's help for us. We ask this of them, entrusting our intentions to the first-fruits of their intercession.