Cristóbal, Antonio e Juan
(†1527-1529)
- 23 settembre
Martiri adolescenti di Tlaxcala, che, durante la prima evangelizzazione dell’America, aderirono lieti alla fede cristiana e furono per questo percossi a morte dai loro concittadini; Cristóbal, fu ucciso dal padre che voleva convertire; Antonio e Juan si offrirono come interpreti presso gli Indios.
VITA E MARTIRIO
I Beati Cristóbal, Antonio e Juan, martiri per la fede cristiana, sono considerati dagli storici della Chiesa Messicana i Protomartiri non solo del Messico ma dell’intero Continente Americano, primizie dell’evangelizzazione del Nuovo Mondo. Scarse sono le notizie che riguardano il vissuto biografico dei tre martiri, anche perché uccisi in giovanissima età. A tutti e tre, però, è comune una solida formazione cristiana, ricevuta dai primi missionari francescani che insieme ai domenicani misero piede in Messico, allora Nueva España, nel 1524. Una delle maggiori preoccupazioni dei missionari era di intraprendere una estesa e solida evangelizzazione e promuovere la formazione umana e religiosa della popolazione nativa, cercando in primo luogo di eliminare credenze, superstizioni e riti tribali in netto contrasto con la fede e la pratica cristiana. Secondo i metodi missionari del tempo, un posto di rilievo nella loro attività era riservato all’eliminazione di numerosi idoli pagani che erano capillarmente diffusi nella pratica religiosa ufficiale e nell’intimità familiare, con innegabili influssi sull’intera vita pubblica e privata. Altri ambiti in cui i missionari furono particolarmente attivi erano costituiti dalla soppressione di riti idolatrici, che prevedevano normalmente anche sacrifici umani, e dalla rimozione di abitudini socialmente riprovevoli, quali la poligamia, la frequente ubriachezza e gli atteggiamenti violenti ad essa conseguenti.
Il primo dei Beati Martiri fu Cristóbal, chiamato anche col diminutivo “Cristobalito”. Egli nacque ad Atlihuetzía (Tlaxcala) tra il 1514 e il 1515 ed era il figlio prediletto ed erede del principale cacicco Acxotecatl. Ben presto seguì l’esempio degli altri tre fratelli, che nel 1524 avevano preso a frequentare la scuola aperta dai missionari Frati Minori. Si fece istruire nella fede cristiana, chiese spontaneamente il battesimo e diventò in breve tempo un apostolo del vangelo tra i suoi familiari e conoscenti. Anzi, si propose di convertire il padre esortandolo a cambiare le sue riprovevoli abitudini, soprattutto l’ubriachezza; il padre non gli diede importanza e allora Cristóbal prese a eliminare gli idoli presenti in casa; fu ammonito e perdonato dal padre più volte, il quale, visto il ripetersi del fatto, prese la decisione di ucciderlo. La sua fede pagana si manifestò superiore all’affetto di genitore; con un tranello fece tornare a casa i figli dalla scuola francescana. Mentre i fratelli entravano in casa, Cristóbal fu afferrato per i capelli dal padre che lo buttò a terra, dandogli calci e bastonandolo fino a rompergli le braccia e le gambe; visto che Cristóbal pur nel dolore continuava a pregare, lo gettò su un rogo acceso. Pochi giorni dopo fu uccisa anche la madre, che aveva invano tentato di difendere il figlio. Il padre seppellì di nascosto il figlio in una stanza della casa; un testo dice che fu poi condannato a morte per i suoi delitti, probabilmente dagli spagnoli. Il fatto avvenne nel 1527, quando Cristóbal aveva 13 anni.
Antonio e Juan nacquero tra il 1516 e il 1517 a Tizatlán (Tlaxcala). Antonio era nipote ed erede del cacicco locale, mentre Giovanni, di umile condizione, era il suo servitore: ambedue frequentavano la scuola dei Frati Minori. Nel 1529 i missionari Domenicani decisero di fondare una missione ad Oaxaca; pertanto, passando per Tlaxcala il domenicano Bernardino Minaya, chiese a fra Martin di Valencia, francescano e direttore della scuola, di indicargli alcuni ragazzi che volontariamente potessero accompagnarlo come interpreti presso gli Indios. Riuniti i ragazzi della scuola, fra Martin formulò la richiesta del domenicano, avvisando comunque che si trattava di un compito con pericolo di morte; subito si fecero avanti i tredicenni Antonio e Juan e un altro nobile ragazzo di nome Diego (che non morì martire). Il gruppo arrivò a Tepeaca e i ragazzi aiutarono i missionari a raccogliere gli idoli, poi solo Antonio e Juan si spostarono a Cuauhtinchán e continuarono la raccolta. Antonio entrava nella casa e Juan restava alla porta. In una di queste azioni alcuni Indios, inferociti e armati di bastoni, si avvicinarono e colpirono Juan talmente forte che morì sul colpo. Antonio, accorso in suo aiuto, fu percosso con bastoni finché morì.
"ITER" DELLA CAUSA
Il fatto storico dell’uccisione dei tre giovanetti Cristóbal, Antonio e Juan, immediatamente dopo la morte, fu considerato come un martirio, cioè inferto in odio alla fede. Questa convinzione prese le mosse dallo scritto di Motolinía che diede la sua informazione storica nel 1539 (dodici anni dopo la morte di Cristóbal e dieci anni dopo quella di Antonio e Juan): la sua narrazione fu affidata alla Historia de los Indios della Nueva España nel 1541. Questa notizia pervenne subito in madrepatria: nel 1552 Francisco López de Gómora descrisse questo martirio nella sua Historia General de las Indias. Alla fine del secolo XVI si incontra un anonimo storico tlaxcalteca, che nella sua Historia de Tlaxcala tratta del martirio di questi adolescenti. Vi sono anche delle fonti monumentali che parlano di questo fatto. Questa convinzione andò aumentando nel corso del secolo XVI. Vi sono poi le narrazioni dei grandi cronisti, specialmente francescani e domenicani dei secoli XVII e XVIII, che trattarono esplicitamente di questo evento. Anche nei secoli XIX e XX gli storici trattano del martirio, cosicché si ha nel corso dei secoli una fama di martirio ininterrotta dall’accadimento fino ai nostri giorni.
a) In vista della Beatificazione
L’iniziativa della Causa si deve al Vescovo della diocesi di Tlaxcala, monsignor Luis Munive Escobar (1959-2001). Egli, conoscendo la storia della Chiesa in Messico e in particolare quella della sua diocesi, la più antica della nazione, dove prese avvio nel XVI secolo l’evangelizzazione della Nuova Spagna, decise, insieme col suo presbiterio, di introdurre la Causa dei tre adolescenti. A seguito della raccolta di una documentazione di base, chiariti i motivi del ritardo, la Congregazione delle Cause dei Santi concesse, in data 18 dicembre 1981, il nihil obstat per l’introduzione della Causa nella diocesi di Tlaxcala.
Dal mese di maggio al mese di ottobre del 1982 si svolse l’Inchiesta diocesana, la cui validità giuridica fu riconosciuta con Decreto della Congregazione delle Cause dei Santi dell’8 novembre 1985. La Positio super martyrio fu sottoposta al giudizio dei Consultori Storici in data 21 giugno 1988. Quindi si celebrò il Congresso Peculiare dei Consultori Teologi il 24 novembre 1989. Dopo l’esame della Sessione Ordinaria dei Cardinali e Vescovi della Congregazione, il 6 febbraio 1990, il Santo Padre Giovanni Paolo II riconobbe il martirio in odium fidei dei Servi di Dio, aprendo la strada alla beatificazione, che Egli stesso celebrò nel santuario della Madonna di Guadalupe il 6 maggio 1990.
b) In vista della Canonizzazione
A seguito della beatificazione, la fama del martirio di Cristóbal, Antonio e Juan ha varcato ampiamente i confini della diocesi, estendendosi a tutto il Messico. Le numerose manifestazioni di devozione e di culto, tra cui la recente proclamazione dei Beati Cristóbal, Antonio e Juan a Patroni della Gioventù Messicana, nonché la grande fama di segni straordinari e di guarigioni prodigiose attribuite alla loro intercessione, hanno determinato la successiva richiesta da parte della Conferenza Episcopale del Messico al Santo Padre Francesco di voler procedere alla canonizzazione formale dei tre Beati Martiri, con dispensa dallo studio del miracolo. Previo consenso della Congregazione delle Cause dei Santi, la Postulazione generale dell’Ordine dei Frati Minori, che furono evangelizzatori dei Niños Martires, ha ricevuto dagli Attori l’incarico di raccogliere in una peculiare Positio le ragioni a sostegno dell’auspicata canonizzazione.
Gli Eminentissimi Padri Cardinali e gli Eccellentissimi Vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi, riuniti in Sessione Ordinaria il 14 marzo 2017, esaminata la Positio super Canonizatione, hanno espresso il loro favorevole giudizio, che fu poi ratificato dal Santo Padre.
SANTA MESSA E CANONIZZAZIONE DEI BEATI:
ANDREA DE SOVERAL, AMBROGIO FRANCESCO FERRO, MATTEO MOREIRA E XXVII COMPAGNI;
CRISTOFORO, ANTONIO E GIOVANNI; FAUSTINO MÍGUEZ; ANGELO DA ACRI
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Piazza San Pietro
Domenica, 15 ottobre 2017
La parabola che abbiamo ascoltato ci parla del Regno di Dio come di una festa di nozze (cfr Mt 22,1-14). Protagonista è il figlio del re, lo sposo, nel quale è facile intravedere Gesù. Nella parabola, però, non si parla mai della sposa, ma dei molti invitati, desiderati e attesi: sono loro a vestire l’abito nuziale. Quegli invitati siamo noi, tutti noi, perché con ognuno di noi il Signore desidera “celebrare le nozze”. Le nozze inaugurano la comunione di tutta la vita: è quanto Dio desidera con ciascuno di noi. Il nostro rapporto con Lui, allora, non può essere solo quello dei sudditi devoti col re, dei servi fedeli col padrone o degli scolari diligenti col maestro, ma è anzitutto quello della sposa amata con lo sposo. In altre parole, il Signore ci desidera, ci cerca e ci invita, e non si accontenta che noi adempiamo i buoni doveri e osserviamo le sue leggi, ma vuole con noi una vera e propria comunione di vita, un rapporto fatto di dialogo, fiducia e perdono.
Questa è la vita cristiana, una storia d’amore con Dio, dove il Signore prende gratuitamente l’iniziativa e dove nessuno di noi può vantare l’esclusiva dell’invito: nessuno è privilegiato rispetto agli altri, ma ciascuno è privilegiato davanti a Dio. Da questo amore gratuito, tenero e privilegiato nasce e rinasce sempre la vita cristiana. Possiamo chiederci se, almeno una volta al giorno, confessiamo al Signore il nostro amore per Lui; se ci ricordiamo, fra tante parole, di dirgli ogni giorno: “Ti amo Signore. Tu sei la mia vita”. Perché, se si smarrisce l’amore, la vita cristiana diventa sterile, diventa un corpo senz’anima, una morale impossibile, un insieme di princìpi e leggi da far quadrare senza un perché. Invece il Dio della vita attende una risposta di vita, il Signore dell’amore aspetta una risposta d’amore. Rivolgendosi a una Chiesa, nel Libro dell’Apocalisse, Egli fa un rimprovero preciso: «Hai abbandonato il tuo primo amore» (2,4). Ecco il pericolo: una vita cristiana di routine, dove ci si accontenta della “normalità”, senza slancio, senza entusiasmo, e con la memoria corta. Ravviviamo invece la memoria del primo amore: siamo gli amati, gli invitati a nozze, e la nostra vita è un dono, perché ogni giorno è la magnifica opportunità di rispondere all’invito.
Ma il Vangelo ci mette in guardia: l’invito però può essere rifiutato. Molti invitati hanno detto no, perché erano presi dai loro interessi: «non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari», dice il testo (Mt 22,5). Una parola ritorna: proprio; è la chiave per capire il motivo del rifiuto. Gli invitati, infatti, non pensavano che le nozze fossero tristi o noiose, ma semplicemente «non se ne curarono»: erano distolti dai loro interessi, preferivano avere qualcosa piuttosto che mettersi in gioco, come l’amore richiede. Ecco come si prendono le distanze dall’amore, non per cattiveria, ma perché si preferisce il proprio: le sicurezze, l’auto-affermazione, le comodità... Allora ci si sdraia sulle poltrone dei guadagni, dei piaceri, di qualche hobby che fa stare un po’ allegri, ma così si invecchia presto e male, perché si invecchia dentro: quando il cuore non si dilata, si chiude, invecchia. E quando tutto dipende dall’io – da quello che mi va, da quello che mi serve, da quello che voglio – si diventa pure rigidi e cattivi, si reagisce in malo modo per nulla, come gli invitati del Vangelo, che arrivarono a insultare e perfino uccidere (cfr v. 6) quanti portavano l’invito, soltanto perché li scomodavano.
Allora il Vangelo ci chiede da che parte stare: dalla parte dell’io o dalla parte di Dio? Perché Dio è il contrario dell’egoismo, dell’autoreferenzialità. Egli – ci dice il Vangelo –, davanti ai continui rifiuti che riceve, davanti alle chiusure nei riguardi dei suoi inviti, va avanti, non rimanda la festa. Non si rassegna, ma continua a invitare. Di fronte ai “no”, non sbatte la porta, ma include ancora di più. Dio, di fronte alle ingiustizie subite, risponde con un amore più grande. Noi, quando siamo feriti da torti e rifiuti, spesso coviamo insoddisfazione e rancore. Dio, mentre soffre per i nostri “no”, continua invece a rilanciare, va avanti a preparare il bene anche per chi fa il male. Perché così è l’amore, fa l’amore; perché solo così si vince il male. Oggi questo Dio, che non perde mai la speranza, ci coinvolge a fare come Lui, a vivere secondo l’amore vero, a superare la rassegnazione e i capricci del nostro io permaloso e pigro.
C’è un ultimo aspetto che il Vangelo sottolinea: l’abito degli invitati, che è indispensabile. Non basta infatti rispondere una volta all’invito, dire “sì” e basta, ma occorre vestire l’abito, occorre l’abitudine a vivere l’amore ogni giorno. Perché non si può dire: “Signore, Signore” senza vivere e mettere in pratica la volontà di Dio (cfr Mt 7,21). Abbiamo bisogno di rivestirci ogni giorno del suo amore, di rinnovare ogni giorno la scelta di Dio. I Santi canonizzati oggi, i tanti Martiri soprattutto, indicano questa via. Essi non hanno detto “sì” all’amore a parole e per un po’, ma con la vita e fino alla fine. Il loro abito quotidiano è stato l’amore di Gesù, quell’amore folle che ci ha amati fino alla fine, che ha lasciato il suo perdono e la sua veste a chi lo crocifiggeva. Anche noi abbiamo ricevuto nel Battesimo la veste bianca, l’abito nuziale per Dio. Chiediamo a Lui, per l’intercessione di questi nostri fratelli e sorelle santi, la grazia di scegliere e indossare ogni giorno quest’abito e di mantenerlo pulito. Come fare? Anzitutto, andando a ricevere senza paura il perdono del Signore: è il passo decisivo per entrare nella sala delle nozze a celebrare la festa dell’amore con Lui.
BEATIFICAZIONE DI JUAN DIEGO ED ALTRI SERVI DI DIO
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Santuario di Guadalupe, Città del Messico
Domenica, 6 maggio 1990
“Cristo . . . portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce . . . dalle sue piaghe siete stati guariti” (1 Pt 2, 21. 24. 25).
1. Carissimi figli e figlie del Messico,
Sono venuto di nuovo nella vostra terra per professare di fronte a voi e con tutti voi, la fede comune in Cristo, l’unico Redentore del mondo. Desidero proclamarlo in tutti i luoghi del mio pellegrinaggio nella vostra terra; ma voglio farlo soprattutto qui, in questo luogo particolarmente sacro per voi: il Tepeyac.
Cristo, Redentore del mondo, è presente nella storia, generazione dopo generazione per mezzo della Sua Santissima Madre, la stessa che lo diede alla luce in Betlemme, la stessa che era presso la Croce sul Golgota.
Cristo, quindi, per mezzo della Vergine Maria, è entrato nelle vicissitudini proprie di tutte le generazioni umane, nella storia del Messico e dell’America tutta. Il luogo nel quale ci troviamo, la venerata Basilica di Guadalupe, conferisce a questo fatto salvifico una testimonianza di insuperabile eloquenza.
Mi sento particolarmente felice di poter cominciare la mia seconda visita pastorale in Messico da questo luogo sacro, verso il quale rivolgono il loro sguardo ed i loro cuori tutti i figli della patria messicana, ovunque si trovino. Per questo, da questo Santuario, dove pulsa il cuore materno che dà vita e speranza a tutto il Messico, voglio rivolgere il mio saluto più affettuoso a tutti gli abitanti di questa grande Nazione, da Tijuana a Rio Bravo fino alla penisola dello Yucatàn. Desidero che il saluto affettuoso del Papa giunga in tutti i luoghi, al cuore di tutti i messicani per dar loro affetto, gioia, coraggio per superare le difficoltà e per continuare a costruire una società nuova dove regnino la giustizia, la verità e la fraternità, che faccia di questo amato popolo una grande famiglia.
Ringrazio vivamente il Cardinale Ernesto Corripio Ahumada, Arcivescovo di Mexico, per le affettuose parole di benvenuto che mi ha rivolto, a nome anche dei nostri fratelli nell’Episcopato e di tutta la Chiesa messicana.
2. La mia gioia è ancor più grande perché nel cominciare ora la mia seconda visita pastorale nella vostra terra, quale Successore dell’Apostolo San Pietro e Pastore della Chiesa Universale, il Signore mi concede la grazia di beatificare, cioè di elevare alla gloria degli altari, alcuni figli prediletti della vostra Nazione.
Ho fatto questo nel nome e con l’autorità ricevuta da Gesù Cristo, il Signore, Colui che ci ha redenti con il sangue delle sue santissime piaghe e per questo è divenuto il Pastore delle nostre anime.
Juan Diego, il confidente della dolce Signora del Tepeyac. I tre fanciulli martiri di Tlaxcala, Cristóbal, Antonio e Juan. Il sacerdote e fondatore José María de Yermo y Parres. I loro nomi, già scritti in cielo, sono da oggi scritti nel libro delle beatitudini e nella storia della fede della Chiesa di Cristo, che vive ed è pellegrina in Messico.
Questi cinque beati sono scritti in modo indelebile nella grande epopea dell’evangelizzazione del Messico. I primi quattro fra le primizie della semina della Parola in queste terre; il quinto nella storia della sua fedeltà a Cristo, fra gli avvenimenti del secolo scorso. Tutti hanno vissuto e testimoniato questa fede, sotto la protezione della Vergine Maria. Lei, effettivamente, è stata e continua ad essere la “Stella dell’Evangelizzazione” colei che con la sua presenza e protezione continua ad alimentare la fede e a rafforzare la comunione ecclesiale.
3. La beatificazione di Juan Diego e dei fanciulli martiri di Tlaxcala, ci rammenta le primizie della predicazione della fede in queste terre, nel momento in cui ci stiamo preparando a celebrare il V Centenario dell’Evangelizzazione dell’America.
Il Vangelo di Gesù Cristo penetrò in Messico con l’ardore apostolico dei primi evangelizzatori. Essi hanno annunciato Gesù Cristo crocifisso e risorto, Signore e Messia, ed hanno portato la fede alle moltitudini, con la forza dello Spirito Santo che infiammava la loro parola di missionari e il cuore degli evangelizzati.
Quella ardente azione evangelizzatrice rispondeva al mandato missionario di Gesù ai suoi apostoli ed alla effusione dello Spirito Santo nella Pentecoste. Abbiamo ascoltato questo nella prima lettura di questa celebrazione eucaristica, quando Pietro, in nome degli altri apostoli, ha proclamato il “Kerigma” di Cristo Crocifisso e Risorto.
Quelle parole giunsero al cuore di quelli che ascoltavano, i quali domandarono subito a Pietro e agli altri apostoli: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?” (At 2, 37). La risposta del Principe degli Apostoli spiega chiaramente il dinamismo di ogni autentico processo di conversione e di aggregazione alla Chiesa. Alla proclamazione del Vangelo segue l’accettazione della fede da parte dei catecumeni in virtù della Parola che anima i cuori. Alla confessione della fede segue la conversione e il battesimo in nome di Gesù, per la remissione dei peccati e per ricevere l’effusione dello Spirito Santo. Per mezzo del battesimo i credenti vengono uniti alla comunità della Chiesa per vivere in una comunione di fede, di speranza e d’amore.
Di fatto “quelli che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone” (At 2, 41). Tali furono le origini della predicazione evangelica e della diffusione della Chiesa nel mondo intero.
Non si possono proclamare queste parole senza pensare spontaneamente alla continuità di questa evangelizzazione ed effusione dello Spirito Santo qui, in Messico. In effetti, di essa, furono beneficiari e collaboratori i nostri Beati, primizie dell’evangelizzazione e illustri testimoni della fede delle origini. Qui si è compiuta la parola profetica di San Pietro il giorno di Pentecoste: “Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro” (At 2, 39).
4. Queste terre e gli uomini e le donne che le popolavano erano lontane nel tempo e nello spazio; ma in virtù del mandato apostolico giunse finalmente qui un gruppo di dodici missionari che la tradizione ha chiamato, con evidente riferimento alle origini della predicazione apostolica, i “dodici apostoli”.
Con la croce in mano annunciarono Cristo Redentore e Signore; predicarono la conversione, e le moltitudini ricevettero le acque rigeneratrici del Santo Battesimo e l’effusione dello Spirito Santo.
Così questi popoli si incorporarono nella Chiesa, come nel giorno di Pentecoste, e la Chiesa si arricchì dei valori della loro cultura.
Gli stessi missionari trovarono negli indigeni i migliori collaboratori per la missione, come mediatori nella catechesi, come interpreti ed amici per avvicinarsi ai nativi e facilitare una miglior comprensione del messaggio di Gesù.
Come esempio di essi abbiamo Juan Diego di cui si dice che si dedicasse alla catechesi a Tlaltelolco. Anche i fanciulli martiri di Tlaxcala, che nella loro tenera età seguirono con entusiasmo i missionari francescani e domenicani, disposti a collaborare con essi nella predicazione della Buona Novella del Vangelo.
5. Agli albori dell’evangelizzazione del Messico occupa un posto importante ed originale il Beato Juan Diego, il cui nome indigeno, secondo la tradizione, era Cuauhtlatóhuac, “Aquila che parla”.
La sua amata figura è inscindibile dall’avvenimento di Guadalupe, l’apparizione miracolosa e materna della Vergine, Madre di Dio, tanto nelle opere iconografiche e letterarie come nella secolare devozione che la Chiesa del Messico ha manifestato per questo indio prediletto da Maria.
Come agli antichi personaggi biblici, che erano una rappresentazione collettiva di tutto il popolo, potremmo dire che Juan Diego rappresenta tutti gli indigeni che accolsero il Vangelo di Gesù, grazie all’aiuto materno di Maria, sempre inseparabile dalla manifestazione di suo Figlio e dalla fondazione della Chiesa, come fu la sua presenza fra gli Apostoli il giorno di Pentecoste.
Le notizie che ci sono giunte su di lui elogiano le sue virtù cristiane: la sua fede semplice, alimentata nella catechesi e che accoglieva i misteri; la sua speranza e fiducia in Dio e nella Vergine; la sua carità, la sua coerenza morale, il suo distacco e la sua povertà evangelica.
Conducendo la vita dell’eremita qui, vicino al Tepeyac, è stato esempio di umiltà. La Vergine lo scelse fra i più umili per quella manifestazione di approvazione e d’amore qual è l’apparizione di Guadalupe. Un permanente ricordo di ciò è il suo volto materno e la sua immagine benedetta, che ci ha lasciato come inestimabile dono. In tal modo ha voluto rimanere fra voi, come segno di comunione e di unità di tutti coloro che dovevano vivere e convivere in questa terra.
Il riconoscimento del culto che, già da secoli, è stato dato al laico Juan Diego, riveste un’importanza particolare. È un importante appello a tutti i fedeli laici di questa Nazione affinché assumano tutte le loro responsabilità nel trasmettere il messaggio evangelico e nel testimoniare una fede viva ed operante nell’ambito della società messicana. Da questo luogo privilegiato di Guadalupe, cuore del Messico sempre fedele, desidero esortare tutti i laici messicani ad impegnarsi più attivamente nella nuova evangelizzazione della società.
I fedeli laici partecipano alla funzione profetica, sacerdotale e regale di Cristo (cf. Lumen gentium, 31), ma realizzano tale vocazione nelle condizioni ordinarie della vita quotidiana. Il loro campo naturale ed immediato di azione si estende a tutti gli ambienti della convivenza umana e a tutto ciò che fa parte della cultura nel suo significato più ampio e completo. Come ho scritto nell’Esortazione Apostolica Christifideles laici: “Per animare cristianamente l’ordine temporale, nel senso detto di servire la persona e la società, i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla “politica”, ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune” (n. 42).
Cattolici del Messico, uomini e donne, la vostra vocazione cristiana è, per sua stessa natura, vocazione all’apostolato (cf. Apostolicam Actuositatem, 3). Non potete, pertanto, rimanere indifferenti di fronte alla sofferenza dei vostri fratelli: di fronte alla povertà, alla corruzione, agli oltraggi alla verità ed ai diritti umani. Dovete essere il sale della terra e la luce del mondo (cf. Mt 5, 13-14). Per questo il Signore vi ripete oggi: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5, 16).
Da questo momento risplenda anche di fronte a voi Juan Diego, elevato dalla Chiesa all’onore degli altari e che possiamo invocare come protettore e difensore degli indigeni.
6. Con immensa gioia ho proclamato Beati anche i tre fanciulli martiri di Tlaxcala: Cristóbal, Antonio e Juan. In tenera età furono attratti dalla parola e dalla testimonianza dei missionari e divennero loro collaboratori, quali catechisti di altri indigeni. Sono un esempio sublime e istruttivo di come l’evangelizzazione sia un compito di tutto il popolo di Dio, da cui nessuno rimane escluso, neppure i bambini.
Insieme alla Chiesa di Tlaxcala e del Messico sono felice di poter offrire a tutta l’America Latina ed alla Chiesa universale questo esempio di pietà infantile, di generosità apostolica e missionaria, coronata dalla grazia del martirio.
Nell’Esortazione Apostolica Christifideles laici ho voluto porre in particolare risalto l’innocenza dei bambini che “ci ricordano che la fecondità missionaria della Chiesa ha la sua radice vivificante non nei mezzi e nei meriti umani, ma nel dono assolutamente gratuito di Dio” (n. 47). Possa l’esempio di questi bambini beatificati suscitare un’immensa moltitudine di piccoli apostoli di Cristo fra i ragazzi e le ragazze dell’America Latina e del mondo intero, che arricchiscono spiritualmente la nostra società così bisognosa di amore.
7. La grazia dello Spirito Santo risplende ancora oggi in un’altra figura che porta i tratti del Buon Pastore: il sacerdote José Maria de Yermo y Parres. In lui sono delineati con chiarezza i tratti del vero sacerdote di Cristo, perché il sacerdozio è stato il fulcro della sua vita e la santità sacerdotale la sua meta. La sua intensa dedizione alla preghiera ed al servizio pastorale delle anime, così come la sua dedizione particolare all’apostolato fra i sacerdoti con ritiri spirituali, fanno aumentare l’interesse per la sua figura, specialmente in questo momento poiché il prossimo Sinodo dei Vescovi si occuperà anche della formazione dei sacerdoti di domani.
Apostolo della carità, come lo hanno chiamato i suoi contemporanei, Padre José Maria ha unito l’amore verso Dio all’amore per il prossimo, sintesi della perfezione evangelica, con grande devozione al Cuore di Gesù e con un amore particolare per i poveri. Il suo zelo ardente per la gloria di Dio lo portava anche a desiderare che tutti fossero missionari autentici. Tutti missionari. Tutti apostoli del cuore di Cristo. Specialmente le sue figlie, la Congregazione che egli ha fondato, le Serve del Sacro Cuore di Gesù e dei Poveri, alle quali ha lasciato come eredità carismatica due passioni: per Cristo e per i poveri. Queste due passioni erano la fiamma del suo cuore e dovevano costituire sempre la gloria più pura delle sue figlie.
8. Cari fratelli e sorelle, in questa quarta domenica di Pasqua, tutta la Chiesa celebra Cristo, il Buon Pastore che, soffrendo per i nostri peccati, ha dato la vita per noi, le sue pecore, e ci ha lasciato allo stesso tempo un esempio affinché seguiamo le sue orme (cf. 1 Pt 2, 21). Il Buon Pastore conosce le sue pecore e le sue pecore conoscono Lui (cf. Gv 10, 14).
Juan Diego, i fanciulli martiri di Tlaxcala, Cristóbal, Antonio e Juan, José Maria de Yermo y Parres, hanno seguito con perseveranza le orme di Cristo, Buon Pastore. La loro beatificazione in questa domenica in cui la Chiesa celebra anche la Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni, è un appello urgente per tutti, affinché con la nostra vocazione andiamo a lavorare nella vigna del Signore.
Nei cinque nuovi Beati si riflette la pluralità delle vocazioni ed in essi abbiamo un esempio di come tutta la Chiesa debba mettersi in cammino per evangelizzare e portare la testimonianza di Cristo. I fedeli laici, tanto i bambini e i giovani, quanto gli adulti, i sacerdoti, i religiosi e le religiose. Tutti devono ascoltare e seguire il richiamo del Signore Gesù: “Andate anche voi nella mia vigna” (Mt 20, 4).
9. Nella nostra celebrazione eucaristica di oggi Cristo ci ripete ancora: “Io sono la porta delle pecore” (Gv 10, 7). La porta ci apre l’entrata alla casa. La porta, che è Cristo, ci introduce “nella casa del Padre dove ci sono molti posti” (cf. Gv 14, 2).
Il Buon Pastore, con parole severe e categoriche, avverte anche che bisogna guardarsi da tutti quelli che non sono “la porta delle pecore”. Egli li chiama ladroni e briganti. Sono quelli che non cercano il bene delle pecore bensì il proprio profitto mediante la falsità e l’inganno. Perciò, il Signore ci indica qual è la prova definitiva del disinteresse e del servizio: essere disposti a dare la vita per il prossimo (cf. Gv 10, 11).
Questa è anche la grande lezione di questi figli della terra del Messico che oggi abbiamo elevato all’onore dell’altare: hanno seguito Cristo e, come lui, hanno fatto delle proprie vite una testimonianza di amore. La morte non li ha sconfitti. Ha spalancato loro le porte dell’altra vita, la vita eterna.
Da questo Santuario della Vergine Maria di Guadalupe, vogliamo rendere grazie a Lei, la Madre di Dio, la Patrona del Messico e di tutta l’America Latina, perché in questi cinque nuovi Beati si sono compiute le parole del Buon Pastore: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10).
Sono oltre 100.000 i fedeli assiepati all’esterno del Santuario di Santa Maria di Guadalupe durante la Messa celebrata da Giovanni Paolo II. Al termine della solenne celebrazione eucaristica, il Papa rivolge loro un breve saluto.
Carissimi fratelli e sorelle,
Che gioia essere nuovamente tra voi e ai piedi della Vergine di Guadalupe! Il mio cuore si leva in azione di ringraziamento a Dio perché, nella sua provvidenza amorevole, mi consente di stare tra i cari figli e figlie del Messico, per condividere alcune giornate di fede uniti nell’amore a Gesù Cristo.
Vi ringrazio, dal profondo del mio cuore, per la vostra presenza qui, questo pomeriggio, per celebrare, con il Papa, la Beatificazione di cinque figli prediletti di queste terre, che Dio ha voluto benedire in modo particolare e che ha posto sotto la protezione materna di Nostra Signora di Guadalupe. Tornando alle vostre case, portate a tutti il saluto affettuoso del Papa. Sono venuto a visitarvi perché vi amo, perché rappresentate una parte scelta della Chiesa di Cristo, perché desidero essere vicino a coloro che più ne hanno bisogno: i poveri, i malati, quanti soffrono nel corpo o nello spirito.
Da Guadalupe, cuore del Messico, benedico tutti e vi raccomando alla protezione della Vergine.
LITTERAE APOSTOLICAE
de peracta Beatificatione
IOANNES PAULUS PP. II
ad perpetuam rei memoriam
“Quasi filii oboedientiae, non configurati prioribus in ignorantia vestra desideriis, sed secundum eum qui vocavit vos sanctum, et ipsi sancti in omni conversatione sitis” (1 Pt 1,14-15).
Dubitari nequit, quin Venerabiles Servi Dei Christophorus, Antonius et Ioannes, qui olim in Mexico martyrium tulerunt, Domino omnes ad sanctitatem vocanti parere non titubaverint. Tres pueri primum Tlaxcala in urbe a Patribus Franciscalibus sedulo initiati sunt atque instituti, ac deinde, ex idolorum cultu omnino digressi atque Christiani facti, non solum Evangelium ardenter alacriterque susceperunt, verum etiam amore Christi tam celeriter creverunt, ut libentes mortem obierint Fidei vulgandae causa. Paulo post, quam gens Mexicana evangelizari coepta est, suprema eorundem immolatio tamquam semen fuit, unde copiosi sive Dei gloriae sive animorum saluti prolati sunt fructus. Christophorus, qui ad MDXIV-MDXV annum in pago “Atlihuetzía” natus est haud longe a Tlaxcala, anno aetatis suae circiter decimo baptisma percepit, necnon iam tunc, debitis cum eiusmodi Sacramento cohaerentibus assensus, ad se pertinere censuit verum fortemque “Christi baiulum” esse intra parietes domus sui, ubi nec pauci re vera nec parvi retinebantur perturbati vivendi mores. Variis ipse modis pro suorum conversione, maxime patris, laboravit; pater autem, cum violentus homo esset et a famulis praeterea ab unaque ex uxoribus suis in eum instigaretur, consilium iniit necandi filium, tenebris luci praepositis. Anno enim MDXXVII inter domesticum diem festum saeve pater eum caedere coepit, confectumque gravibus vulneribus in rogum iniecit; at Christophorus miserrimus dum torrebatur flammis, oculis in bona aeterna defixis, opem Dei ac Virginis Mariae pie invocabat. Nocte summorum dolorum exacta patrem vocavit, eique, verbis veniae insusurratis, gratias egit, quod eius opera is sineretur coronam vitae capere, dein obdormivit in Domino. Prope Tlaxcalam in pago “Tizatlán” anno circiter MDXVI-MDXVII nati sunt Antonius et Ioannes, qui, postquam Tlaxcalae apud Patres Franciscales, quorum auctoritati obtemperando disciplinam etiam imitabantur, manserunt, anno MDXXIX illinc cum Fratre Bernardino Minaya, sodali Ordinis Praedicatorum tunc ad evangelizandam provinciam Oaxacensem proficiscente, ii quoque sua sponte magnoque animo ad locum petitum discesserunt. Quoniamque deliberatum sibi erat haud paulum sua quoque opera et ad Evangelium divulgandum conferre et ad Ecclesiam illis in plagis augendam, periculorum nuntiis prompte respondentes confirmaverunt se Dei causa etiam ad amittendam vitam, exemplo Apostolorum Petri et Pauli ac Bartholomaei, paratos omnino esse. Hac de causa eo in itinere adulescentuli ad apostolicas vias et rationes, quae tunc temporis illis in locis adhibebantur, sese conformantes, magnam sane idolis delendis operam dabant, ut, cohibitis peccatis ex idolatria emanantibus, autochthonibus auxiliarentur in uno Deo vero agnoscendo. Cumque ad oppidulum “Cuauhtinchán” pervenissent, quandam Antonius domum ingressus est, ut delenda quaereret idola, Ioannes autem extra domum ad ianuam sese tenebat. At eo ipso tempore quidam illuc supervenerunt autochthones, qui, et suis superstitionibus fortiter adhaerentes et a Christiana doctrina abhorrentes, statim Ioannem verberando necaverunt. Antonius egressus domo eos de tanto crimine obiurgavit, se solum asseverans accusari posse de idolorum excidio. Quapropter is quoque similiter necatus est. Nuper ergo, propterea quod praeclari illi famuli Dei ex illo tempore, ut memoriae proditum est, ad nostram usque aetatem a populo Dei in martyrum numero ob Christianam fortitudinem ac diligentiam positi sunt, sapienter Episcopus Tlaxcalensis eorum Canonizationis Causae initium fecit anno MCMLXXXII. Expletis idcirco usitatis historicis theologicisque inquisitionibus, quae scilicet apud Congregationem de Causis Sanctorum certo responso felicem exitum habuerunt, die III mensis Martii anno MCMXC Nobis astantibus editum est Decretum, quo veritatem agnoscentes statuimus mortem Christophori, Antonii et Ioannis verum esse martyrium. Constituimus praeterea, ut ritus exspectatae Beatificationis paulo post, seu die VI mensis Maii hoc anno celebraretur in Mexico, oblata occasione itineris Nostri pastoralis. Hodie igitur Mexicopoli, quae Mexici est urbs princeps, in perillustri Basilica Beatae Virginis Mariae de Guadalupa inter Sacra Servos Dei Christophorum, Antonium et Ioannem, necnon Iosephum Mariam de Yermo y Parres, ad Beatorum honores eveximus, hac pronuntiata Beatificationis formula: “Nos, acogiendo los deseos de nuestros hermanos Luis Munive Escobar, Obispo de Tlaxcala, y Rosendo Huesca Pacheco, Arzobispo de Puebla, así como de otros muchos Hermanos en el episcopado y de numerosos fieles, después de haber escuchado el parecer de la Congregación para las Causas de los Santos, con Nuestra Autoridad Apostólica concedemos, que los Venerables Siervos de Dios: Cristóbal, Antonio y Juan, y Jose María de Yermo y Parres, de ahora en adelante sean llamados Beatos, y se podrá celebrar su fiesta en los lugares y en el modo establecido por el Derecho, cada año, el 23 de septiembre para Cristóbal, Antonio y Juan, y el 20 de septiembre para Jose María de Yermo y Parres. — En el nombre del Padre y del Hijo y del Espíritu Santo”. — Orationem deinde pio quidem habuimus studio qua tum eximiam vivendi viam concelebravimus tum singulas simul christianas virtutes horum quos mememoravimus modo Beatorum Caelitum. Qua diligenter peracta publice pariter illos sumus Nos cum adstantibus cunctis venerati atque consentanea nimirum prece quasi anteeuntes Ipsi primi eos in adiutorium Ecclesiae totius advocavimus caelitus.
Datum Mexicopoli, apud Basilicam B. V. Mariae de Guadalupa, sub anulo Piscatoris, die VI mensis Maii, anno MCMXC, Pontificatus Nostri duodecimo.
Augustinus Card. Casaroli
a publicis Ecclesiae negotii
Loco Sigilli
In Secret. Status tab., n. 261.901
AAS LXXXIII (1991), 455-457.